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Part time incentivato per chi è vicino alla pensione:

La legge di stabilità 2016 prevede il part time incentivato per chi è vicino alla pensione consentendo così ai lavoratori, che rientrano in tale categoria, di ridurre il proprio orario di lavoro e favorire conseguentemente, almeno questo l’obiettivo finale, l’ingresso in azienda di giovani lavoratori a cui i primi possono fare da tutor prima dell’uscita di scena.

Questo l’altro argomento dell’articolo sul “Dossier Lavoro” pubblicato oggi (5.1.2015) dal Sole 24 Ore (Firma: Aldo Bottini; Titolo: “Per chi è vicino alla pensione possibile il part time “incentivato”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

La legge 208/15 mette a disposizione di lavoratori e datori di lavoro lo strumento normativo per sperimentare la cosiddetta staffetta generazionale.

È da tempo che se ne parla, e in alcuni recenti contratti aziendali se ne fa già espressa menzione, almeno come obiettivo da perseguire. In sostanza si tratta di questo: i lavoratori più anziani riducono il loro orario di lavoro, così da favorire (almeno nelle intenzioni) l’ingresso in azienda di giovani a cui gli anziani possono fare, per il periodo che rimane loro da lavorare, da “tutor”. Il tutto naturalmente su base volontaria, tanto per il lavoratore quanto per il datore di lavoro.

Sinora però questo meccanismo incontrava un ostacolo difficilmente superabile: la riduzione dell’orario provocava al lavoratore anziano non solo una riduzione di reddito, ma anche (e soprattutto) un pregiudizio alla futura pensione. La legge di stabilità si propone, entro certi limiti, di ovviare a questi inconvenienti e quindi di rendere possibile la staffetta. Il presupposto è un accordo tra datore di lavoro e lavoratore (a tempo pieno e indeterminato, che maturi i requisiti per la pensione di vecchiaia entro il 31 dicembre 2018) per ridurre l’orario di lavoro in misura tra il 40% e il 60 per cento.

Duplice beneficio

Il beneficio che si può ottenere sulla base di tale accordo è duplice: l’Inps riconosce la contribuzione figurativa sulla parte di prestazione non svolta (con applicazione dei criteri di calcolo della pensione previsti per i contratti di solidarietà espansivi dal decreto 148/15 sugli ammortizzatori sociali), e il lavoratore riceve dal datore di lavoro, oltre ovviamente alla retribuzione per le ore lavorate, una somma pari ai contributi che il datore avrebbe dovuto versare sulla parte non (più) lavorata e pagata.

Quest’ultima somma aggiuntiva non è imponibile fiscalmente ed è esente da contributi: in altre parole è netta. In questo modo la riduzione di orario non “pesa” sulla futura pensione, e la riduzione di reddito è mitigata dall’importo netto aggiuntivo. Il datore di lavoro “risparmia” una parte di retribuzione, che può investire in nuove assunzioni (anche se non c’è un obbligo in tal senso).

Tocca al datore di lavoro presentare una domanda all’Inps e alla Dtl per l’ammissione al beneficio sulla base dell’accordo raggiunto con il lavoratore. La domanda, verificata la ricorrenza dei presupposti, può essere però accolta esclusivamente nei limiti delle risorse messe a disposizione dalla legge di stabilità: 60 milioni nel 2016, 120 milioni nel 2017 e 60 milioni nel 2018. Una volta raggiunti tali limiti, l’Inps non prenderà in considerazione ulteriori domande. Un decreto ministeriale, da emanarsi entro 60 giorni, stabilirà le modalità operative del riconoscimento del beneficio. Vedremo nei prossimi mesi se l’operazione avrà successo nel favorire il passaggio di testimone tra le generazioni in azienda.

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