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Vi ricordate la vicenda del lavoratore di Taranto licenziato per aver fatto dei commenti su Facebook a proposito di una fiction televisiva ritenuti gravemente lesivi dell’immagine e reputazione aziendale? Vi informiamo che il Tribunale di Taranto ha annullato il licenziamento  per insussistenza del fatto contestato e ha ordinato la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno.

Di seguito il testo della sentenza del Tribunale di Taranto del 26 luglio 2021.

Tribunale di Taranto sezione lavoro

Il giudice, esaminati gli atti del procedimento n. 3528/2021 r.g, avviato con ricorso ex art. 1, co. 48, L.n. 92/12 da …. nei confronti di …. s.p.a., sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza del 21 luglio 2021,

OSSERVA

con atto depositato in data 4.5.2021, …., a far data dall’1.1.2019 dipendente della convenuta …. s.p.a. (già …. s.p.a.), premettendo di essere stato licenziato per giusta causa in data 7.4.2021 in relazione alle “espressioni gravemente lesive dell’immagine e della reputazione aziendale” assertivamente presenti nel post da lui “pubblicato e condiviso sulla sua bacheca virtuale Facebook” in data 24.3.2021, rilevando, per un verso, la “inesistenza della fattispecie penale della diffamazione o della denigrazione sotto l’aspetto oggettivo della indeterminabilità del destinatario del post e sotto l’aspetto soggettivo del difetto di integrazione della volontà denigratoria di un post esclusivamente condiviso”, per altro verso, l’esclusione di “ogni riferimento e riferibilità (del post) ad …… s.p.a.”, per altro verso ancora, la “insussistenza di ogni legame fra la condotta extra lavorativa addebitata e le mansioni svolte dal lavoratore” e l’insussistenza del danno all’immagine lamentato; eccependo, altresì, il carattere ritorsivo del licenziamento comminato e la riconducibilità del fatto contestato ad una categoria di addebiti punibile, secondo la contrattazione collettiva di riferimento (segnatamente, l’art. 9 del CCNL Metalmeccanici), con l’applicazione di una sanzione conservativa, ha chiesto al giudice del lavoro adito di:

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a) in via principale: dichiarare ex art. 18 commi 1 e 2, L. 20.05.1970, n. 300 la nullità del licenziamento ed ordinare ad …. Spa già …. Spa la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore stabilendo al contempo un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, con condanna al pagamento in suo favore;

b) in via alternativa dichiarare ex art. 18, co. 4, L. 20/05/1970, n. 300, l’annullamento del licenziamento intimatogli per manifesta insussistenza di giusta causa o perché l’addebito contestato rientra nelle sanzioni conservative, per le ragioni espresse nella narrativa che segue, e per l’effetto ordinare ad ….. Spa già ….. Spa, in persona del proprio legale rappresentante pro tempore, la sua reintegrazione nel proprio posto di lavoro, con condanna al pagamento in suo favore di una indennità risarcitoria non superiore a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

c) in via gradata: dichiarare ex art. 18, co. 5, L. 20/05/1970, n. 300 la illegittimità del predetto licenziamento e condannare la ….. Spa già …… Spa, al pagamento in favore del ricorrente di una indennità risarcitoria omnicomprensiva tra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

d) Condannare in ogni caso la resistente al pagamento delle spese di causa ….

Costituitasi, la società convenuta ha contestato la fondatezza delle deduzioni avversarie, concludendo per il rigetto della domanda.

I COMMENTI “INCRIMINATI” SU FACEBOOK

Dalla documentazione versata in atti, in primo luogo, risulta che la società convenuta – sulla base di quanto specificatamente descritto nella lettera consegnata in data 31.3.2021 – aveva contestato al ricorrente i seguenti fatti:

In data 24.3.2021 alle ore 21.07 circa – come successivamente accertato – la SV ha condiviso e pubblicato sulla sua bacheca virtuale Facebook – in tal modo diffondendo tra un gruppo di 400 persone – espressioni gravemente lesive dell’immagine e della reputazione aziendale, eccedenti il diritto di critica nell’ambito di rapporto contrattuale regolato, tra l’altro, dall’art. 2105 c.c., nonché artt 1175 e 1375 c.c. In particolare e testualmente

