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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 2142 del 2018, ha ritenuto “illegittima la sanzione disciplinare inflitta alla dipendente per aver inviato una mail con la quale avvertiva un dirigente, e altre 7 persone per conoscenza, che non poteva partecipare a una videoconferenza a causa dello stato di mobbing in cui versava. Per la Cassazione l’invio a più persone era frutto di un errore materiale, inoltre non veniva fatto il nome della persona che aveva messo in atto le condotte mobbizzanti” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 30.1.2018).

Vediamo insieme i fatti di causa.

La Corte di Appello di Potenza, con sentenza resa pubblica il 17.12.2012, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda proposta da … spa nei confronti di …, volta a conseguire la declaratoria di illegittimità della sanzione disciplinare irrogata in data 12.10.2006, per avere diffuso impropriamente fra i colleghi due mails di contenuto lesivo dei principi di correttezza e buona fede ai quali è informata l’obbligazione lavorativa.

In sostanza la lavoratrice, convocata ad una videoconferenza per il giorno 20.9.2006, comunicava ai propri colleghi di non poter partecipare, dovendo sottoporsi a visita neurologica, per i disturbi diagnosticati in ragione della condizione mobbizzante in cui versava.

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Ad avviso della Corte d’Appello l’invio della mail era ascrivibile a “mero errore”, mentre per la società datrice di lavoro era configurabile un uso improprio di uno strumento di lavoro quale è la mail aziendale.

La condotta complessiva posta in essere dalla lavoratrice, si legge nella sentenza 2142/2018, sia nel suo contenuto obiettivo che nella sua portata soggettiva, rimarcando sotto tale profilo gli aspetti della vicenda – quale la condizione lavorativa vissuta dalla …. con grande sofferenza – si palesavano idonei ad escludere la configurabilità di un comportamento deliberatamente denigratorio.

Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la società datrice di lavoro che veniva tuttavia rigettato dalla Corte di Cassazione.

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