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La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con l’ordinanza n. 7702 dell 2018, ha considerato illegittima la risoluzione del rapporto di lavoro e conseguentemente il comportamento del datore per aver stipulato con il lavoratore “una lunga serie di contratti (nel caso a termine e di somministrazione) per poi risolvere il rapporto di lavoro (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 29.3.2018).

In adesione alla decisione della Corte d’Appello di Ancona, la Sezione Lavoro della Corte Suprema, ha respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, dichiarando “la nullità del primo contratto a termine” sottoscritto per “fronteggiare l’incremento di attività conseguente a esigenze di mercato e per la sostituzione di personale assente”. I giudici del merito avevano in pratica dichiarato il diritto del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro.

In concreto a partire dal 6.5.2002 erano stati sottoscritti ben 13 contratti a termine e 7 contratti di somministrazione. La società quindi è stata condannata a riammettere la lavoratrice in servizio con corresponsione, in suo favore, di una indennità pari a 12 mensilità di retribuzione globale di fatto.

L’aspetto rilevante della decisione della Corte Suprema con l’ordinanza 7702/2018 sta nel porre un freno “alla possibilità da parte del datore di lavoro di avere la meglio sul prestatore che – pur di rimanere sul posto di lavoro – è costretto a stipulare un numero illimitato di contratti senza che sia riconosciuto alcun diritto di tipo contrattuale ed economico”.

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La società, sul punto, si era difesa eccependo che “seppure avesse stipulato un numero elevatissimo di contratti di somministrazione, alla lavoratrice nulla poteva essere riconosciuto a fronte della indeterminatezza delle mansioni indicate nei contratti, nonché dalla prevista necessità di assunzione per mansioni specifiche e dalla relativa idoneità ad assicurare determinate professionalità”. Pertanto – ad avviso della datrice di lavoro – non c’era alcun elemento che potesse far considerare il rapporto come a tempo indeterminato.

La Suprema Corte ha pertanto censurato la lunga serie di contratti a termine intercorsi con lo stesso lavoratore, anche se stipulati per sostituire altri lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, sul presupposto che tale reiterazione fosse in realtà la prova dell’intento di eludere la regola della temporaneità dell’occasione.

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