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Licenziamento illegittimo e disegno di legge n. 3249

Con il d.d.l. n. 3249 contenente “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” presentato al Senato il 5 aprile 2012, al Capo III disciplina – introducendo rilevanti novità – la materia dei licenziamenti individuali.

Si indicano di seguito le modifiche che il d.d.l. potrebbe apportare alle leggi già vigenti in materia di licenziamenti:

Modifiche alla L.n. 604/1966 (Norme sui licenziamenti individuali)

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  1. Art. 13, comma 1, d.d.l. di modifica dell’art. 2, comma 2, L.n. 604/66 :

    – l’art. 2, comma 2, della L.n. 604/66 nel testo attuale recita: “2. Il prestatore di lavoro può chiedere,entro quindici giorni dalla comunicazione,i motivi che hanno determinato il recesso: in tal caso il datore di lavoro deve, nei sette giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto“;

    – il nuovo testo del comma 2 diventerebbe: ” 2. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato”. Per il resto l’art. 2 della L.n. 604/66 resta invariato.

  2. Art. 13, comma 2, d.d.l. di modifica dell’art. 6, comma 2, L.n. 604/66 :

    – l’art. 6, comma 2, della L.n. 604/66 nel testo attuale recita: “2.L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.“;

    – il nuovo testo del comma 2 diventerebbe: ” 2.L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessantagiorni dal rifiuto o dal mancato accordo.”.

  3. Art. 13, comma 4, d.d.l. di modifica dell’art. 7, comma 2, L.n. 604/66:

    – l’art. 7 della L.n. 604/66, nel testo attuale recita: Quando il prestatore di lavoro non possa avvalersi delle procedure previste dai contratti collettivi o dagli accordi sindacali, può promuovere, entro venti giorni dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento, il tentativo di conciliazione presso l’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione. Le parti possono farsi assistere dalle associazioni sindacali a cui sono iscritte o alle quali conferiscono mandato. Il relativo verbale di conciliazione, in copia autenticata dal direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, acquista forza di titolo esecutivo con decreto, del pretore. Il termine di cui al primo comma dell’articolo precedente è sospeso dal giorno della richiesta all’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione fino alla data della comunicazione del deposito in cancelleria del decreto del pretore, di cui al comma precedente o, nel caso di fallimento, del tentativo di conciliazione, fino alla data del relativo verbale. In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione di cui al primo comma le parti possono definire consensualmente la controversia mediante arbitrato irrituale“;

    – il nuovo testo dell’art. 7 diventerebbe: “1. Ferma l’applicabilità, per il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, dell’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.2. Nella comunicazione di cui al primo comma, il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato. 3. La Direzione territoriale del lavoro convoca il datore di lavoro e il lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l’incontro si svolge dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile 4. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da unavvocato o un consulente del lavoro. 5. La procedura di cui al presente articolo, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della Commissione di cui al comma 3, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro ventigiorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di unaccordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore. 6. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l’impiego (AspI) e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia di cui 7. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di Commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’articolo 18, settimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni, e per l’applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile. all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decretol egislativo 10 settembre 2003, n. 276.

Modifiche all’art. 18 della L.n. 300/1970

Il d.d.l. n. 3249 inoltre apporterebbe delle modifiche anche all’art. 18 della L.n. 300/1970 (Statuto di lavoratori) ed in particolare sulle sanzioni previste in caso di licenziamenti illegittimi.

In particolare, l’art. 14 del d.d.l. Definisce 4 diverse sanzioni in base alla intensità della violazione commessa dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore licenziato e nello specifico:

  1. reintegrazione del lavoratore e una indennità pari ad almeno 5 mensilità della retribuzione globale di fatto in caso di licenziamento discriminatorio, nullo o inefficace (ex art. 18, co. 1 – 3, St. Lav.);

  2. reintegrazione del lavoratore e un risarcimento fino a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto in caso di licenziamento (ingiustificato) per giusta causa o giustificato motivo oggettivo o soggettivo (art. 18, co. 4 e 7, St. Lav.);

  3. risarcimento omnicomprensivo costituito da una indennità compresa tra 12 e 24 mensilità della retribuzione globale di fatto, negli altri casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o disciplinare (art. 18, co. 5 e 7, St. Lav.), da determinarsi in base a quanto previsto dall’art. 8 L.n. 604/1966;

  4. risariscimento omnicomprensivo costituito da una indennità compresa tra 6 e 12 mensilità della retribuzione globale di fatto in caso di presenza di vizi procedurali e formali del licenziamento ma non legati ad altri profili di illegittimità nel merito del licenziamento, da determinarsi sia in base a quanto previsto dall’art. 8 della L.n. 604/1966 che alla gravità della infrazione commessa dal datore di lavoro;

    Appare quindi evidente che la reintegrazione in servizio del lavoratore illegittimamente licenziamento viene limitatan soltanto ai casi di gravi illegittimità commesse dal datore di lavoro.

    Inoltre l’ultimo comma del nuovo art. 18 St. Lav. disciplina le conseguenze in caso di revoca del licenziamento.

    Il nuovo testo introdotto dal d.d.l. in questione sarebbe il seguente: “Nell’ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo.”

Ambito di applicazione

L’art. 18 St. Lav., nella nuova formulazione a seguito delle modifiche apportate dal d.d.l. di cui sopra, non ha subito variazioni e quindi viene applicato a tutti i datori di lavoro, imprenditori o non imprenditori, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale sia stato irrogato il licenziamento, (oppure nel medesimo ambito territoriale) occupino alle proprie dipendenze più di 15 lavoratori (o, nel caso di imprenditori agricoli, più di 5 lavoratori), anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze, in totale, più di 60 dipendenti, ovviamente fatte salve le ipotesi di esclusione di cui all’art. 4, co. 1, L. n. 108/1990.

Ciò naturalmente, tenendo conto dei dettami del consolidato orientamento della Suprema Corte i quali stabiliscono l’onere della prova a carico del datore di lavoro circa la dimostrazione della inesistenza del requisito dimensionale di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, e quindi dell’impossibilità di reintegrare il lavoratore licenziato, (v.per tutte Cass. Sez. Un. n. 141/2006).

Pertanto, mentre al lavoratore spetta solo la prova dell’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo, la dimostrazione del requisito dimensionale dell’impresa, (nello specifico inferiori ai limiti stabiliti dall’art. 18 della L. n. 300/1970) spetta al datore di lavoro.

Giova evidenziare che, per unità produttiva, si intende non ogni sede stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell’impresa, ma soltanto la più consistente e vasta entità aziendale che – anche se costituita da sedi (o impianti) minori, ubicati pure in diversi comuni – deve però essere indipendente sia dal punto di vista amministrativo che tecnico. Indipendenza in base alla quale quindi possa esaurire un intero ciclo produttivo relativamente ad una frazione o ad un momento fondamentale del’attività produttiva aziendale.

Ai fini della ricorrenza del requisito numerico per l’applicazione dell’art. 18 St. Lav., la giurisprudenza di merito rileva che debbano essere computati anche i lavoratori che, pur formalmente inquadrati nello schema contrattuale dei rapporti di collaborazione a progetto, prestino un’attività lavorativa connotata dai tratti della subordinazione.

Invece per le piccole imprese viene applicato ai licenziamenti il regime previsto dall’art. 8 della L.n. 604/1966. Infatti l’art. 8 disciplina l’ipotesi di c.d. riassunzione in caso di accertata illegittimità del licenziamento, stabilendo che il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di 3 giorni o, in mancanza, a risarcire il danno, versandogli una indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti.

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