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L’Agenzia delle Entrate, con Interpello n. 50 del 17.1.2023, si è pronunciata in materia di residenza fiscale, attività lavorativa svolta alle dipendenze di un datore di lavoro estero ed emergenza Covid 19, precisando i requisiti applicativi del regime di tassazione su base convenzionale previsto dall’art. 51, comma 8-bis, del TUIR.

Di seguito il testo integrale dell’interpello n. 50/2023.

Il  Signor  X  (di  seguito  anche  l’Istante  o  il  Contribuente)  riferisce  di  essere  attualmente residente in Svizzera ma di essere stato residente in Italia sino al 2021. In tale  ultimo anno, in particolare, l’Istante ha concluso un contratto di lavoro dipendente con  una società irlandese con la quale veniva concordato, causa emergenza Covid, l’inizio del periodo lavorativo in smart working, dai primi giorni del mese di giugno 2021, e  quello presso la sede irlandese della stessa società da luglio 2021.  A causa  delle  restrizioni  stabilite  dalle competenti Autorità estere in  relazione  all’emergenza Covid, è stato, peraltro, possibile il materiale trasferimento dell’Istante con il suo intero nucleo familiare presso la residenza di Dublino (Irlanda) solo dal yy luglio  2021. Ad agosto 2021 il  Contribuente  ed  il  suo  nucleo  familiare  hanno  presentato  domanda di iscrizione all’AIRE in Dublino. Al riguardo, l’Istante fa notare come, in assenza delle misure emergenziali per fronteggiare la pandemia, predisposte dallo Stato irlandese, che hanno comportato una  limitazione della libertà di movimento dell’Istante, il suo trasferimento in Irlanda sarebbe  avvenuto a giugno 2021. Ciò posto, l’Istante richiede alla scrivente delucidazioni in merito agli obblighi  di  tassazione  in  Italia  sui  redditi  prodotti  quale  dipendente  di  società  estera  ed  alla  possibilità di disapplicare nel caso di specie le disposizioni, contenute nell’articolo 2 del  Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito TUIR), riguardanti la determinazione della residenza fiscale dei contribuenti,  stante la materiale impossibilità a trasferirsi nella sede stabilita dal contratto di lavoro  (di seguito primo quesito). In  caso  di  tassazione  dei  redditi  in  esame  in  Italia,  l’Istante  chiede  conferma  circa la  possibilità,  nella  fattispecie in trattazione,  di  applicare le  disposizioni,  recate  dall’articolo  51,  comma  8­bis,  del  TUIR,  riguardanti  la  determinazione  del  reddito  di lavoro dipendente prestato all’estero  sulla base delle  retribuzioni convenzionali  (di  seguito secondo quesito).

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE

Per  quel  che  concerne  il  primo  quesito,  l’Istante  ritiene  che,  al  fine  della  determinazione, in relazione all’emergenza Covid, della propria residenza fiscale nel 2021  (di  seguito  l’anno  di  riferimento),  si  debba,  innanzi  tutto,  aver  riguardo  alle  raccomandazioni OCSE del 3 aprile 2020 e del 21 gennaio 2021.

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Nelle linee  guida,  contenute  nelle  suddette  raccomandazioni, l’OCSE invita le  amministrazioni fiscali degli Stati appartenenti alla stessa Organizzazione a considerare, ai fini della valutazione della residenza, a fronte dell’emergenza Covid e delle conseguenti  restrizioni  imposte  dai  Governi  alla  libertà  di  circolazione,  un  arco  temporale che non sia influenzato da eventi eccezionali.

Tali raccomandazioni sono state solo parzialmente accolte dall’Amministrazione italiana,  negli  Accordi  con  Austria,  Francia  e  Svizzera  relativi  ai  lavoratori  transfrontalieri; non sono state, peraltro, regolamentate altre fattispecie. Tale circostanza crea, tuttavia, a giudizio dell’Istante, un differente trattamento fiscale tra fattispecie analoghe. Al riguardo, l’Istante rileva che, mentre, per effetto dei suddetti Accordi, i lavoratori  transfrontalieri  continuano  a  godere  delle  agevolazioni  fiscali  connesse  a  tale status, pur non recandosi materialmente oltre frontiera, nella fattispecie in esame  l’Istante, che non ha potuto trasferire la propria residenza all’estero a causa del blocco  alla circolazione tra gli Stati determinato dall’emergenza Covid, non potrebbe beneficiare delle disposizioni riguardanti i soggetti residenti all’estero.

