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Le nuove sanzioni per lavoro nero:

Un approfondimento sulle nuove sanzioni per lavoro nero si rende necessario alla luce delle modifiche apportate alla maxisanzione per lavoro dall’art. 22 del D.Lgs. n. 151 del 2015 (o decreto semplificazioni) di attuazione del Jobs Act.

Ecco per voi cosa dice al riguardo un articolo pubblicato oggi (21.12.2015) dal Sole 24 Ore (Firma: Stefano Rossi; Titolo: “Via libera alla diffida per lavoro irregolare”) sull’argomento.

Sanzioni graduate per fasce, reintroduzione della diffida e tempi di pagamento più ampi. Sono le modifiche apportate alla maxisanzione per lavoro nero dall’articolo 22 del Dlgs 151/2015 sulle semplificazioni, emanato in attuazione del Jobs act e in vigore dal 24 settembre scorso.

Un provvedimento che, nelle intenzioni del Governo, produrrà l’effetto di prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso secondo quanto affermato dalle risoluzioni del Parlamento europeo del 9 ottobre 2008 e del 1° gennaio 2014 relative alle ispezioni sul lavoro. Il ministero del Lavoro è intervenuto su questo capitolo della riforma con la circolare 26/2015 e con la nota 20549 del 26 novembre.

Le nuove sanzioni

Il restyling (preceduto da altre riforme negli anni scorsi) ha interessato i criteri di determinazione della sanzione graduata per “fasce”, in relazione alla durata del comportamento illecito. Scompare l’originaria sanzione amministrativa sulle giornate di effettivo lavoro nero, in virtù dell’oggettiva difficoltà di conteggio per gli ispettori. Oggi, invece la sanzione è così graduata:

da 1.500 a 9mila euro se il lavoratore irregolare è stato impiegato per 30 giorni effettivi;

da 3mila a a 1800 euro se il lavoro svolto va da 31 a 60 giorni;

e da 6mila a 36mila euro se il lavoro irregolare supera le 60 giornate.

Gli importi sono aumentati del 20% nel caso di impiego di lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno e di minori in età non lavorativa, per i quali, tra l’altro, non trova spazio la diffida.

Il ripristino della diffida

Il Job act reintroduce la diffida ad adempiere prevista dall’articolo 13 del Dlgs 124/2004 attraverso la stipulazione di un contratto a tempo indeterminato, anche part-time con riduzione dell’orario non superiore al 50% o con contratto a tempo pieno e determinato di almeno tre mesi. Un altro adempimento per poter accedere al pagamento in misura minima della sanzione è il mantenimento in servizio dei lavoratori oggetto di regolarizzazione per un periodo di almeno tre mesi.

Il legislatore, tuttavia, esclude quest’ultimo adempimento nei casi di lavoratori regolarmente occupati per un periodo successivo a quello prestato in nero (fattispecie che ricalca la vecchia «maxisanzione affievolita») e per i lavoratori irregolari non più in forza presso il datore di lavoro al momento dell’accesso ispettivo, per i quali la diffida avrà a oggetto la regolarizzazione del periodo prestato in nero nell’ordinario termine di 45 giorni dalla notifica del verbale.

Nel caso di lavoratori ancora in forza al momento dell’accesso ispettivo, il trasgressore dovrà, entro 120 giorni dalla notifica del verbale:

dimostrare di aver regolarizzato l’intero periodo di lavoro prestato “in nero”;

versare i contributi e premi;

stipulare un contratto a tempo indeterminato, anche a tempo parziale non inferiore al 50% dell’orario full time, o un contratto a tempo pieno e determinato non inferiore a tre mesi;

mantenere in servizio il lavoratore per almeno tre mesi e cioè almeno 90 giorni di calendario, con la corresponsione delle retribuzioni;

pagare la maxisanzione.

Le indicazioni agli ispettori

Con la circolare 26/2015 il ministero del Lavoro ha precisato che non è possibile stipulare contratti di lavoro intermittenti o di lavoro accessorio o accedere alle agevolazioni contributive previste dalla legge 190/2014 poiché l’articolo 1 comma 1175 della legge 296/2006 subordina l’accesso a eventuali benefici normativi e contributivi anche al rispetto degli «altri obblighi di legge». In questa direzione si dovrà escludere anche la possibilità di sottoscrivere contratti di apprendistato. La circolare stabilisce che il periodo di tre mesi di mantenimento in servizio dovrà essere computato al netto del periodo di lavoro prestato in nero, che andrà comunque regolarizzato, e dovrà essere conteggiato dalla data dell’accesso ispettivo.

Nel caso di interruzione del rapporto per cause non imputabili al datore di lavoro nel periodo tra l’accesso e la notifica del verbale, il trasgressore potrà stipulare successivamente un contratto di lavoro, ma, sempre entro il termine di 120 giorni, l’azienda dovrà dare dimostrazione dell’effettivo periodo di lavoro di almeno tre mesi.

La procedura, che lascia aperti alcuni interrogativi (si veda l’articolo in basso), dovrà – secondo il Ministero – essere spiegata dal personale ispettivo nel verbale di primo accesso. Quindi, entro il centoventesimo giorno dalla notifica del verbale, dovrà trovare pieno compimento l’intero periodo trimestrale di mantenimento in servizio del lavoratore, in mancanza del quale, si legge nella circolare, «qualunque ne sia la ragione», non potrà ritenersi adempiuta la diffida.

Produrranno dunque effetto la contestazione e la notifica dell’illecito in base alla legge 689/1981, ovvero il pagamento della sanzione in misura ridotta anziché minima. Un’altra rilevante novità riguarda, in caso di ricorso al lavoro nero, la mancata applicazione delle sanzioni sulla consegna della lettera di assunzione e sulle violazioni relative al Libro unico del lavoro.

LA PAROLA CHIAVE

Diffida ad adempiere

È il provvedimento disciplinato dall’articolo 13 del Dlgs 124/2004 con il quale gli ispettori intimano al datore di regolarizzare le inosservanze delle norme sul lavoro (che siano sanabili) e gli inadempimenti dai quali derivano sanzioni amministrative, fissando il termine entro cui adempiere.

In caso di ottemperanza alla diffida, il datore può pagare le sanzioni nella misura minima prevista dalla legge ovvero nella misura pari a un quarto

della sanzione stabilita in misura fissa. Il pagamento estingue il procedimento sanzionatorio.

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