 […] giorno 24 di questo mese, mercoledì, andrà in ordina la fiction “svegliati amore mio”. si basa su una storia vera e tratta di una bambina o bambino che entra in coma profondo. Gli esami diranno che il bimbo/a ha una forte presenza di piombo nel cervello. Nelle innumerevoli interviste fatte alla ….., principale protagonista, agli attori e ai registi …. e consorte, non emerge MAI che la storia vera accade a Taranto e che la fantomatica acciaieria …, altri non è che lo stabilimento siderurgico di …. Non mi meraviglio che interessi forti si siano mossi per occultare l’ennesima tragedia che colpisce i bambini della nostra città. Ripeto, non mi meraviglio ma lo trovo vergognoso!!!! Chiedo a voi, lo chiedo a NOI, INVIATE QUESTO MESSAGGIO A CHIUNQUE DI VOSTRA CONOSCENZA, PARENTI AMICI, AMICI DEGLI AMICI affinchè la storia di questa bambino/a non rimanga “coperta” . IN NOME DEL PROFITTO LA VITA DEI BAMBINI TARANTINI NON CONTA … ASSASSINI.

… Le espressioni di cui sopra, tenuto conto altresì della potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, posto che il rapporto interpersonale, proprio per il mezzo utilizzato, assume un profilo allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione, integrano una condotta gravemente lesiva degli obblighi di correttezza e buona fede, oltre che suscettibile di provocare un rilevante danno all’immagine della Società. La condotta perpetrata si pone in contrasto con i doveri connessi al Suo inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa ed è idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto di lavoro in essere, tanto più in considerazione del ruolo di “tecnico controllo Costi” inquadrato nella 5 categoria Super, con qualifica di impiegato, ricoperto dalla SV”.

IL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE DEL LAVORATORE I COMMENTI SU FACEBOOK

Non ritenendo persuasive le giustificazioni addotte dal lavoratore, con nota del 7 aprile 2021, la società convenuta ha, dunque, proceduto al licenziamento per giusta causa del …., rilevando, in particolare, che “la condotta perpetrata dalla S.V., invero, esorbita per tenore, contenuto e modalità adottate, dal legittimo esercizio del diritto di critica, quale espressione del diritto di libera manifestazione del proprio pensiero” e che “le espressioni utilizzate, infatti – concretizzatesi in vere e proprie denigrazioni ai danni della scrivente, sono tali da superare tanto i limiti della continenza sostanziale, intesa come la congruenza dei fatti alla verità, quanto quella formale, quale normalità delle modalità ammissibili nell’esposizione dei fatti”.

LA DISCIPINA LEGALE APPLICABILE 

Tanto premesso, occorre in via preliminare puntualizzare che, sebbene il rapporto di lavoro che viene in rilievo sia stato instaurato in data successiva all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 23/15, risulta nel caso operante la disciplina di cui all’art. 18 L.n. 300/70, così come innovata dall’art. 1 L.n. 92/12, in virtù delle specifiche previsioni in tal senso accluse al verbale di accordo del 6.9.2018, stipulato con le parti sociali all’atto dell’affidamento dello stabilimento siderurgico di … Spa in amministrazione straordinaria ad …. S.r.l. ed alle sue affiliate (tra cui, appunto, …. s.p.a.).

IL LICENZIAMENTO PER RITORSIONE

Quanto alle censure che involgono la nullità del licenziamento ai sensi dell’art. 18, co. 1, L.n. 300/70, giacché fondato su un motivo illecito determinante, la parte ricorrente ne ha evidenziato la connotazione ritorsiva (“consistente nella volontà di comprimere il diritto a manifestare il pensiero, quando soggettivamente sgradito all’azienda”) in quanto specificatamente evincibile dalla “valutazione della decisione aziendale di un possibile reintegro del dipendente a condizione delle pubbliche scuse”, come, peraltro, verificatosi – a dire del … – nella speculare vicenda del lavoratore ……

Ciò posto, è, a tale riguardo, utile rammentare che “il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta – assimilabile a quello discriminatorio, vietato della L. n. 604 del 1966, art. 4,L. n. 300 del 1970, art. 15 e della L. n. 108 del 1990, art. 3 – costituisce l’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l’unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni” (Cass. n. 17087/2011).

Inoltre, è stato, in termini del tutto condivisibili, sul punto chiarito che “il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c., deve essere determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all’applicazione della tutela prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1, novellato dalla L. n. 92 del 2012, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento” (Cassazione civile, sez. lav., 2.12.2019, n. 31395; da ultimo Cass. n. 9468 del 2019).

