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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 22929 del 2019, ha stabilito che in caso di licenziamento illegittimo con condanna del datore alla reintegra nel posto di lavoro, il  risarcimento del danno non potrà essere ridotto nel caso in cui il provvedimento di reintegra avvenga a distanza di molto tempo rispetto al recesso datoriale.

L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori

L’art. 18, comma 4, della L.n. 300/1970 dispone Infatti che in caso di licenziamento illegittimo oltre alla reintegra sia corrisposto anche un risarcimento  (massimo) pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, nel caso in cui il periodo di tempo non lavorato sia pari o superiore a un anno (fatti salvi naturalmente l’aliunde perceptum e percipiendum).

Il limite del risarcimento del danno

Lo Statuto dei diritti dei lavoratori, infatti, stabilisce nello specifico che oltre alla reintegra nel posto di lavoro il datore dovrà essere condannato a versare al dipendente, a titolo di risarcimento, una indennità commisurata alle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegra nel posto di lavoro (sottratti da tale importo l’eventuale aliunde perceptum e percipiendum), in un importo massimo che, in ogni caso, non potrà essere superiore a 12 mensilità, come sopra si è detto.

La discrezionalità del Giudice

Nell’ambito di tale limite (12 mensilità), il Giudice che dovrà decidere discrezionalmente l’importo del risarcimento, qualora l’intervallo di tempo non lavorato tra il licenziamento e la data di effettiva reintegra sia superiore ad una annualità, di certo non potrà ridurne l’importo (del risarcimento), come qualcuno si è azzardato a sostenere.

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La decisione della Cassazione

In pratica la Corte di Cassazione, con la sentenza 22929/2019, così ragionando ha tolto al giudice la possibilità di valutare discrezionalmente sull’entità del risarcimento, ancorando il riconoscimento del tetto massimo delle dodici mensilità al solo decorso del lasso temporale di 1 anno (o più) dall’intimazione del licenziamento.

La Suprema Corte ha precisato altresì che il comma 4 dell’articolo 18, a norma del quale il risarcimento «non può essere superiore a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto», non prevede una forbice tra un minimo e un massimo. Quindi, se il periodo di tempo non lavorato tra la data del licenziamento e quella della sentenza di reintegra è superiore ad un anno, il limite delle 12 mensilità opera non solo in funzione contenitiva, per impedire una liquidazione del danno superiore, ma anche come parametro dal quale il giudice non può discostarsi per disporre un importo differente.

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