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L’INL, con Circolre n. 6 del 5 ottobre 2020, ha fornito istruzioni al proprio personale ispettivo circa la diffida accertativa, la cui disciplina è stata recentemente modificata dall’art. 12-bi2s del D.L. n. 76 del 2020 (“Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”), introdotto in sede di conversione dalla legge n. 120/2020”).

Ecco di seguito il testo integrale della circolare n. 6/2020.

Facendo seguito alla Circolare n. 5 del 30 settembre 2020 u.s. in materia di disposizione, si forniscono le prime indicazioni per un corretto utilizzo da parte del personale ispettivo della diffida accertativa, la cui disciplina è stata recentemente modificata dall’art. 12 bis del d.l. n. 76/2020 (“Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”), introdotto in sede di conversione dalla legge n. 120/2020.

Come per il potere di disposizione, le modifiche apportate sono anzitutto finalizzate ad ampliare le reali possibilità di tutela dei lavoratori e le indicazioni che seguono, in linea con quanto osservato dall’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali con nota prot. n. 10117 del 05.09.2020, tengono altresì conto della concorrente volontà del legislatore di semplificare le procedure di emanazione del provvedimento.

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GLI INTERVENTI SULL’ART. 12 DEL D.LGS. N. 124/2004

L’art. 12 bis del d.l. n. 76/2020 ha dunque integrato e modificato come segue la disciplina dell’art. 12 del d.lgs. n. 124/2004:

Art. 12 Diffida accertativa per crediti patrimoniali

1. Qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti. La diffida trova altresì applicazione nei confronti dei soggetti che utilizzano le prestazioni di lavoro, da ritenersi solidalmente responsabili dei crediti accertati.

2. Entro trenta giorni dalla notifica della diffida accertativa, il datore di lavoro può promuovere tentativo di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro. In caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia e, per il verbale medesimo, non trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile. Entro il medesimo termine, in alternativa, il datore di lavoro può promuovere ricorso avverso il provvedimento di diffida al direttore dell’Ufficio che ha adottato l’atto. Il ricorso, notificato anche al lavoratore, sospende l’esecutività della diffida ed è deciso nel termine di 60 giorni dalla presentazione.

3. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 2 o in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, attestato da apposito verbale, oppure in caso di rigetto del ricorso, il provvedimento di diffida di cui al comma 1 acquista efficacia di titolo esecutivo”.

L’intervento “interpolativo” incide in particolare sulla “procedura” di diffida ragion per cui, anche in relazione agli ambiti di applicazione, rimangono confermate le previgenti indicazioni contenute nella circolare n. 1/2013 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e nelle successive e più specifiche note di chiarimento di questo Ispettorato.

DIFFIDA ACCERTATIVA IN CASO DI APPALTO

Un primo elemento di novità risiede nella estensione della platea dei destinatari della diffida.

Il legislatore ha infatti espressamente previsto che “la diffida trova altresì applicazione nei confronti dei soggetti che utilizzano le prestazioni di lavoro, da ritenersi solidalmente responsabili dei crediti accertati”.

Ciò comporta che la diffida accertativa, nell’ambito di un appalto o di una somministrazione di manodopera, avrà in ogni caso come destinatari sia il datore di lavoro sia il responsabile in solido, ai quali il lavoratore potrà dunque, indifferentemente, rivolgersi per dare esecuzione al titolo esecutivo.

Va ricordato che le retribuzioni andranno calcolate tenendo conto, per le ipotesi di somministrazione lavoro, di quanto previsto dall’art. 35, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015 secondo il quale “per tutta la durata della missione presso l’utilizzatore, i lavoratori del somministratore hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore”.

La notificazione della diffida anche in capo al responsabile in solido rimane ferma anche in tutte le ipotesi in cui sia in corso un accertamento in ordine alla liceità o meno della fattispecie di esternalizzazione, accertamento che non può “interferire” con il provvedimento di diffida se non in relazione ai profili concernenti l’effettiva quantificazione dei crediti del lavoratore e rispetto ai quali si rinvia ai pregressi chiarimenti.

SEMPLIFICAZIONE DELLE PROCEDURE E RIDUZIONE DELLE TEMPISTICHE

Un secondo elemento di novità e di forte semplificazione delle procedure è contenuto nella modifica dei restanti commi dell’art. 12 del d.lgs. n. 124/2004.

  1. Tentativo facoltativo di conciliazione

La previgente formulazione della disposizione prevedeva un tentativo facoltativo di conciliazione da esperire entro 30 giorni e, in caso di esito negativo della conciliazione o della scadenza del termine, un provvedimento di “convalida” da parte del dirigente della sede dell’Ispettorato che conferiva alla diffida “valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo”.

La nuova formulazione dell’art. 12 conferma la possibilità di instaurare un tentativo di conciliazione entro 30 giorni dalla notifica della diffida accertativa. Una volta promosso il tentativo di conciliazione e sino alla conclusione dello stesso – anche in data successiva ai 30 giorni dalla notifica della diffida – il provvedimento resta sostanzialmente “congelato”, senza dunque acquisire efficacia di titolo esecutivo. Del resto, la stessa formulazione del nuovo comma 3 dell’art. 12 del d.lgs. n. 124/2004 subordina l’efficacia di titolo esecutivo della diffida al decorso “inutile” – vale a dire senza che sia promosso il tentativo di conciliazione – del termine dei 30 giorni.

Benché la disposizione rimetta la possibilità di conciliare al “datore di lavoro” si ritiene che, nelle ipotesi di esternalizzazioni, tale facoltà vada estesa anche all’obbligato solidale.

In tali circostanze, appare opportuno convocare per il tentativo di conciliazione, nelle forme della conciliazione monocratica, anche il soggetto obbligato che non ne abbia fatto formalmente istanza, onde consentirgli di partecipare e di siglare l’eventuale accordo che, in tal modo, dispiegherà effetti nei confronti di tutte le parti.

