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La Corte Suprema di Cassazione, con la Sentenza n. 12551 del 2018, ha ribadito i capisaldi del comportamento antisindacale di cui all’art. 28 dello Statuto dei diritti del lavoratori, chiarendo – in particolare –  i casi in cui è possibile sostituire dipendenti in sciopero.

Vediamo insieme la decisione della Corte Suprema con l’articolo pubblicato oggi (31.5.2018) dal Sole 24 Ore (Firma: C. Marinelli e U. Percivalle; titolo:” Azione antisindacale con conseguenze durevoli”) che di seguito riportiamo.

Il carattere di “associazione sindacale nazionale” richiesto dall’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori si desume dall’esistenza di una struttura organizzativa articolata a livello nazionale e dallo svolgimento dell’attività sindacale su tutto o su ampia parte del territorio nazionale. Il requisito dell’attualità del comportamento datoriale deve tener conto dei suoi effetti nel tempo. La sostituzione dei dipendenti in sciopero è ammissibile ma solo a determinate condizioni. Sono i tre principi in tema di comportamento antisindacale ribaditi dai giudici di legittimità con la sentenza 12551/2018.
In occasione di uno sciopero proclamato da una sigla sindacale autonoma, il datore di lavoro ha sostituito gli scioperanti con altri dipendenti aventi qualifica superiore e ciò si è protratto per intere giornate, anche mediante il ricorso a lavoro straordinario oltre i limiti di legge.
La società ha presentato ricorso in Cassazione adducendo, da un lato, che l’organizzazione sindacale ricorrente non aveva carattere nazionale e dunque non era legittimata a proporre una azione secondo l’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori e dall’altro che, essendo cessato il comportamento dedotto in causa, non era possibile decidere sulla sua antisindacalità sulla base di una mera previsione di reiterazione e che, comunque, l’adibizione a mansioni inferiori di personale per sostituire gli scioperanti, era legittima in quanto marginale e occasionale e unicamente finalizzata a limitare i danni dello sciopero.
Investita della questione, la Corte coglie l’occasione per ribadire alcuni capisaldi della materia. In primo luogo, i giudici di legittimità, in linea con alcuni precedenti (Cassazione 5321/2017 e 17915/2017), ricordano che la legittimazione a proporre un’azione per comportamento antisindacale spetta alle “associazioni sindacali nazionali” e che per tali devono intendersi quelle che hanno una diffusione e svolgono una effettiva azione su tutto o su gran parte del territorio nazionale, non essendo indispensabile né la sottoscrizione (o l’espressa adesione) a un contratto collettivo nazionale, né che l’associazione ricorrente faccia parte di una confederazione nazionale o sia maggiormente rappresentativa.
Quanto al requisito dell’attualità, la Corte chiarisce che questa deve intendersi nel senso che, da un lato, il mero ritardo della proposizione del ricorso non ne determina in sé l’inammissibilità in presenza della permanenza degli effetti lesivi e, dall’altro, che l’esaurirsi del comportamento denunciato non preclude la possibilità di un provvedimento di accertamento e condanna ove venga verificato che tale comportamento può produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, tali da determinare una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale.
Infine, per quanto riguarda la sostituzione dei lavoratori in sciopero con altri aventi una qualifica superiore, la Corte puntualizza che l’adibizione a mansioni inferiori è possibile solo se del tutto marginale e occasionale e per compiti funzionalmente accessori e complementari a quelli propri della posizione di appartenenza, tale che l’assegnazione non sia in contrasto con l’articolo 2013 del Codice civile. Inoltre il diritto di sciopero non può dirsi leso quando il diritto di iniziativa economica sia esercitato senza violare norme poste a tutela dei lavoratori e senza ostacolare la possibilità di aderire allo sciopero, non potendosi negare all’imprenditore di fare uso del suo potere organizzativo per limitare il pregiudizio derivante dall’astensione collettiva.

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