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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 6497 del 2021, ha ribadito il principio secondo cui in caso di sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni derivante da una condizione di handicap, sussiste l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi ragionevoli nei luoghi di lavoro ai fini della legittimità del recesso. Gli adattamenti organizzativi devono essere adottati secondo il parametro (e con il limite) della ragionevolezza tenendo conto del limite costituito dall’inviolabilità in peius delle posizioni lavorative degli altri prestatori di lavoro, ed evitando oneri organizzativi eccessivi, da valutarsi in relazione alle peculiarità dell’azienda ed alle relative risorse finanziarie, stante l’esigenza di mantenere gli equilibri finanziari dell’impresa.

La Corte ha precisato poi, richiamando la normativa europea in materia, che con il termine adeguamento o accomodamento si intendono le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che si debbano adottare per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali.

Si tratta dunque di adeguamenti, latu sensu, organizzativi che il datore di lavoro deve porre in essere al fine di “garantire il principio della parità di trattamento dei disabili” e che si caratterizzano per la loro “appropriatezza”, ovvero per la loro idoneità a consentire alla persona svantaggiata di svolgere l’attività lavorativa.

È necessario rimarcare che l’adozione di tali misure organizzative è prevista in ogni fase del rapporto di lavoro, da quella genetica sino a quella della sua risoluzione, non essendo specificamente destinate a prevenire un licenziamento.

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Mentre la Corte di Giustizia europea statuisce che il concetto di “soluzioni ragionevoli” deve essere inteso nel senso della eliminazione delle barriere di diversa natura che ostacolano la piena ed effettiva partecipazione dei disabili alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori e individua come primo possibile adattamento ragionevole la riduzione dell’orario di lavoro.

In conclusione dunque, non basta che il datore di lavoro dimostri l’impossibilità di ricollocare il lavoratore con handicap e sopraggiunta inidoneità fisica alle mansioni, per assenza di posizioni vacanti nel contesto lavorativo aziendale, ma è necessario che – per il rispetto del principio di parità di trattamento delle persone con disabilità – venga adottata ogni misura che sia ragionevolmente consentita al livello aziendale, organizzativo e finanziario al fine di evitare il licenziamento. Pertanto il licenziamento potrà avvenire solo laddove il datore di lavoro dimostri di aver ricercato tutte le soluzioni organizzative ragionevoli e possibili al fine di consentire al lavoratore disabile di non perdere il posto di lavoro a causa della inidoneità fisica sopravvenuta.

E l’onere della prova processuale grava sul datore di lavoro con il limite rappresentato ovviamente dalle dimensioni e organizzazione aziendale, dalle risorse finanziarie, dalla possibilità di utilizzare finanziamenti ad hoc o sovvenzioni e/o agevolazioni.

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