Si ricorda infatti che, come già previsto dalla precedente formulazione, “in caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia e, per il verbale medesimo, non trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile”.

Nell’ipotesi in cui l’accordo venga siglato soltanto da uno dei soggetti obbligati, la diffida accertativa perderà efficacia soltanto nei suoi confronti mentre acquisterà valore di titolo esecutivo nei confronti della parte che non abbia aderito all’accordo di conciliazione.

Il lavoratore potrà quindi attivarsi per l’esecuzione dell’accordo (ove lo stesso non sia rispettato) ai sensi dell’art. 11, comma 3 bis, del d.lgs. n. 124/2004 – secondo cui “il verbale (…) è dichiarato esecutivo con decreto dal giudice competente, su istanza della parte interessata” – ovvero mettere in esecuzione la diffida accertativa nei confronti della parte che non abbia aderito alla conciliazione. Resta ferma la possibilità per quest’ultima, anche successivamente alla conciliazione, di poterne profittare ai sensi dell’art. 1304 c.c.

Si coglie, da ultimo, occasione per fornire alcune indicazioni esulanti dalla novella legislativa e concernenti l’attivazione e lo svolgimento del tentativo di conciliazione:

  • il tentativo di conciliazione, come già indicato in passato, avviene nelle forme della conciliazione monocratica;
  • qualora il datore di lavoro promuova il tentativo di conciliazione, l’Ufficio è sempre tenuto a convocare le parti. La convocazione che, in ragione dei carichi di lavoro di ciascuna struttura, potrà avvenire anche oltre il trentesimo giorno successivo alla notifica della diffida, dovrà evidenziare che sino alla conclusione della procedura conciliativa il provvedimento non acquista efficacia di titolo esecutivo;
  • la conciliazione, non diversamente da una transazione, deve in via di principio prevedere reciproche concessioni da parte di entrambe i soggetti intervenuti;
  • la quantificazione dei contributi dovuti avviene sempre in relazione alle somme accertate ed oggetto di diffida.
2. Ricorso al Direttore dell’Ufficio

Sempre entro il termine di 30 giorni il datore di lavoro “può promuovere ricorso avverso il provvedimento di diffida al Direttore dell’Ufficio che ha adottato l’atto”. Anche in questo caso si ritiene che tale facoltà debba essere estesa all’obbligato solidale. A differenza della procedura preesistente, l’eventuale ricorso:

  • non è più presentato nei confronti di una diffida “validata” da parte del dirigente di sede, ma nei confronti della stessa diffida adottata dal personale ispettivo;
  • va presentato al “Direttore dell’Ufficio che ha adottato l’atto” e non più al Comitato per i rapporti di lavoro di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 124/2004, che peraltro andava integrato “con un rappresentante dei datori di lavoro ed un rappresentante dei lavoratori designati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale”;
  • va notificato anche al lavoratore, “sospende l’esecutività della diffida ed è deciso nel termine di 60 giorni dalla presentazione” e non più nel termine di 90 giorni concessi al Comitato per i rapporti di lavoro;
  • non è più soggetto al silenzio-rigetto nel termine di 60 giorni dalla presentazione del ricorso.

In considerazione del fatto che in pendenza del ricorso è sospesa l’esecutività della diffida, si ritiene necessario sollecitare codesti Uffici ad adottare ogni misura organizzativa idonea a garantire una tempestiva trattazione dei ricorsi.

Sul punto occorre puntualizzare che, come già avveniva per quelli presentati al Comitato per i rapporti di lavoro, i ricorsi vanno decisi esclusivamente sulla base della documentazione in possesso dell’Ispettorato territoriale e di quella presentata dal datore di lavoro, non essendo previsto alcun tipo di “contraddittorio” tra quest’ultimo e il lavoratore.

Si evidenzia inoltre come il legislatore abbia espressamente previsto la notifica del ricorso al lavoratore, da parte del datore di lavoro.

Automatica formazione del titolo esecutivo

La diffida adottata dal personale ispettivo acquista automaticamente efficacia di titolo esecutivo, senza alcun provvedimento ulteriore da parte del Dirigente di sede o altro provvedimento da parte dell’Ufficio:

  • trascorsi 30 giorni dalla notifica, salvo che non sia promosso un tentativo di conciliazione o sia presentato ricorso al “Direttore dell’Ufficio che ha adottato l’atto”;
  • in caso di mancato raggiungimento di un accordo in sede conciliativa, “attestato da apposito verbale”;
  • in caso di “rigetto del ricorso”.

L’eventuale accoglimento del ricorso impedisce pertanto la formazione del titolo esecutivo. Nel caso di accoglimento parziale sarà invece necessario rettificare il provvedimento di diffida in conformità alle indicazioni contenute nella decisione del ricorso e notificarlo al datore di lavoro e al lavoratore, il quale potrà sin da subito attivare eventuali procedure esecutive.

Sulle modalità strettamente operative concernenti la notifica del provvedimento al datore di lavoro e al lavoratore si rinvia, ad ogni buon conto, ad una successiva specifica nota in cui sarà messa a disposizione anche la relativa modulistica.

Applicazione della nuova disciplina

Va evidenziato che tutta la nuova disciplina recata dall’art. 12 bis del d.l. n. 76/2020 riguarda esclusivamente le diffide accertative da notificare dopo la sua entrata in vigore.

Per i provvedimenti notificati prima del 15 settembre u.s. (data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 76/2020) troverà invece applicazione la previgente disciplina, anche in relazione alla eventuale presentazione e decisione dei ricorsi da parte del Comitato per i rapporti di lavoro di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 124/2004.

(Fonte: INL)

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