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La Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza n. 18959 dell 11 settembre 2020, ha stabilito che “in caso di distacco del lavoratore in violazione delle condizioni previste dal comma 3 dell’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003 (distacco che comporti un mutamento delle mansioni che richiede il consenso del dipendente e distacco con trasferimento ad una unità produttiva sita a più di cinquanta chilometri da quella cui il lavoratore sia adibito che richiede la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive), non è prevista la sanzione della costituzione del rapporto alle dipendenze dell’utilizzatore, a differenza di quanto stabilito per la fattispecie di cui al comma 1 del medesimo articolo, dovendosi ritenere, in base ad un’interpretazione letterale e logico-sistematica, oltre che rispondente ad un ragionevole bilanciamento di interessi, che solo alla ipotesi ritenuta più grave del distacco senza i requisiti fondamentali dell’interesse e della temporaneità sia riconosciuta la tutela civilistica di tipo costitutiva e sanzionatoria di tipo amministrativo (già di tipo penale), mentre per il “quomodo” attraverso cui il distacco venga attuato sia accordata solo la tutela civilistica di tipo risarcitoria”.

Ciò significa che in caso di crisi produttiva il datore di lavoro potrà legittimamente distaccare il dipendente ad altra sede, anche al fine di non disperdere il patrimonio professionale del lavoratore.

Infatti la Corte Suprema, con l’ordinanza n. 18959/2020, ha proprio affermato che il distacco del lavoratore può essere in senso stretto anche di natura non economica o patrimoniale, ma di tipo solidaristico: fondamentale è che non si risolva in una mera somministrazione di lavoro altrui. Nella vicenda al suo vaglio, infatti, l’interesse dell’azienda distaccante consisteva proprio nell’incremento della polivalenza professionale del lavoratore, in una situazione di crisi aziendale temporanea e nell’attesa della ripresa produttiva.

Le mansioni affidate al dipendente erano infatti differenti da quelle che espletava presso l’azienda distaccante, ma di fatto comportavano un miglioramento del patrimonio professionale del lavoratore.

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La Cassazione ha tuttavia evidenziato che per trattarsi di distacco legittimo devono essere rispettati i seguenti requisiti fondamentali:

  • il distacco deve essere genuino (e non pretestuoso)
  • deve sussistere l’interesse del distaccante;
  • il distacco deve essere temporaneo
  • il lavoratore deve svolgere una attività particolare.

Anche il Ministero del Lavoro (con circolare n. 28 del 2005) era intervenuto in tema di distacco ed aveva affermato che questo può essere giustificato “da un qualsiasi interesse produttivo del distaccante, anche di carattere non economico che, tuttavia, non deve coincidere con l’interesse alla mera somministrazione di lavoro”. Inoltre, ha proseguito il Ministero, “l’interesse del distaccante deve essere specifico, rilevante, concreto e persistente, accertato caso per caso, in base alla natura dell’attività espletata e non semplicemente in relazione all’oggetto sociale dell’impresa. Si pensi al distacco di un lavoratore altamente qualificato presso una società del gruppo, i cui compiti sono legati alla ricerca e sviluppo di un determinato prodotto, mentre l’impresa distaccante ha come oggetto sociale la produzione dei manufatti”.

Giova infine precisare che, in base al comma 3, dell’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003, il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato quando comporti il trasferimento da una unità produttiva ad un’altra situata a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito. In tal caso il distacco potrà avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

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