La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 11181 del 2019, ha reso il seguente principio di diritto: “è legittimo il licenziamento della cassiera che trattiene, e poi fa spendere al marito nello stesso punto vendita, buoni spesa (per un totale di 24 euro) che spettavano alle clienti” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 24.4.2019).
Ecco di seguito i fatti di causa.
Con sentenza del 10.6.2017 la Corte d’Appello di Catanzaro ha riformato la sentenza del Tribunale di Cosenza che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a …. in data 3.8.2011 dalla datrice di lavoro … s.r.l., ordinando la sua reintegrazione.
La corte territoriale ha ritenuto legittimo il licenziamento comminato a seguito di contestazione disciplinare con cui era stato addebitato alla dipendente, cassiera presso il punto vendita della società, di aver omesso di consegnare 8 buoni sconto del 10% sulla spesa a clienti titolari di una tessera promozionale (denominata “sempremia”), per un valore complessivo di 24 euro, buoni che erano stati spesi presso il punto vendita dal marito della …. Il giorno successivo.
I giudici del gravame, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure che aveva escluso che dall’istruttoria testimoniale fosse emersa la prova della volontaria omessa consegna dei buoni spesa ai clienti da parte della …, hanno rilevato che vi erano circostanze di fatto dalle quali inferire, in base all’art. 2729 c.c., la prova presuntiva del volontario e non consentito utilizzo in proprio favore di tali buoni spesa.
In particolare non era stata evidenziata nella sentenza di primo grado la circostanza dell’abbinamento dei buoni sconto utilizzati ad un numero identificativo di tessera che apparteneva ad una cliente la quale, interpellata, aveva dichiarato di avere smarrito tempo prima detta tessera. Inoltre il giudice di prime cure aveva omesso di rilevare che nei filmati del servizio di video sorveglianza del punto vendita era ritratto il consorte della … mentre pagava presso una cassa utilizzando dei buoni, poi risultati emessi tutti a poca distanza di tempo e collegati tutti ad una stessa tessera “sempremia”.
Per la Corte quindi in base al filmato in atti e alle contraddizioni in cui la lavoratrice era incorsa, – nel non dar conto del perché avesse abbinato tutti i buoni ad uno stesso numero di tessera, sia nel negare la presenza del marito presso il punto vendita nel giorno in cui erano stati utilizzati detti buoni – doveva concludersi per il raggiungimento della prova in ordine al volontario ed indebito utilizzo dei buoni spesa spettanti ad altri clienti.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice che però veniva rigettato dalla Corte Suprema con il principio di diritto sopra esposto.