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Il Tribunale di Roma, con ordinanza 26 febbraio 2021, ha stabilito che il divieto di licenziamento per motivi oggettivi, di cui alla normativa emergenziale per covid-19, si applica anche al dirigente. Il giudice del lavoro ha infatti dichiarato nullo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a un dirigente in data 23.7.2020 e per l’effetto ha ordinato alla società datrice di lavoro di reintegrare il lavoratore in servizio e ha riconosciuto un risarcimento del danno in misura pari all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

I FATTI DI CAUSA

Il dirigente di una società conveniva in giudizio la società datrice di lavoro, con la quale aveva avuto un rapporto di lavoro subordinato dal 1.1.2018, poiché in data 23.7.2020 veniva licenziato per giustificato motivo oggettivo, consistente di fatto nella soppressione della sua posizione lavorativa dovuta ad una riorganizzazione conseguente al calo dell’attività aziendale, conseguente alla pandemia per covid-19.

A fondamento dell’impugnazione il lavoratore ricorrente deduceva, per quel che qui interessa, la violazione dell’art. 46 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18, convertito dalla Legge 24 aprile 2020 n. 27 e dell’art. 80 del D.L. 19 maggio 2020 n. 34, convertito dalla Legge 17 luglio 2020 n. 77, che andavano interpretati nel senso di vietare i licenziamenti per motivi oggettivi (economici) anche per i dirigenti.

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Chiedeva quindi al giudice del lavoro che venisse dichiarato nullo/inefficace il licenziamento intimatogli con le conseguenze di cui all’art.18 della L.n. 300/1970 c.m. dalla L.n. 92/2012, o in subordine, con quelle di diritto comune, oltre a tutte le competenze retributive, di fine rapporto e risarcitorie.

La società datrice di lavoro non si costituiva in giudizio e dunque veniva dichiarata contumace.

LA DECISIONE DEL GIUDICE – IL DIVIETO DI LICENZIAMENTO E LA SUA NULLITÀ

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, con la ordinanza sopracitata, riteneva la domanda del lavoratore fondata e meritevole di accoglimento. A suo avviso, infatti, al caso di specie andava applicata la normativa del periodo emergenziale covid, la quale stabiliva il divieto di licenziamento. In particolare, l’originario art. 46 del D.L. n. 18/2020 entrato in vigore il 17.3.2020, aveva “precluso” (ossia vietato) per 60 giorni (ossia fino al 16.5.2020): a) di avviare procedure di licenziamento collettivo ex artt. 4, 5 e 24 L.n. 223/91; b) di procedere in quelle pendenti; c) di licenziare per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L.n. 604/66 “indipendentemente dal numero dei dipendenti”. Successivamente, l’art. 80 del D.L. n. 34/2020, entrato in vigore il 17.5.2020, per quel che qui interessa, aveva esteso la portata temporale dell’art. 46 da 60 giorni a 5 mesi.

Secondo il Giudice, quindi, le disposizioni richiamate andavano applicate anche ai dirigenti per le seguenti ragioni: “a) la “ratio” del blocco dei licenziamenti appare essere evidentemente quella, in un certo senso di ordine pubblico, di evitare in via provvisoria che le pressoché generalizzate conseguenze economiche della pandemia si traducano nella soppressione immediata di posti di lavoro. C’è in un certo senso una compressione temporanea di una libertà/diritto fondati su Cost. 41/1, tendenzialmente destinata a trovare contemperamento in misure di sostegno alle imprese, ed ispirata ad un criterio di solidarietà sociale ex Cost. 2, e 4: non lasciare che il danno pandemico si scarichi sistematicamente ed automaticamente sui lavoratori. Tale esigenza è certo comune ai dirigenti che anzi sono più esposti a tale rischio stante la maggiore elasticità del loro regime contrattulacollettivo di preservazione dai licenziamenti arbitrari (c.d. giustificatezza) rispetto a quello posto dall’art. 3 cit… Tale circostanza già pone “in limine” un problema di ragionevolezza della loro esclusione in rapporto a Cost. 3; problema rafforzato (si direbbe “raddoppiato”) dal fatto che essi sono invece protetti in caso di licenziamento collettivo (art. 24, co. 1, legge n. 223/91 nel testo novellato dall’art. 16, co. 1, lett. A), legge n. 161/2014). Insomma, se è difficile capire perché i dirigenti dovrebbero essere esclusi da un “blocco” dei licenziamenti chiaramente improntato al criterio della preclusione della giustificazione economica, ancor meno risulta comprensibile perché il divieto dovrebbe operare per costoro in caso di licenziamento collettivo e non in caso di licenziamento individuale, a differenza degli altri lavoratori.  Il primo divieto, anzi, già offre un dato significativo del fatto che il legislatore non abbia in realtà inteso fondare una distinzione basata sullo “status” del lavoro dirigenziale e sulla particolarità di esso. Né appare comprensibile come una “ratio” di diversificazione possa fondarsi in sé sul diverso regime generale di giustificazione del recesso, posto che la “preclusione” mira proprio ad impedire licenziamenti agevolmente passibili di essere ritenuti altrimenti resi legittimi da difficoltà economiche rese pressoché generalizzate da un contesto di carattere generale.

CONCLUSIONI

Il Giudice, come sopra si è detto, concludeva per l’accoglimento del ricorso dichiarando la nullità del licenziamento con ordine alla società convenuta di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e risarcimento del danno come sopra quantificato.

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