IL PUNTO DI VISTA DEL GIUDICE

Tanto premesso, ritiene questo giudice che il complesso degli elementi in tal senso evidenziati nel ricorso introduttivo, pur nella loro valutazione unitaria e globale, non valga ad enucleare, neppure in termini presuntivi, la prova del carattere ritorsivo dell’atto di recesso.

A fronte del tenore, almeno in parte, denigratorio e del contenuto non adeguatamente specifico del post di cui di discute (come tale, potenzialmente suscettivo di essere interpretato alla stregua di un’offesa diretta alla reputazione aziendale), non vi è, infatti, modo di dimostrare che la società convenuta sia pervenuta alla lettura posta a base della contestazione disciplinare con l’esclusivo intento di perseguire fini ritorsivi, né vi è, in ogni caso, ragione di ritenere che le generiche allegazioni attoree volte a correlare il provvedimento espulsivo alla mancata pubblica resipiscenza del lavoratore possano valere a far emergere la paventata ritorsività dell’atto, laddove la compromissione del rapporto fiduciario – nella prospettiva della parte datoriale – è, in ogni caso, già da ricondurre in via diretta alla condotta oggetto di addebito disciplinare (ovvero alla pubblicazione/ condivisione del post).

Al contempo, il differente epilogo del procedimento disciplinare avviato nei confronti del precitato …., lungi dal poter costituire una prova indiretta dell’intento persecutorio paventato dal …, del tutto legittimamente si spiega in rapporto alla specifica e diversa condotta posta in essere dal lavoratore a seguito della contestazione disciplinare (essendosi lo … fattivamente adoperatosi per rimuovere il post di contenuto assertivamente denigratorio e per pubblicare un apposito messaggio di rettifica), evidentemente ritenuta in grado di ricomporre il rapporto fiduciario precedentemente incrinato dalla perpetrazione del fatto oggetto di addebito.

IL CARATTERE DIFFAMATORIO DEL POST SU FACEBOOK

Tanto premesso, a fronte delle doglianze attoree che involgono l’insussistenza, sotto il profilo soggettivo, della condotta diffamatoria oggetto di contestazione, occorre, in primo luogo, rilevare come le esternazioni critiche presenti nel post di cui si discute, al contrario di quanto sostenuto dalla parte ricorrente, non promanino dalla condivisione di un messaggio pubblicato da altri sul social Facebook, ma siano, invece, direttamente ascrivibili al …., avendole il ricorrente “postate” sulla bacheca del proprio profilo, in diretta associazione al nick name “….” (vds. screenshot rappresentato graficamente a pag. 10 del ricorso introduttivo), sì da assumersene la paternità.

Come anticipato in premessa, all’origine della contestazione disciplinare di cui si discute vi è la pubblicazione del post dappresso virgolettato, che, secondo la prospettazione della parte convenuta, operando un “riferimento intenzionale e diretto allo stabilimento siderurgico di Taranto gestito dalla deducente” (segnatamente, riconducendo “l’eziologia della patologia della bimba protagonista della fiction di produzione …. all’attività del polo siderurgico tarantino” e, al contempo, attualizzando “la problematica narrata nella serie tv”), nonché contenendo deliberate e gratuite accuse rivolte alla medesima convenuta ed un chiaro invito alla diffusione su larga scala del messaggio postato, si concreterebbe in una “condotta: – gravemente lesiva della datrice di lavoro; – esorbitante dal diritto di critica quale libera manifestazione del pensiero; – per ciò idonea a pregiudicare – come di fatto ha leso – l’immagine dell’Azienda; – che in definitiva si è posta in gravissima negazione dell’obbligo di fedeltà e del vincolo di fiducia alla base del rapporto di lavoro in essere con la Società convenuta”.

A fronte di tale ricostruzione, le difese della parte ricorrente, in primo luogo, si incentrano sul rilievo che, stante l’anno di ambientazione della fiction in questione (segnatamente l’anno 2002), lo scritto non può che essere “riferito al passato, alle vecchie gestioni dello stabilimento”, tanto che “alcuna delle parole, nessun procedimento logico può indurre a pensare che il post sia riferito o riferibile ad …. s.p.a.”, con l’ulteriore corollario che la condotta extra lavorativa oggetto di contestazione non potrebbe che risultare priva di rilievo disciplinare e, in ogni caso, non in grado di ledere il rapporto fiduciario.

