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La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 10283 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: “Le diposizioni comunitarie e interne non contengono un obbligo di ampliare il congedo obbligatorio. La lavoratrice chiedeva di fruire oltre che dei cinque mesi post partum di ulteriori 98 per assistere il bambino rimasto in ospedale perché nato prematuro. La cassazione fa un excursus di tutte le tutele”. (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 30.4.2018).

Vediamo insieme i fatti di causa.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 966 del 2012, accogliendo l’impugnazione proposta dall’INPS avverso la decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di … tesa al riconoscimento del diritto a fruire del congedo obbligatorio pre e post partum, oltre che nei cinque mesi di legge terminati il 3 aprile 2009, anche nei 98 giorni in cui il figlio (nato prematuro in data 3 novembre 2008) era rimasto ricoverato in ospedale, con la condanna dell’INPS al pagamento delle relative somme.

La Corte territoriale ha affermato che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 116 del 2011, intervenuta nelle more del giudizio, ha riconosciuto la legittimità dello spostamento della fruizione del congedo, successivamente all’ingresso in famiglia del piccolo nato prematuro e sottoposto a cure presso strutture sanitarie, alla condizione, non avvenuta nel caso di specie, che la madre riprenda subito il lavoro o, comunque, dimostri di essere in grado di farlo. Inoltre, seppure la Corte Costituzionale nella citata sentenza abbia riconosciuto l’esistenza, all’interno delle tutele presidiate dall’art. 16 del d.lgs. 151 del 2001, di un autonomo profilo di protezione delle esigenze di tipo relazionale ed affettivo legate all’ingresso del neonato in famiglia, ulteriori rispetto al profilo sanitario relativo alla salute della madre, in nessun modo sarebbe possibile superare la durata di cinque mesi dell’intero periodo di congedo obbligatorio.

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Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice che è stato rigettato dalla Corte Suprema con il principio di diritto sopra esposto.

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