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Lavoro smart no alle zavorre normative:

Alla Commissione Lavoro del Senato, relativamente al lavoro smart, o smart work che dir si voglia, le associazioni imprenditoriali chiamate ad esprimersi sul tema, analizzando il ddl n. 2229 hanno sottolineato che è importante eleminare il più possibile le “zavorre” che in qualche modo possano rendere rigida o limitata la normativa sul lavoro agile.

A chiarirci il punto sul lavoro smart è l’articolo pubblicato oggi (17.3.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Mauro Pizzin; Titolo: “Per lo smart working niente rigidità”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

La nuova normativa sullo smart working, intesa come modalità flessibile di svolgimento dell’attività lavorativa va salutata con favore se è destinata a costituire una “legislazione di sostegno”, mentre non sarebbero auspicabili interventi normativi che dovessero irrigidire l’attuale contesto giuridico.

Nelle audizioni svoltesi ieri presso la Commissione lavoro del Senato, in cui sono state chiamate a fornire il loro punto di vista sui disegni di legge 2233 e 2229 in materia di lavoro autonomo e lavoro agile, alcune fra le principali associazioni imprenditoriali sono state ferme sulla necessità di non zavorrare lo strumento dello smart working da vincoli o limitazioni. Secondo Confindustria la normativa in bozza sul lavoro agile – che va disciplinato nell’ambito del lavoro subordinato -, oltre a profili positivi, contiene anche elementi d’incertezza. Sul trattamento economico normativo, sulla disciplina oraria e sulla sicurezza si prefigurano, in particolare, alcune soluzioni che per gli industriali non sembrano accogliere fino in fondo con coraggio quello che potrebbe essere il futuro del lavoro agile.

Più d’una associazione ha chiesto delucidazioni sul ruolo della contrattazione collettiva: per Rete Imprese Italia la scelta di affidare le modalità d’esecuzione allo strumento della contrattazione di prossimità non è condivisibile, mentre deve restare in capo ai contratti collettivi la definizione di disposizioni generali che si applicano allo smart working in quanto lavoro subordinato; secondo Ania andrebbe nella giusta direzione una formulazione della norma generale che preveda la possibilità (e non l’obbligo) per i contratti collettivi, di qualsiasi livello, di introdurre ulteriori previsioni finalizzate a implementare la regolamentazione di legge del lavoro agile.

Sempre in materia di rigidità, semaforo rosso anche alla previsione del Ddl 2229 di prevedere, in materia di diritto all’apprendimento continuo, una certificazione ogni 12 mesi delle competenze dei dipendenti coinvolti nello smart working a carico del datore di lavoro: una proposta che per Abi contrasta con la richiesta di una regolamentazione snella e che per Rete Imprese rischia pure di creare ingiustificate disparità di trattamento fra lavoratori all’interno della stessa azienda.

Passando al tema del lavoro autonomo, c’è stata unanimità di giudizi (positivi) sulla volontà di definire meglio un sistema di diritti e di welfare moderno, capace di sostenere i prestatori d’opera materiali e intellettuali non imprenditori. Molto apprezzata da Confindustria la definizione del concetto di collaborazione prevista dall’articolo 12 del Ddl 2223, utile per risolvere alcune incertezze sulla definizione di lavoro autonomo: valutazione condivisa da Abi, secondo cui la norma in questione completa la rivisitazione delle collaborazioni coordinate e continuative attuata dal codice dei contratti (Dlgs 81/2015) e permette di meglio identificare le forme autentiche di lavoro autonomo coordinato all’impresa.

A sua volta Rete Imprese ha evidenziato, infine, la positività di un approccio legislativo che affronta il tema del lavoro autonomo in una prospettiva regolatoria e non di mera assimilazione a quello subordinato, chiedendo però, nel contempo, di intervenire quanto prima anche sullo Statuto dell’impresa di cui alla legge 180/2011 per rafforzare le forme sostegno per il piccolo imprenditore.å

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