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Come vi abbiamo informato nei giorni scorsi (v. articolo del 21 agosto u.s.), la Corte di giustizia europea dovrà decidere sulla compatibilità del diritto comunitario con le norme che regolano il regime delle tutele crescenti in tema di licenziamenti, che prevede un regime differente per coloro che sono stati assunti prima o dopo il 7.3.2015. Nella prima ipotesi, infatti, in caso di licenziamento illegittimo si applica l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori mentre nella seconda ipotesi il solo risarcimento, e ciò crea naturalmente una certa confusione e incertezza soprattutto in tema di adeguata tutela dei lavoratori.

Estratto dell’articolo di Giampero Falasca per il Sole 24 Ore (per il testo integrale clicca qui).

Il caso del Tribunale di Milano

L’ordinanza con cui il tribunale di Milano ha chiesto alla Corte di giustizia europea di pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto comunitario del regime delle tutele crescenti ha riaperto l’eterno cantiere sui licenziamenti (si veda il Sole 24 Ore del 21 agosto). Un cantiere che, nella ricerca di un punto di equilibrio tra la necessità di garantire tutele adeguate ai lavoratori e costruire sanzioni efficaci ed esigibili, ha prodotto una grande confusione applicativa; confusione che potrebbe aumentare qualora la Corte di giustizia decidesse di modificare, anche solo parzialmente, i criteri applicativi del Dlgs 23/2015.

I due sistemi vigenti dei vecchi assunti e dei nuovi assunti

Per confermare questo assunto, è sufficiente ricordare quali e quanti diversi sistemi normativi, diversi (anche solo parzialmente) si applicano oggi in tema di licenziamenti. C’è la grande spaccatura tra “vecchi assunti” (contratto a tempo indeterminato sottoscritto prima del 7 marzo 2015), che rimangono soggetti alla disciplina dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e i “nuovi assunti” (a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 in poi), che rientrano nel campo di applicazione delle tutele crescenti.

All’interno di ciascuno di questi grandi insiemi, c’è l’ulteriore segmentazione – del tutto ragionevole, peraltro – tra grandi imprese (con organico superiore a 15 dipendenti per unità produttiva oppure sopra a 60 su base nazionale) e piccole imprese.

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Un caso a sé: il licenziamento dei dirigenti …

Altra differenza si presenta per i dirigenti, rispetto ai quali non trovano applicazione le norme sulla reintegrazione sul posto di lavoro ma vige solo una tutela economica, i cui contenuti cambiano in maniera significativa secondo il contratto collettivo nazionale applicato.

… e i licenziamenti collettivi

Regole parzialmente diverse tra vecchi e nuovi assunti valgono anche per i licenziamenti collettivi, come rilevato, in chiave critica, dall’ordinanza del tribunale di Milano, e per i licenziamenti per motivi discriminatori. Non va, poi, dimenticato che per il pubblico impiego resiste un regime speciale e ci sono, infine, tanti “micro-sistemi” di regole applicabili per casi specifici.

La confusione in atto

Ciascuno di questi regimi porta con sé un carico di questioni applicative molto rilevante, e ciascuno di loro si caratterizza per il grande margine di discrezionalità che viene lasciato al giudice. Discrezionalità che sembra impossibile da eliminare: basti ricordare l’esito comune delle norme (annullate dalla Corte costituzionale) che hanno tentato di introdurre meccanismi automatici in tema di rimborso delle spese legali e quantificazione dell’indennizzo in caso di licenziamento invalido.

Un sistema caratterizzato da tanti regimi sanzionatori, accomunati da un alto grado di complessità applicativa e un altrettanto rilevante spazio di discrezionalità del giudice: un sistema che non può essere facilmente compreso, gestito e applicato senza un supporto specialistico, facendo aumentare il “costo” occulto di qualsiasi procedura di licenziamento, ma che non genera un livello di tutela omogeneo tra i lavoratori.

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