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La Corte Suprema di Cassazione, con la Sentenza n. 22110 del 2019, ha precisato i confini della responsabilità solidale tra appaltatore e committente circa i crediti retributivi vantati dai lavoratori nei confronti del datore di lavoro appaltatore.

Estratto dell’articolo di Valeria Zeppilli per Il Sole 24 Ore.

Nell’appalto di opere o servizi, la legge Biagi, all’articolo 29, si preoccupa di sancire la responsabilità solidale di appaltatore e committente per i crediti retributivi vantati dai lavoratori verso il datore di lavoro-appaltatore. È una norma che è stata oggetto, negli anni, di molteplici modifiche, ma che da sempre lascia ferma tale solidarietà con il fine di rafforzare la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni retributive e previdenziali.

Con riferimento a tale previsione, risulta particolarmente interessante una recente sentenza della Corte di cassazione (Sentenza n. 22110 del 2019) che, sebbene sia stata resa con riferimento a una vicenda nella quale non andava applicata la norma nella sua ultima formulazione (ovverosia quella risultante dalle modifiche apportate dal decreto legge n. 25/2017), ha comunque il merito di aver chiarito alcuni principi di carattere generale, applicabili anche oggi.

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La responsabilità solidale

In particolare, i giudici della Suprema Corte hanno innanzitutto precisato che il regime della responsabilità solidale di cui al predetto articolo 29 riguarda gli emolumenti che il datore di lavoro deve corrispondere ai propri dipendenti, che hanno una natura strettamente retributiva e riguardano il periodo in cui il rapporto di lavoro è stato interessato dall’appalto. Di conseguenza, la solidarietà non può estendersi sino a ricomprendere, ad esempio, le somme che sono state riconosciute al lavoratore a titolo di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo.

La durata biennale della solidarietà tra le parti

Un altro importante chiarimento di carattere generale, e valido con riferimento a tutte le formulazioni dell’articolo 29, riguarda il termine biennale dalla cessazione dell’appalto entro il quale vige la solidarietà tra il committente imprenditore o datore di lavoro e l’appaltatore (e gli eventuali subappaltatori). Con riferimento a tale termine, in particolare, la Corte di cassazione ha precisato qual è la sua natura: si tratta di un termine di decadenza per la proposizione dell’azione giudiziale per i crediti per i quali è prevista la solidarietà.

L’azione degli enti previdenziali

Infine, i giudici della Corte di cassazione hanno chiarito anche che, in ogni caso, il termine di due anni previsto dall’articolo 29 non deve applicarsi all’azione promossa dagli enti previdenziali, la quale è soggetta alla sola prescrizione. In caso contrario, infatti, si giungerebbe ad ammettere, in maniera non condivisibile, la possibilità che alla corresponsione di una retribuzione a seguito dell’azione tempestiva promossa dal lavoratore non segua il soddisfacimento dell’obbligo contributivo, per il solo fatto che l’ente previdenziale non ha azionato la propria pretesa nei due anni successivi alla cessazione dell’appalto. Avallando tale possibilità, si andrebbe a inficiare la protezione assicurativa del lavoratore (che, al contrario, l’articolo 29 tenta di potenziare), spezzando il legame tra retribuzione e adempimento dell’obbligo contributivo “senza alcuna plausibile ragione logica e giuridica apprezzabile”.

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