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La II Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 4367 del 2018, ha stabilito che sono legittime le videoriprese del lavoratore ritenuto responsabile di appropriazione indebita.

Vediamo insieme i fatti di causa con l’articolo pubblicato oggi (31.1.2018) dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore (Firma: G. Piagnerelli; Titolo: “Legittime le videoriprese del lavoratore se è imputato di appropriazione indebita”) che di seguito riportiamo.

In presenza di un reato le videoriprese hanno pieno valore probatorio. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza 4376/18. La Corte si è trovata alle prese con una lavoratrice che, proprio in funzione degli accertamenti condotti, era stata ritenuta responsabile di appropriazione indebita.

I gradi di giudizio – In primo grado la condanna era stata di 6 mesi di carcere, in appello in funzione della scelta del rito abbreviato la sanzione si era dimezzata a tre mesi di reclusione. Contro la decisione è stato presentato ricorso evidenziando l’uso illegittimo della videoriprese. I Supremi giudici, in piena sintonia con i giudici di merito hanno ritenuto utilizzabili i risultati delle videoriprese effettuate con la telecamera all’interno del luogo di lavoro ricordando che – secondo un consolidato orientamento di legittimità – le immagini sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato. In particolare i risultati attraverso questi mezzi servono al datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli, in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non fanno divieto dei cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio. Fatte queste precisazioni la Corte ha rilevato come fossero fuori luogo anche le affermazioni secondo cui le videoriprese fossero state eseguite “non in maniera consequenziale, non progressivamente, ma solo a giorni e orari scelti dai titolari della gelateria”.

Conclusioni. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 2mila euro a favore della cassa delle ammende.

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