LE CONSIDERAZIONI DEL GIUDICE SUL POST DI FACEBOOK

Tanto premesso, è, sotto tale profilo, innanzi tutto da evidenziare come non sia in contestazione (e, comunque, risulta comprovato sulla scorta della nota dell’ufficio stampa di … versata in atti) che la sceneggiatura della serie tv in parola riecheggi una vicenda temporalmente collocata agli inizi degli anni 2000 e che la gestione del centro siderurgico di …. sia stata nel tempo affidata ad una pluralità di soggetti giuridici e soltanto a far data dall’anno 2018 ad ….  s.p.a., oggi …. s.p.a.

Al contempo, vi è prova documentale delle recenti pubblicazioni di ricerche scientifiche sulla maggiore incidenza delle malattie oncologiche nella popolazione minorile tarantina, delle inchieste giudiziarie condotte dalla Procura della Repubblica di Taranto nei confronti delle “vecchie gestioni dello stabilimento”, nonché delle manifestazioni di denuncia dei decessi in età pediatrica a causa di tumori, più volte organizzate nella città ionica.

Sulla scorta degli elementi sopra riassunti, combinatamente idonei, secondo il comune sentire, a mettere in relazione i decessi in questione con i fatti di rilievo penale (già) verificatisi e (già) contestati ad una pluralità di soggetti significativamente estranei all’attuale gestione dello stabilimento siderurgico tarantino, nonché sulla base della disamina complessiva del testo del post in parola, l’interpretazione del post caldeggiata dalla parte ricorrente appare logicamente e intrinsecamente coerente con il relativo contenuto.

Come già evidenziato, il messaggio in questione, dopo aver rivolto aspre critiche alla produzione cinematografica della fiction “…..” per non aver esplicitato l’ambientazione della “storia” presso lo stabilimento siderurgico di …., nel censurare che “interessi forti si siano mossi per occultare l’ennesima tragedia che colpisce i bambini” della città di …, sacrificandone la vita in nome del profitto, conclude con la parola “assassini”, evidentemente intendendo con essa riferirsi ai soggetti assertivamente responsabili delle morti in questione.

In tale ricostruzione non può, infatti, non considerarsi come l’utilizzo del predetto sostantivo (specificamente utilizzato per biasimare coloro per i quali non conta la “vita dei bambini ….”) sia posto in stretta correlazione con lo scopo del messaggio, ovvero evitare che la “storia” del bambino/a protagonista della serie televisiva possa rimanere “coperta”.

L’attacco verbale di cui si discute, cristallizzato nei termini sopra riassunti, non può, allora, che essere riferito, esclusivamente, ai protagonisti della specifica vicenda storica da cui promana la relativa rappresentazione cinematografica, così come la collocazione topografica suggerita dall’autore del post non può che essere rapportata (e ciò indipendentemente dalla coniugazione al presente delle voci verbali ivi impiegate e senza alcun margine di attualizzazione), al tempo in cui “accade” la “storia vera”, ovvero agli inizi degli anni 2000.

In ragione degli elementi dappresso citati che univocamente militano nel senso di escludere che le offese di cui trattasi possano essere estese alle proprietà intervenute successivamente allo svolgersi delle vicende ad esse sottese, non vi è, quindi, modo di ritenere che i riferimenti allo stabilimento siderurgico di …. presenti nel medesimo post, come sostenuto dalla parte convenuta, permangano nel presente e si proiettino verso il futuro, sì da interessare anche la ….. s.p.a. (ciò a maggior ragione laddove la società convenuta, come evidenziato nel ricorso introduttivo, ponendosi in totale discontinuità rispetto alle precedenti gestioni, del tutto significativamente aveva pubblicato, in occasione di una delle suddette manifestazioni di denuncia, un’apposita dichiarazione “per esprimere vicinanza alla comunità di … in ricordo di … e dei giovani … scomparsi” a causa dell’inquinamento ambientale prodotto dallo stesso stabilimento siderurgico).

NON RILEVANZA DISCIPLINARE DELLA CONDOTTA DEL LAVORATORE

In conclusione, non essendovi, su tali basi, ragione di ricondurre i fatti oggetto di addebito al piano di rilevanza degli obblighi di fedeltà a carico del lavoratore o di correlare ad essi l’inosservanza dei generali principi di correttezza e buona fede contrattuale, è, giocoforza, da escludere che detta condotta extra lavorativa possa, sotto tale profilo, assumere rilievo disciplinare.

Tanto premesso, come del tutto condivisibilmente riepilogato da Cass. civile, sez. lav., 16.5.2016, n. 10019, l’art. 18, L. n. 300/70, nel testo introdotto dalla legge n. 92/12, fa discendere effetti diversi dalla medesima fattispecie legale del licenziamento illegittimo per assenza della giusta causa (o del giustificato motivo soggettivo).

