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La III Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 19677 del 2018, ha espresso il seguente principio di diritto: “In caso di crisi di impresa non si può invocare l’assenza di risorse se sono state pagate le retribuzioni, nelle ipotesi di ristrettezza i versamenti previdenziali, assistiti da norma penale, hanno la priorità”. (Dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 8 maggio 2018).

Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 19677/2018.

La Corte d’Appello di Bari con la sentenza del 9 marzo 2017, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Foggia del 24 ottobre 2014, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di …., legale rappresentante della …, per i reati di omesso versamento all’INPS delle ritenute previdenziali ed assistenziali, commessi dal luglio 2008 all’agosto 2009, perché estinti per prescrizione; ha confermato nel resto la sentenza di primo grado, rideterminando la pena in mesi quattro di reclusione ed euro 600,00 di multa.

Il difensore di … ha proposto ricorso avverso la sentenza del 9 marzo 2017 della Corte d’Appello di Bari che è stato rigettato dalla Cassazione.

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La Corte Suprema, con la sentenza 19677/2018, ha ribadito l’orientamento consolidato in base al quale il reato de quo è configurabile anche nel caso in cui si accerti l’esistenza del successivo stato di insolvenza dell’imprenditore, in quanto è onere di quest’ultimo ripartire le risorse esistenti al momento di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori dipendenti in modo da poter adempiere all’obbligo del versamento delle ritenute, anche se ciò possa riflettersi sull’integrale pagamento delle retribuzioni medesime. Ha ricordato la Cassazione che la legge affida al datore di lavoro, in quanto debitore delle retribuzioni nei confronti dei prestatori di lavoro dipendenti, il compito di detrarre dalle stesse l’importo delle ritenute assistenziali e previdenziali da quelle dovute e di corrisponderlo all’Erario quale sostituto del soggetto obbligato.

In questo senso il sostituto adempie contemporaneamente a un obbligo proprio e a un obbligo altrui: di qui la conseguenza di ritenerlo vincolato al pagamento delle ritenute allo stesso titolo per cui è vincolato al pagamento delle retribuzioni. Di conseguenza, lo stato di insolvenza non libera il sostituto, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute all’INPS, così come adempie a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse sono, del resto, parte. Si è perciò, ritenuto che anche il sopravvenuto fallimento dell’agente non è sufficiente a scriminare il precedente omesso versamento delle ritenute, essendo obbligo del sostituto quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da poter adempiere il proprio obbligo, anche se ciò dovesse comportare l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare.

Inoltre, quando l’imprenditore, in presenza di una situazione economica difficile, decida di dare la preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute, non può addurre a propria discolpa l’assenza dell’elemento psicologico del reato, ricorrendo in ogni caso il dolo generico.

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