Advertisement

Superamento comporto e licenziamento illegittimo:

La Cassazione con la Sentenza n. 5310 del 2016 ha dichiarato la illegittimità del licenziamento per superamento comporto di una lavoratrice che si era assentata per malattia per 180 giorni.

A parlarci di tale vicenda su superamento comporto e licenziamento illegittimo è l’articolo pubblicato oggi (18.3.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Giuseppe Bulgarini d’Elci; Titolo: “Nella distribuzione coop il comporto è blindato”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

È illegittimo il licenziamento per superamento del comporto di una lavoratrice che aveva raggiunto i 180 giorni di assenza per malattia (intervallo temporale massimo indennizzato), nel caso in cui il contratto collettivo di riferimento preveda che il periodo eccedente sia assimilato a un’aspettativa non retribuita.

La Cassazione ha fatto proprie queste conclusioni con la sentenza 5310/2016, depositata ieri, pronunciandosi con riferimento ad una norma del Ccnl per i dipendenti delle imprese della distribuzione cooperativa, ai cui sensi il lavoratore ammalato o infortunato ha diritto a conservare il posto di lavoro per tutto il periodo di malattia o di infortunio, fino a quando non intervenga completa guarigione. La norma subordina tale effetto, che nel panorama della contrattazione collettiva nazionale costituisce un approdo non abituale (atteso che, di regola, i Ccnl fissano un periodo massimo di comporto oltre cui l’impresa è legittimata a risolvere il rapporto di lavoro), alla condizione che il lavoratore esibisca regolari certificati medici e, inoltre, che lo stato di malattia non sia cronico. La presenza di tali condizioni fa sì che il periodo ulteriore rispetto ai primi 180 giorni di assenza per malattia in un anno solare venga considerato alla stregua di un’aspettativa senza diritto alla retribuzione.

Il caso su cui è stata chiamata a pronunciarsi la Cassazione era relativo ad una dipendente di un supermercato, licenziata dopo aver superato i 180 giorni di assenza per malattia. La donna aveva impugnato il licenziamento invocando l’applicazione dell’articolo 129 del Ccnl della distribuzione cooperativa. Dopo essere risultata soccombente in primo grado, la lavoratrice si era vista accogliere la domanda dalla Corte d’appello di Roma, con condanna dell’impresa alla reintegrazione in servizio, al pagamento delle retribuzioni maturate nel periodo di intervallo non lavorato e al versamento dei contributi.

La società ha presentato ricorso, sostenendo che la norma del contratto collettivo legittimava la conservazione del rapporto di lavoro in regime di aspettativa non retribuita solo ove la lavoratrice, prima dello scadere dei 180 giorni, ne avesse fatto esplicita richiesta e all’ulteriore condizione che la lavoratrice medesima avesse dimostrato la natura non cronica della malattia. La Cassazione ha rigettato entrambe le censure, evidenziando che una corretta interpretazione dell’articolo 129 del contratto della distribuzione cooperativa imponeva, al contrario, di attribuire alla previsione sulla stabilità occupazionale effetto automatico, previa unicamente consegna di regolari certificati medici da parte della lavoratrice.

È stato precisato in sentenza, a tale proposito, che la prosecuzione della malattia oltre il periodo di comporto non muta il titolo dell’assenza, che continua ad essere lo stato morboso, conseguendone che la richiesta di fruire di un periodo di aspettativa non retribuita non può essere ritenuta una precondizione. La previsione contrattuale, secondo la lettura della Corte, realizza un contemperamento tra l’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro e quello dell’impresa a non essere gravata degli oneri economici ricollegati al trattamento di malattia.

Advertisement