Qualora tra azienda e dipendenza si volesse procedere prestazioni di lavoro agile (o smart working) il relativo accordo dovrebbe essere fatto per iscritto.
Vediamo insieme come si dovrebbe procedere e quali gli elementi da tenere in considerazione nella redazione dell’accordo, con l’articolo pubblicato oggi (6.6.2018) dal Sole 24 Ore (Firma: G. Falasca; Titolo: “La doppia via dello «smart working»”) che di seguito riportiamo.
I passaggi chiave che devono essere considerati nella scrittura di un accordo di smart working sono essenzialmente tre. Il primo punto rilevante riguarda la scelta del “modello” di lavoro agile che si vuole adottare. La legge, infatti, lascia ampia libertà parti del rapporto nell’individuazione delle modalità concrete di svolgimento.
Questo significa che possono svilupparsi (come già sta accadendo) diversi modelli di smart working, ciascuno costruito intorno alle esigenze delle parti che firmano gli accordi.
Se l’azienda vuole utilizzare il lavoro agile per incrementare la produttività, dovrà definire un modello di accordo che prevede l’abolizione delle timbrature in ingresso e in uscita e la contestuale introduzione per tutti i dipendenti di un piano incentivi legato a obiettivi (individuali e di gruppo).
Se, invece, l’azienda intende utilizzare questo strumento per valorizzare le esigenze di conciliazione di vita e di lavoro dei dipendenti, dovrà riconoscere la possibilità di svolgere per uno o più giorni a settimana la prestazione di lavoro da casa o da un altro luogo, ferme restando le altre condizioni lavorative.
Questi esempi dimostrano che il punto di partenza per la stesura di un buon accordo è la definizione chiara degli obiettivi: se il datore di lavoro non definisce in modo preciso qual è la finalità dell’introduzione dello strumento, corre il serio rischio di farne un cattivo uso.
Il secondo aspetto fondamentale da considerare riguarda la forma stessa dell’accordo: non è possibile avviare lo smart working senza la firma di un’intesa scritta con il singolo dipendente. Questo accade perché la legge assegna centralità assoluta all’intesa individuale, senza prevedere forme alternative.
Molte aziende hanno sottoscritto accordi sindacali per sperimentare il lavoro agile; altre hanno scelto la strada della policy definita unilateralmente dall’impresa. La legge non vieta l’utilizzo di queste forme di regolamentazione dell’istituto, ma nemmeno le considera sostitutive dell’intesa individuale; questo significa, in concreto, che anche se c’è un accordo sindacale oppure un regolamento aziendale sullo smart working, il singolo dipendente deve firmare un documento scritto con l’azienda per poter rientrare nel campo di applicazione della nuova normativa.
Il terzo aspetto essenziale ai fini della stesura del contratto riguarda i contenuti minimi che non possono essere derogati.
La legge individua diversi elementi necessari dell’intesa (dalla durata sino alla definizione delle modalità di utilizzo degli strumenti informatici). L’aspetto maggiormente rilevante consiste nella disciplina delle forme di svolgimento della prestazione lavorativa quando il dipendente non si trova in azienda.
Le parti devono essere molto chiare nel definire dove, come e quando il lavoratore può lavorare: si può decidere che egli abbia una libertà illimitata, così come si può delimitare l’ambito di svolgimento della prestazione solo a certi luoghi (per esempio abitazioni private, spazi di co-working, eccetera). Lo spazio lasciato alle parti è molto ampio, forse anche troppo.
Questo punto è molto importante perché in caso di infortunio del dipendente fuori dall’azienda bisogna verificare che egli stesse effettivamente lavorando: tanto più sarà generica la definizione dell’accordo, maggiore sarà la difficoltà di capire se l’infortunio è avvenuto sul lavoro.