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La Corte di Cassazione, con la sentenza 1381 del 2018, ha respinto il ricorso di una lavoratrice che aveva accusato di “mobbing il capo, nonché ex fidanzato, per aver subito vessazioni in ufficio dopo la fine della loro relazione. Mancano le presunzioni gravi”. (Dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 22.1.2018).

Ma vediamo insieme i fatti di causa.

La Corte di appello di Ancona, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto la domanda con quale … aveva chiesto la condanna della … s.r.l. società unipersonale, al risarcimento del danno psico-fisico, quantificato in € 60.000, cagionatole dalle condotte asseritamente vessatorie e denigratorie (anche in relazione al manifestato intento di demansionarla) poste in essere nei suoi confronti da … legale rappresentante della società, dopo la fine del loro legame sentimentale, e l’accertamento della sussistenza della giusta causa delle dimissioni, rassegnate in data 9 settembre 2009, con conseguente condanna della società alla restituzione della somma di € 6.783,76 (trattenuta a titolo di indennità di mancato preavviso) ed alla corresponsione in proprio favore della indennità sostitutiva del preavviso nella misura riconosciuta dal contratto collettivo di categoria.

Il giudice di appello, in relazione al periodo oggetto di causa, decorrente dal giugno 2008, epoca di rottura della relazione sentimentale tra la …e lo …, ha escluso, sulla base degli esiti della prova orale, che questi avesse tenuto nei confronti della prima un atteggiamento denigratorio sfociato in aggressioni verbali ed espressioni offensive e che avesse tentato di emarginarla nell’ambito dell’ambiente di lavoro; ha, infatti, ricondotto i contrasti tra i due alla normale conflittualità dell’ambiente lavorativo, conflittualità nel caso specifico accentuata dalla recriminazioni reciproche scaturite dalla rottura della relazione sentimentale; ha, inoltre, rilevato la congruità delle mansioni svolte dalla lavoratrice rispetto all’inquadramento contrattuale ed ha escluso che vi fosse stato l’intento di demansionare la lavoratrice costituendo l’assunzione a termine di altro dipendente espressione della libertà di scelta imprenditoriale tutelata dall’art. 41 Cost.; in questa prospettiva ha ritenuto non sorrette da giusta causa le dimissioni date dalla dipendente ed ha evidenziato come, al momento nel quale le stesse erano state rassegnate, la lavoratrice era assente per malattia dal lavoro da ben nove mesi.

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Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la lavoratrice che però veniva rigettato con la sentenza 1381/2018.

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