Advertisement

Crisi di liquidità, il pagamento dei contributi prevale su quello delle retribuzioni:

Se il datore di lavoro si trova in crisi di liquidità e deve scegliere tra pagare le retribuzioni ai dipendenti o versare i contributi previdenziali è a questi ultimi che deve dare la preferenza, secondo le indicazioni della Corte di Cassazione nella sentenza 56432 del 2017.

E a chiarirci meglio la questione della crisi di liquidità aziendale e la prevalenza del versamento dei contributi rispetto al pagamento delle retribuzioni è anche l’articolo pubblicato oggi (20.12.2017) dal Sole 24 Ore (Firma: Matteo Prioschi; Titolo: “I contributi prevalgono sugli stipendi”) che di seguito riportiamo.

Il datore di lavoro a corto di liquidità, dovendo scegliere se pagare le retribuzioni dei dipendenti o versare le relative contribuzioni, dovrebbe preferire la seconda opzione. Questa l’indicazione che emerge dalla sentenza 56432/2017 della Corte di cassazione in cui è stato anche ribadito il criterio temporale per calcolare la rilevanza penale dell’inadempimento, già indicato in altre pronunce.
Un datore di lavoro che non ha versato i contributi tra dicembre 2011 e ottobre 2012 si è difeso sostenendo di trovarsi in una situazione di forza maggiore. Il suo comportamento sarebbe derivato da una situazione di forza maggiore e per questo motivo, ha sostenuto la difesa, non sarebbe stato condannabile perché, secondo l’articolo 45 del codice penale, «non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore».
Tuttavia la Cassazione rileva che l’azienda non ha avuto una crisi di liquidità assoluta, dato che, mentre ometteva di versare i contributi, ha continuato a pagare lo stipendio ai dipendenti. Inoltre il datore di lavoro avrebbe dovuto prevedere che continuando a versare le retribuzioni «non avrebbe potuto adempiere agli obblighi contributivi».
L’imprenditore si è trovato di fronte al «conflitto tra l’obbligo contributivo e il diritto dei lavoratori a percepire la retribuzione agli stessi spettante». Due adempimenti entrambi «meritevoli di tutela» ma correttamente, secondo la Cassazione, nei primi due gradi di giudizio si è data prevalenza all’obbligo contributivo in quanto solo il mancato rispetto dello stesso comporta un illecito penale. Ne consegue, secondo la Suprema corte che «l’imputato avrebbe dovuto, dinnanzi al contestuale sorgere delle due obbligazioni, accantonare le somme corrispondenti al debito previdenziale».
Per quanto riguarda, invece, i dodici mesi da considerare per verificare se l’importo degli importi omessi supera i 10mila euro con conseguente sanzione penale, la Cassazione si allinea alle precedenti pronunce, secondo cui vale il principio di competenza: si devono considerare i mesi da gennaio a dicembre e le relative scadenze di pagamento dal 16 febbraio al 16 gennaio dell’anno successivo. Un orientamento che contrasta con quanto concordato in via amministrativa tra Inps, ministero del Lavoro e Procura di Roma (si veda il Sole 24 Ore di ieri).

Advertisement