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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 4881 del 2018, ha stabilito che “non è tardiva la contestazione del peculato posta alla base del licenziamento del dipendente di Trenitalia se il differimento è dovuto ad una sospensione dei primi atti di verifica per non pregiudicare gli atti investigativi di rilievo penale” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 2.3.2018).

Per chi non lo sapesse il peculato viene così definito dall’art. 314 del codice penale:

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi.

Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita”.

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Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 4881/2018.

Con sentenza n. 3172/2015, depositata il 6 luglio 2015, la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, respingeva il ricorso proposto da … per la dichiarazione di illegittimità del licenziamento disciplinare allo stesso intimato, con lettera in data 21.10.2010, da … S.p.A. a motivo di ripetute condotte, integranti il delitto di peculato, poste in essere tra il giugno 2007 e l’aprile 2010, allorquando egli era addetto nella stazione di … al servizio di biglietteria.

La Corte di appello, ricostruita la lunga e articolata vicenda che aveva infine condotto, in data 7.5.2010, alla sospensione in via cautelare del lavoratore e, in data 30.9.2010, alla contestazione disciplinare, escludeva che la formulazione degli addebiti dovesse ritenersi tardiva, malgrado i primi accertamenti interni risalissero al giugno del 2007, tenuto conto delle più ampie indagini di polizia giudiziaria già in corso all’epoca e della sospensione, concordata con il Compartimento della Polizia Ferroviaria del Lazio, di eventuali iniziative aziendali che ne potessero pregiudicare l’esito.

La Corte rilevava poi che le condotte addebitate al … erano da considerarsi provate (in parte, non avevano neppure formato oggetto di contestazione da parte del lavoratore) e ciò sulla base di varie risultanze documentali e testimoniali.

Proponeva ricorso per cassazione della sentenza il lavoratore con quattro motivi. La Società ha resistito con controricorso e deposito memoria.

La Corte Suprema, con la sentenza 4881/2017 ha rigettato il ricorso e ha condannato il ricorrente alle spese del giudizio liquidate in ero 200,00, per esborsi e in euro 5000 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

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