L’Istante segnala, inoltre, che i requisiti per essere considerati residenti in Italia,  contenuti nell’articolo 2 del TUIR, possono essere rispettati solo in presenza di condizioni  normali di libera circolazione delle persone. Ciò posto, l’Istante ritiene, pertanto, che, nel rispetto delle citate raccomandazioni  dell’OCSE e causa forza maggiore dettata dall’emergenza sanitaria, nella fattispecie in esame  debbano  essere  disapplicate le  disposizioni,  concernenti lo status  di  residente  fiscale in Italia, contenute nel ripetuto articolo 2 del TUIR, e si debba, quindi, riconoscere  contestualmente  la  qualifica  di  soggetto  residente  all’estero  dell’Istante  nell’anno  di  riferimento, in quanto lo stesso  Istante  risultava impossibilitato a trasferire la propria  residenza  in  Irlanda  dal  giugno  2021  come,  invece,  sarebbe  avvenuto  in  condizioni  normali.

Per quel che concerne il secondo quesito l’Istante è dell’avviso che, qualora la  scrivente  non  dovesse  condividere  l’interpretazione  sopra  esposta,  attinente  al  primo  quesito,  possano  trovare  applicazione,  riguardo  al  reddito  prodotto  dall’Istante  quale  residente in Italia, le disposizioni, contenute nell’articolo 51, comma 8­bis del TUIR, che  prevedono la determinazione del  reddito di lavoro dipendente prestato all’estero sulla  base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto del Ministro del  Lavoro e delle Politiche Sociali.

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

In via preliminare  si evidenzia che l’accertamento dei presupposti per  stabilire  l’effettiva residenza fiscale costituisce una questione di fatto che non può essere oggetto di istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 (cfr. circolare n. 9/E del 1° aprile 2016).

Si  rileva,  in  particolare,  che  il  riscontro  sulla  residenza,  sia  ai  sensi  delle  disposizioni contenute nell’articolo 2 del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito TUIR), sia in base a quelle recate nelle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni in vigore nel nostro Paese, non può  essere operato in questa sede,  richiedendo la verifica di elementi  fattuali che esulano  dall’istituto  dell’interpello  ordinario,  la  cui  funzione  consulenziale  ne  limita  l’ambito  ai  soli  casi  in  cui  ricorra  un’incertezza  interpretativa  attinente  alla  norma  tributaria  (c.d.  ”interpello ordinario puro”),  ovvero alla  qualificazione  giuridico­tributaria  della  fattispecie (c.d. ”interpello ordinario qualificatorio”).

Infatti, come affermato più volte nei documenti di prassi, sono escluse dall’area dell’interpello tutte quelle ipotesi che, coerentemente alla natura, alle finalità dell’istituto  ed alle regole istruttorie di lavorazione delle istanze, sono caratterizzate da una spiccata  ed ineliminabile rilevanza dei profili fattuali riscontrabili dalla stessa amministrazione  finanziaria solo in sede di accertamento, come le questioni involgenti problemi collegati  alla residenza delle persone fisiche (Cfr. circolare 1° aprile 2016 n.9/E, e risoluzione 3 dicembre 2008, n. 471/E).

Il medesimo principio è stato, peraltro, affermato dalla giurisprudenza di legittimità  che,  nel  sostenere  la  cedevolezza  del  requisito  formalistico  dell’iscrizione  anagrafica  rispetto  all’approccio  sostanziale  previsto  nelle  Convenzioni  per  evitare  le doppie imposizioni, presuppone sempre l’accertamento di situazioni di fatto (Cfr. Cassazione Civile n. 26638 del 10 novembre 2017 e n. 20285 del 23 maggio 2013).

La seguente  risposta si basa, pertanto, sui  fatti e sui dati così come prospettati  nell’istanza di interpello, fermo restando, in capo al competente Ufficio finanziario, l’ordinario potere di verifica e di accertamento dell’effettiva residenza all’estero dell’Istante.

Si rileva, infine, che l’interpello in esame non pare ascrivibile, a differenza di  quanto  sembrerebbe  indicare  l’Istante  nella  sua  istanza,  all’area  degli  interpelli  ”disapplicativi”, disciplinati dall’articolo 11, comma 2, dello Statuto dei diritti del contribuente.  Ai  sensi  di  tale  ultima  disposizione,  infatti,  il  contribuente  interpella  l’amministrazione finanziaria per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo  di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta,  o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall’ordinamento  tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi. È appena il caso di rilevare, sul punto, che le disposizioni in  materia di residenza non hanno finalità antielusive e non limitano deduzioni detrazioni  o altre posizioni soggettive ammesse dall’ordinamento, ma disciplinano uno status del  soggetto passivo.

Tanto premesso, si rileva, per quel che attiene al primo quesito, come l’articolo  2, comma 2, del TUIR, considera fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che,  per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni (o 184 giorni in  caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno  nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. 

Le condizioni sopra indicate sono tra loro alternative e la sussistenza anche di una  sola di esse per la maggior parte del periodo d’imposta è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia.

