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La III Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 20725 del 2018, ha stabilito che in caso di omesse ritenute contributive la condanna penale va annullata se l’imprenditore si è attivato in tutti i modi possibili, finanche accendendo ipoteche sui suoi beni privati, per proseguire l’attività di impresa. La Cassazione ha dunque stabilito che “il giudice non può condannare l’imprenditore senza valutare le prove in merito alla grave crisi finanziaria e agli importanti investimenti fatti prima di questa. I due soci avevano acceso delle ipoteche anche sui loro beni personali per superare le difficoltà”. La Cassazione accoglie il ricorso e annulla con rinvio, “malgrado l’imprenditore avesse pagato gli stipendi dei dipendenti come dimostrato dai modelli Dm10” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 11 maggio 2018).

Vediamo nel dettaglio questa importante decisione della Corte Suprema con l’articolo pubblicato oggi (11.5.2018) dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore (Firma: G. Negri; Titolo: “Omesse ritenute,  condanna evitata se l’imprenditore ha acceso un’ipoteca per proseguire l’attività”) che di seguito riportiamo.

Va annullata la condanna per omesso versamento delle ritenute se l’imprenditore si è attivato in tutti i modi possibili, anche accendendo mutui e ipoteche sui propri beni personali per assicurare la prosecuzione dell’attività d’impresa. Questa la conclusione cui approda la Corte di cassazione con la sentenza n. 20725 del 2018 della Terza sezione penale depositata ieri. La Corte ha così annullato la condanna inflitta a un imprenditore al quale era stata contestato l’omesso versamento di ritenute sulle retribuzioni dei dipendenti per un importo di circa 15.000 euro.

La difesa aveva sostenuto che l’impresa era stata investita non da una semplice crisi di liquidità, quanto piuttosto da una gravissima crisi economica e finanziaria dovuta da una parte a una riduzione del fatturato e dall’altro a importanti oneri finanziari per investimenti soprattutto in macchinari effettuati in una fase antecedente all’esplodere della crisi.
La sentenza ricorda che l’imputato può invocare l’impossibilità di adempiere il debito d’imposta, come causa di esclusone da responsabilità penale, a patto di corroborare anche in via documentale il profilo della sua non imputabilità e l’impossibilità dell’azienda a fronteggiare in altro modo la crisi. Occorre cioè la prova che non è stato altrimenti possibile per il contribuente trovare risorse necessarie a permetterli un puntuale rispetto degli obblighi fiscali.

La condanna inflitta invece non aveva neppure preso in considerazione le argomentazioni dell’imprenditore, che avrebbero potuto cambiare la valutazione almeno sull’elemento psicologico del reato valorizzando, per esempio, afferma la Cassazione, quelle soluzioni, come muti e ipoteche, individuate per reperire liquidità.

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