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Decreto Attuativo Jobs Act giustificato motivo e giusta causa: 

Lo scorso 25 dicembre 2014 il Governo ha presentato il primo schema di decreto attuativo riferito alla legge delega sul Jobs Act. Nello specifico si tratta di uno schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della L.n. 183/2014.

Nel caso in cui il giudice riconosca che non sussista giusta causa o giustificato motivo soggettivo od oggettivo, viene confermata una indennità di risarcimento in favore del lavoratore illegittimamente licenziato di due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio e fino ad un massimo di 24 mensilità (ed un minimo di quattro mensilità).

Nello specifico il decreto attuativo, per quanto concerne il licenziamento per giustificato motivo e giusta causa prevede che:

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ad eccezione dei casi di licenziamento discriminatorio e/o nullo, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.

Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lett. c, del D.Lgs. n. 181/2000. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Al lavoratore è attribuita la facoltà di cui all’articolo 2, comma 3 e cioè il lavoratore può chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione, una indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione (non assoggettata a contribuzione previdenziale). La disciplina di cui sopra trova applicazione anche nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della L.n. 68/1999. Al licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 1 non trova applicazione l’articolo 7 della legge n. 604 del 1966 (sul tentativo di conciliazione).

 

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