Ciò posto, si rileva che, sulla base degli elementi di fatto rappresentati dall’Istante  nella richiesta di interpello in esame, l’Istante dovrebbe, in ogni caso, essere considerato,  ai sensi della vigente normativa interna italiana, residente nel nostro Paese per l’intera annualità  2021,  in  quanto  iscritto  nelle  anagrafi  della  popolazione  residente  per  la  maggior parte di tale periodo d’imposta.

Tanto chiarito sotto il profilo della normativa interna italiana, occorre, tuttavia, considerare le disposizioni internazionali contenute in accordi conclusi dall’Italia con gli  Stati esteri.

Il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno è, difatti,  pacificamente  riconosciuto nell’ordinamento italiano e, in ambito tributario, è  sancito  dall’articolo 169 del TUIR e dall’articolo 75 del D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, oltre ad essere stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale.

Nel caso in esame si fa specifico riferimento, per quel che attiene all’annualità  2021,  alla  Convenzione  tra  l’Italia  e  l’Irlanda  (Stato  in  cui  l’Istante  dichiara  di  aver  trasferito  la  residenza  nell’anno  di  riferimento)  per  evitare  le  doppie  imposizioni,  ratificata con Legge del 9 ottobre 1974, n. 583 (di seguito la Convenzione o il Trattato internazionale), il cui articolo 3 stabilisce, al paragrafo 1, lettera e), che l’espressione  residente dell’Italia designa: ­

  • una società che ha la sua sede effettiva di controllo e di direzione in Italia;
  • ­ogni altra persona che è considerata residente in Italia, ai fini dell’imposta  italiana, e non residente in Irlanda, ai fini dell’imposta irlandese, oppure, se residente in  Irlanda, che è fisicamente presente in tale Stato (present therein) per un periodo o per  periodi che non eccedono in totale i 91 giorni durante l’anno fiscale di riferimento.

Si  osserva, inoltre, che la  disposizione  speculare contenuta  nella lettera  d)  del  paragrafo 1 del citato articolo 3 della Convenzione stabilisce che l’espressione residente  dell’Irlanda designa:

  • una società che ha la sua sede effettiva di controllo e di direzione in Irlanda; ­         
  • ogni altra persona che è considerata residente in Irlanda ai fini dell’imposta  irlandese e non residente in Italia ai fini dell’imposta italiana o che è fisicamente presente  in Italia per un periodo o per periodi che non eccedono in totale 91 giorni durante l’anno  fiscale.

In  base al combinato  disposto  delle citate  disposizioni convenzionali  si  rileva,  pertanto, che, qualora una persona fisica risulti fiscalmente residente in Italia, ai sensi  della vigente normativa interna (cfr. articolo 2, comma 2, del TUIR), la stessa deve essere considerata, invece, non residente nel nostro Paese, secondo le disposizioni contenute  nel citato Trattato internazionale, solo se tale persona non supera complessivamente i 91 giorni di presenza fisica in Italia nell’anno fiscale di riferimento.

Da quanto sopra rappresentato, consegue, quindi, che, nella fattispecie in esame,  l’Istante deve essere considerato fiscalmente residente in Italia per tutto il 2021, poiché  dalle affermazioni dello stesso Istante si desume che la propria presenza fisica nel nostro Paese, nel corso dell’anno di riferimento, risulta complessivamente superiore ai 91 giorni.

Tale conclusione è valida a prescindere da ogni considerazione circa la valenza da  attribuire,  anche  alla  luce  delle  linee  guida  OCSE,  pubblicate  il  3  aprile  2020  e,  successivamente,  aggiornate  il  21  gennaio  2021,  all’impatto  che  le  misure  sanitarie  restrittive, adottate dai Paesi a seguito della pandemia, hanno sui Trattati internazionali. Sul punto, valgono, in ogni caso, i chiarimenti già forniti con la risposta n. 345 del 2021.

In  considerazione  di tale  circostanza,  si  segnala  che, in  base  alle  disposizioni  contenute nell’articolo 14 (lavoro subordinato), paragrafo 1, del citato Trattato internazionale,  il  reddito  relativo  all’attività  di  lavoro  dipendente  svolta,  nell’anno  di  riferimento,  in smart  working  sul  territorio  italiano,  dovrà  essere  assoggettato  ad  imposizione  esclusiva  nel  nostro  Paese  (Stato  di  residenza  del  Contribuente  e  di  svolgimento  dell’attività  lavorativa)  mentre  quello  derivante  dal  lavoro  subordinato  svolto in Irlanda dovrà essere assoggettato ad imposizione concorrente in Italia (Stato  di residenza) e in Irlanda (Stato di svolgimento dell’attività lavorativa). La conseguente  doppia imposizione dovrà essere eliminata in Italia, Stato di residenza dell’Istante nel  2021, ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, lettera b), della Convenzione e con le modalità  previste dall’articolo 165 del TUIR.

