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L’INL, con Nota n. 553 del 2.04.2021, ha fornito chiarimenti in merito alla interdizione post-partum ed in particolare al divieto di adibizione delle lavoratrici madri al trasporto e al sollevamento pesi.

Di seguito il testo della nota n. 553/2021.

Divieto di adibizione delle lavoratrici madri al trasporto e al sollevamento pesi

Le disposizioni di cui agli artt. 6, 7 e 17 del D.Lgs. n. 151/2001 sono finalizzate a tutelare la salute della lavoratrice madre e della prole attraverso l’adozione di misure di protezione in relazione alle condizioni di lavoro e alle mansioni svolte o attraverso l’astensione dal lavoro.

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Nello specifico, l’art. 7 comma 1 dispone il divieto di adibire la lavoratrice al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché a lavori pericolosi faticosi ed insalubri elencati specificamente negli allegati A e B del decreto, mentre il comma 6 abilita gli organi di vigilanza ad autorizzare la interdizione dal lavoro laddove non sia possibile adibire la lavoratrice ad altre mansioni. Infine, l’art. 17, comma 2, abilita gli Ispettorati del lavoro ad autorizzare la interdizione dal lavoro, tra gli altri, per i seguenti motivi: “(…) b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino” (cfr. ML nota prot. n. 37/0011588 del 20 luglio 2015).

 Ai fini dell’adozione dei provvedimenti di tutela, nei termini alternativi sopra richiamati, si ritiene sufficiente la mera constatazione della adibizione della lavoratrice madre a mansioni di trasporto e al sollevamento di pesi, a prescindere dalla valutazione del rischio inerente all’interno del DVR.

In tal senso propende sia l’interpretazione della giurisprudenza di merito (cfr. ordinanza Tribunale di Perugia del 20 novembre 2020), sia le pregresse indicazioni del Ministero del lavoro (interpello n. 28/2008 e nota prot. n. 37/0007553 del 29 aprile 2013). Nello specifico l’interpello n. 28/2008 ha chiarito che “ai sensi del primo comma dell’art. 7 del menzionato D.Lgs. n. 151/2001 vige il divieto generalizzato di adibire le suddette lavoratrici al trasporto ed al sollevamento pesi, (…) ed inoltre la valutazione sostanziale e diretta delle condizioni di lavoro e dell’organizzazione aziendale svolta dagli organi di vigilanzapuò prescindere dal documento di valutazione dei rischi che comunque l’ispettore ha facoltà di esaminare (…)”. La nota prot. n. 37/0007553 del 29 aprile 2013 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha inoltre precisato come “la valutazione del rischio fatta dal datore di lavoro costituisce il presupposto sulla base del quale deve essere emesso il provvedimento di interdizione fuori dai casi di cui all’articolo 7, commi 1 e 2”.

Ne consegue che, anche qualora il rischio attinente al sollevamento dei pesi non sia stato espressamente valutato nel DVR, l’adibizione a tali mansioni costituirebbe comunque condizione sufficiente per il riconoscimento della tutela della lavoratrice con la conseguente emanazione del provvedimento di interdizione da parte dell’amministrazione competente, ferma restando una valutazione circa l’impossibilità di adibizione ad altre mansioni.

Tale conclusione, peraltro, è coerente con l’orientamento della giurisprudenza che, nelle ipotesi sopra richiamate e in presenza dei presupposti fissati dalla legge, qualifica la posizione giuridica vantata dalla lavoratrice in termini di diritto soggettivo, non riscontrandosi significativi margini di valutazione neanche in termini di discrezionalità tecnica in ordine alla verifica delle effettive condizioni di lavoro della lavoratrice.

Termine finale da indicare nel provvedimento di interdizione post partum nelle ipotesi di parto prematuro.

Come noto l’art. 16, comma 1 lett. d), del D.Lgs. n. 151/2001, in riferimento alle ipotesi in cui il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, prevede che i giorni antecedenti al parto non goduti a titolo di astensione obbligatoria si aggiungano al periodo di congedo obbligatorio di maternità da fruire dopo il parto.

Analogo principio trova applicazione nelle ipotesi di interdizione fino al settimo mese dopo il parto e pertanto i giorni di congedo obbligatorio ante partum non fruiti si aggiungono al termine della fruizione dei sette mesi decorrenti dalla data effettiva del parto.

A tale riguardo si rinvia a quanto affermato dall’INPS con circolare n. 69/2016, laddove si precisa che “nei casi di parto fortemente prematuro, qualora la lavoratrice abbia un provvedimento di interdizione prorogata dal lavoro per incompatibilità con le mansioni ai sensi degli artt. 6 e 7 del T.U., si aggiungono al termine del periodo di interdizione prorogata tutti i giorni compresi tra la data del parto e la data presunta del parto”.

Ne deriva che il provvedimento di interdizione adottato dall’ITL dovrà indicare la data effettiva del parto e far decorrere da tale data i sette mesi di interdizione post partum aggiungendo, ai predetti sette mesi, i giorni non goduti a causa del parto prematuro e avendo cura di richiamare in proposito la circolare INPS sopra riportata.

Emanazione di provvedimento di interdizione a seguito di pronuncia giurisdizionale dichiarativa del diritto e necessità di specifica istanza all’Istituto previdenziale per l’erogazione della indennità sostitutiva.

Sul piano procedimentale si precisa che, pur in presenza di sentenza dichiarativa circa la sussistenza del diritto all’astensione, sia in ogni caso necessaria l’emanazione da parte dell’ITL del relativo provvedimento amministrativo di interdizione.

Per quanto attiene, invece, alla richiesta nei confronti dell’Istituto previdenziale per l’erogazione dell’indennità sostitutiva, occorre che la lavoratrice inoltri sempre un’apposita istanza all’INPS (cfr. art. 1, D.L. n. 663/1969 conv. da L. n. 33/1980) ciò in quanto la sentenza dichiarativa del diritto non sostituisce l’atto provvedimentale della PA inteso quale presupposto necessario per l’erogazione della relativa indennità.

(Fonte: INL)

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