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La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 5066 del 2018, ha stabilito che “ai fini del riconoscimento della malattia professionale, l’INAIL deve valutare anche lo stress da organizzazione lavorativa, nel caso la patologia sarebbe derivata da un eccesso di straordinari” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 6.3.2018).

Ecco i fatti di causa di cui alla sentenza 5066/2018.

Con sentenza n. 163/2012, la Corte d’Appello di Brescia ha rigettato il gravame, proposto da … dipendente de … S.p.A., contro la sentenza con la quale era stata respinta la domanda di condanna dell’INAIL al pagamento della rendita per inabilità permanente in relazione alla malattia professionale da lei contratta a causa dello stress lavorativo dovuto ad un numero elevatissimo di ore di lavoro straordinario e consistente in un grave disturbo dell’adattamento con ansia e depressione;

che a fondamento della sentenza la Corte d’Appello, mentre confermava l’esistenza, la natura e le cause della malattia professionale denunciata dalla ricorrente (consistente appunto in un disturbo dell’adattamento e stato depressivo con attacchi di panico), sosteneva tuttavia che la malattia non sarebbe stata indennizzabile dall’INAIL perché non rientrava nell’ambito del rischio assicurato ex articolo 3 T.U. 1124 del 1965 che riguardava solo le malattie professionali tabellate o non tabellate, contratte nell’esercizio ed a causa della lavorazioni specifiche previste in tabella;

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che, secondo la Corte d’Appello, la malattia in discorso era stata correlata da scelte di organizzazione del lavoro in ambito aziendale che non sono considerate rischio assicurato dal TU e che non risultavano suscettibili di incidere sulla determinazione del premio dell’assicurazione obbligatoria, che come in qualsiasi contratto di assicurazione, copriva, per evidenti esigenze di corrispettività, solo i rischi considerati;

che non era pertinente il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 179/1988, poiché non si trattava di garantire la copertura assicurativa a patologie che non fossero espressamente contemplate nelle tabelle allegate al testo unico, ma che fossero comunque in nesso causale con i fattori di rischio indicate dalle tabelle medesime; ma si trattava invece della domanda di tutela per una patologia il cui rischio non era coperto dall’assicurazione obbligatoria;

che la Corte territoriale riteneva perciò di dover condividere la sentenza n. 1576/2009 del Consiglio di Stato, non tanto perché fosse vincolante nell’interpretazione della normativa in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, quanto perché erano condivisibili i principi di diritto sui quali essa si fondava e perché la sentenza aveva reso definitivo l’annullamento della circolare dell’INAIL che aveva contemplato come malattie professionali le patologie da costrittività organizzativa, ma anche statuito l’annullamento del decreto ministeriale del 7.4.2004, che aveva esteso alle malattie psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro l’oggetto della assicurazione, in assenza e in contrasto con gli articoli 1 e 3 del testo unico; né, per gli stessi motivi, la Corte territoriale riteneva di poter fare applicazione del successivo decreto ministeriale del gennaio 2008 che riproponeva (gruppo 7, lista II), quali patologie a possibili cause lavorative, le medesime malattie psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro;

che contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore che veniva accolto dalla Corte Suprema.

Per conoscere il ragionamento della Corte Suprema consultare la sentenza 5066 del 2018 disponibile cliccando sul link.

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