Per quel che attiene al secondo quesito posto dall’Istante, si osserva che il citato  comma 8­bis prevede, in deroga a quanto stabilito dai precedenti commi del medesimo  articolo  51  del  TUIR,  che  «il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesisoggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali di cui all’art. 4, comma 1, del decreto­legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398».

Ai sensi del richiamato articolo 4 tali retribuzioni sono fissate entro il 31 gennaio  di ogni anno e sono determinate con riferimento e, comunque, in misura non inferiore al  – trattamento economico minimo previsto dai contratti collettivi nazionali di categoria  raggruppati per settori omogenei.

Il citato criterio di determinazione del reddito si rivolge a quei lavoratori che, pur  svolgendo l’attività lavorativa all’estero, continuano ad essere qualificati come residenti  fiscali in Italia, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del TUIR.

L’applicazione di tale disposizione comporta che il reddito derivante dal lavoro  dipendente  prestato  all’estero  è  assoggettato  a  tassazione  assumendo  come  base  imponibile la  retribuzione convenzionale  fissata dal predetto decreto del Ministro del  lavoro e delle Politiche Sociali, senza tener conto della retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore.

Sulla base di quanto richiesto dalla norma, si rileva, pertanto, che la disciplina  fiscale di cui all’articolo 51, comma 8­bis, del TUIR, trova applicazione a condizione che:

  • l’attività lavorativa sia svolta all’estero per un determinato periodo  di tempo con carattere di permanenza o di sufficiente stabilità; ­                    
  • l’attività lavorativa svolta all’estero costituisca l’oggetto esclusivo del  rapporto di lavoro e, pertanto, l’esecuzione della prestazione lavorativa sia integralmente  svolta all’estero;
  • ­il lavoratore nell’arco temporale di dodici mesi (anche ricompreso  in due diversi periodi d’imposta) soggiorni nello Stato estero per un periodo superiore  a 183 giorni.

Oltre  ai  requisiti  sopra  richiamati,  è,  comunque,  necessario  che  il  lavoratore  operante all’estero sia inquadrato in una delle categorie per le quali il decreto del citato  Ministro fissa la retribuzione convenzionale.

Si fa, inoltre, presente come, in più occasioni, sia stato precisato che il criterio  adottato dal legislatore, ai fini dell’applicazione delle norme interne che disciplinano la  tassazione del reddito di lavoro dipendente, sia quello della presenza fisica del lavoratore  nello Stato in cui viene effettuata la prestazione lavorativa (cfr. circolare Ministero delle Finanze 16 novembre 2000, n. 207 e circolare Agenzia delle Entrate 23 maggio 2017,  n.17/E).

In particolare, nella citata circolare n. 207 del 2000, nel fornire istruzioni in merito  all’effettivo conteggio dei giorni di permanenza all’estero, ai fini dell’applicazione del comma 8­bis in esame, il Ministero delle Finanze ha precisato che i giorni di ferie, le  festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi vengono considerati per intero  giorni relativi alla determinazione della retribuzione dello Stato in cui viene prestata in  via prevalente l’attività lavorativa.

Al riguardo, risulta evidente che il periodo di svolgimento dell’attività lavorativa  in smart working nel nostro Paese non rientra tra i giorni non lavorativi indicati dalla  predetta circolare.

Sulla  base  dei  chiarimenti  sopra  forniti,  per  quanto  attiene  al  requisito  del  soggiorno in un Paese estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco temporale  di dodici mesi  (anche  ricompreso in due diverse annualità), da parte di un lavoratore  dipendente  residente in  Italia,  si  osserva  che,  nella  fattispecie  rappresentata, l’Istante  risulta nel 2021 residente nel nostro Paese, ma risulta altresì che nel corso di tale annualità  non ha superato i 183 giorni di soggiorno all’estero.

Il  limite  dei  183  giorni  di  soggiorno  all’estero  potrebbe  peraltro  essere  stato  superato  nel  2022;  tuttavia,  per  l’applicazione  delle  disposizioni  contenute  nel  citato  articolo 51, comma 8­bis, del TUIR, risulterebbe, altresì, necessario che l’Istante fosse  considerato residente nel nostro Paese anche in tale annualità, mentre l’Istante afferma, nella richiesta di interpello in esame, di essere residente in altro Stato estero nel 2022.

Si rileva, pertanto, sulla base delle affermazioni dell’Istante (qui assunte acriticamente) che il requisito del soggiorno in un Paese estero per un periodo superiore  a  183  giorni  nell’arco  temporale  di  dodici  mesi  (anche  ricompreso  in  due  diverse  annualità), da parte di un lavoratore dipendente residente in Italia, non risulta verificato  nella fattispecie in esame, ragion per cui non possono trovare applicazione le disposizioni  contenute nel citato articolo 51, comma 8­bis, del TUIR.

(Fonte: Agenzia delle Entrate)

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