ASSENZA DI GIUSTA CAUSA. CONSEGUENZE

Accertata, preliminarmente, la mancata integrazione della giusta causa (o del giustificato motivo soggettivo) di licenziamento, il giudicante deve procedere ad una successiva selezione delle conseguenze del vizio, applicando la tutela reale nei soli casi di “insussistenza del fatto contestato”, ovvero di fatto rientrante tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili (comma 4); nelle altre ipotesi di assenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro l’art. 18, comma 5 contempla, invece, la risoluzione del rapporto di lavoro dalla data del licenziamento ed il pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva.

L’ipotesi normativa della “insussistenza del fatto contestato” comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare o quanto al profilo oggettivo, ovvero quanto al profilo soggettivo della imputabilità della condotta al dipendente.

Ciò si ricava sotto il profilo letterale dall’uso della locuzione “fatto contestato”, che lega la materialità del fatto alla sua rilevanza disciplinare e, sotto il profilo logico, dalla assoluta sovrapponibilità, sotto il profilo disciplinare, dei casi di condotta materialmente inesistente a quelli di condotta che non costituisca inadempimento degli obblighi del lavoratore, ovvero non sia imputabile al lavoratore stesso; ciò in linea con la pronunzia della Suprema Corte n. 20540/2015, secondo cui “quanto alla tutela reintegratoria, non è plausibile che il legislatore, parlando di “insussistenza del fatto contestato”, abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione in altre parole la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell’art. 18, comma 4 cit.” e ciò con la puntualizzazione che l’area del fatto contestato non può, tuttavia, estendersi sino a ricomprendere la gravità del fatto di rilievo disciplinare, pena la contraddizione del tenore testuale dello stesso comma 4 (il difetto di proporzionalità rientra tra le “altre ipotesi” di insussistenza della giusta causa (o del giustificato motivo soggettivo) per le quali l’art. 18 prevede, al comma 5, la sola tutela indennitaria).

Sulla scorta delle brevi ed assorbenti considerazioni sopra riassunte, dovendosi, in conclusione, ritenere, all’esito dell’istruttoria sommaria tipica della presente fase, che non sia stata fornita adeguata dimostrazione della giusta causa addotta dal datore di lavoro (laddove, in particolare, non vi è prova che la condotta oggetto di contestazione sia suscettiva di assumere rilievo disciplinare), il licenziamento impugnato è, in conclusione, da annullare per insussistenza del fatto contestato, con conseguente condanna del medesimo datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro del …. ed al pagamento in favore di quest’ultimo di un’indennità risarcitoria (in ogni caso non superiore a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto) commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (senza che si possa a tale riguardo tenere conto di eventuali somme percepite dal lavoratore nel periodo di estromissione, difettando la prova in ordine allo svolgimento da parte del …. di altre attività lavorative, né tenere conto di quanto lo stesso lavoratore avrebbe potuto percepire nel corso del medesimo periodo, dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione, in considerazione del breve lasso temporale trascorso dalla data del provvedimento espulsivo, nonché della congiuntura economica sfavorevole correlata all’emergenza pandemica da Covid-19, tuttora in corso), nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale.

La pronuncia sulle spese segue la soccombenza della parte convenuta nei termini di cui al dispositivo.

p.q.m.

Il Tribunale, così provvede: accoglie per quanto di ragione il ricorso proposto, con atto depositato in data 4.5.2021, da …. nei confronti di … s.p.a. e, per l’effetto: annulla il licenziamento intimato allo stesso … in data 7 aprile 2021; condanna …. s.p.a. alla reintegrazione del … nel posto di lavoro occupato fino alla data del licenziamento; condanna …. s.p.a. al risarcimento del danno mediante il pagamento in favore del …. di un’indennità pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione e interessi, nei limiti di legge, dal dovuto al soddisfo, nonché al versamento dei relativi contributi assistenziali e previdenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale, ai sensi dell’art. 18, comma 4, L.n. 300/70; condanna, altresì, la parte convenuta al pagamento delle spese di lite in favore del procuratore della parte ricorrente, dichiaratosi anticipatario, che liquida in euro 1.500,00, oltre al rimborso di spese forfettarie al 15%, iva e cpa nella misura di legge.

Confronta anche la Sentenza n. 175 del 5 luglio 2021 del Tribunale di Ancona, in un caso analogo di commenti su Facebook di un dipendente.

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