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Abogado si ma avvocato no secondo la Corte Suprema:

La Corte Suprema sulla questione abogado e avvocato si è pronunciata con un interessante principio di diritto relativamente a coloro che svolgono la professione forense dopo aver conseguito l’abilitazione in un paese estero e lo ha fatto con la sentenza n. 5073 del 2016 depositata il 15.3.2016.

A parlarcene è l’articolo pubblicato oggi (16.3.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Giovanni Negri; Titolo: “L’«abogado» non è «avvocato»”).

Ecco l’articolo.

Abogado sì, avvocato no. Almeno per tre anni. La Corte di cassazione, Sezioni unite civili, sentenza 5073 depositata ieri, chiarisce che l’esonero dalla prova attitudinale spetta solo al legale che ottenuto ha sì la qualifica all’estero, ma ha esercitato la professione in Italia per almeno tre anni (da iniziare a conteggiare dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell’Albo) con il titolo professionale di origine.

Elemento quest’ultimo sul quale si sono concentrate le Sezioni unite, alle prese con il ricorso di un professionista abilitato in Spagna all’esercizio della professione. L’uomo aveva chiesto la dispensa e l’iscrizione all’Albo. Sentito dal locale Consiglio dell’ordine si era visto respingere l’istanza, dopo che era stato accertato l’esercizio della professione in Italia attraverso l’utilizzo del titolo di avvocato e non, invece, come sarebbe stato tenuto a fare, del titolo professionale di origine e cioè il titolo di abogado conseguito in Spagna.

La decisione era poi stata confermata dal Consiglio nazionale forense. Impugnandola, il professionista aveva sottolineato l’importanza dell’aspetto sostanziale dell’effettivo esercizio triennale nel contesto nazionale (periodo che può essere considerato come tempo necessario e sufficiente perché l’avvocato “stabilito” prenda adeguata confidenza con il diritto nazionale). Avrebbe invece carattere puramente formale l’utilizzo del titolo nella lingua del Paese di origine, tanto da potere essere considerato come un illegittimo ostacolo all’iscrizione.

Tesi però respinta dalle Sezioni unite che hanno invece ricordato i requisiti per ottenere la dispensa. Nell’ordine l’esercizio della professione deve essere:

di durata non inferiore a 3 anni senza tenere conto degli eventuali periodi di sospensione;

effettivo e quindi non formale o addirittura fittizio;

regolare e quindi nel rispetto della legge e del codice deontologico;

con il titolo professionale di origine.

Con riferimento a quest’ultimo punto, le Sezioni unite osservano che a rilevare sono le prescrizioni dell’ordinamento forense che, anche nell’ultima versione, quella disciplinata dalla legge n. 247 del 2012, ha previsto che l’iscrizione a un Albo circondariale è condizione per l’esercizio della professione. La legge professionale puntualizza poi che l’uso del titolo di avvocato spetta esclusivamente a chi è o è stato iscritto.

Non è di aiuto, nel caso di mancato rispetto delle condizioni, «l’esercizio della professione con un titolo diverso e soprattutto proprio con il titolo che il professionista stabilizzato mira a conseguire mediante la dispensa dalla prova attitudinale; esercizio che deve qualificarsi abusivo e che lede l’affidamento del cliente in ordine all’effettiva abilitazione del professionista (estera e non nazionale) e quindi alla sua piena idoneità professionale nel contesto di diritto interno».

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