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La disciplina della certificazione delle collaborazioni:

Oggi parliamo di un argomento che interesserà a molti: la disciplina della certificazione delle collaborazioni. Come è noto l’Articolo 2 del d.lgs. n. 81 del 2015 dispone che la disciplina del lavoro subordinato si applica anche alle collaborazioni le quali si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Tuttavia le parti, qualora lo ritengano opportuno, hanno la facoltà di richiedere alle Commissioni la certificazione dell’assenza dei requisiti necessari per l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato. In tale ipotesi quali sono i vantaggi nell’ottenere tale certificazione?

A spiegarcelo è l’articolo pubblicato oggi (7.1.2015) dal Sole 24 Ore (Firma: Aldo Botti; titolo: “Per le collaborazioni la “garanzia” della certificazione”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

Il codice dei contratti rilancia la certificazione. Dal 1° gennaio l’articolo 2 del decreto legislativo 81/2015 dispone l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato a tutte le collaborazioni che presentino i requisiti della personalità della prestazione, della continuatività e dell’etero-organizzazione.

La stessa norma prevede la possibilità che le parti contraenti richiedano, alle Commissioni, la certificazione dell’assenza di questi requisiti. Si tratta di una possibilità che le parti avrebbero avuto comunque sulla base delle norme generali in materia di certificazione (articoli 75 e seguenti della legge Biagi), ma la sua espressa menzione sembra suonare come un invito ad avvalersene.

Ma quali sono, in questo caso, gli effettivi vantaggi della certificazione?

Un primo vantaggio consiste nella verifica che il rapporto che si va ad instaurare (o che è già in corso) non presenti, quantomeno “sulla carta” o sino al momento della certificazione, i tratti caratteristici dell’etero-organizzazione o addirittura dell’etero-direzione. In parole povere, può quindi essere utile per non partire con il piede sbagliato. Qualcuno ha parlato a tale proposito di funzione “educativa” della certificazione nella redazione dei contratti, e lo stesso legislatore prevede espressamente che la commissione suggerisca integrazioni o modifiche al contratto.

C’è poi un vantaggio ancor più consistente, che riguarda gli effetti nei confronti degli enti previdenziali (Inps, Inail) e ispettivi (Dtl). Questi enti non possono, in caso di contratto certificato, procedere alla riqualificazione del rapporto (e alla conseguente riscossione di crediti contributivi) per via amministrativa: se vogliono contestare la natura del rapporto, devono rivolgersi al giudice e attendere il suo accertamento.

C’è poi un “filtro” preventivo al ricorso al giudice: chiunque voglia presentare un ricorso giurisdizionale contro la certificazione deve prima esperire un tentativo di conciliazione presso la stessa commissione che ha certificato il contratto.

Detto questo, non ci si può aspettare dalla certificazione né l’eliminazione di tutti i rischi legati all’utilizzo delle collaborazioni né un effetto preclusivo del contenzioso.

Quasi tutte le controversie in materia di qualificazione del rapporto traggono origine dalla difformità tra il contratto e l’effettivo svolgimento del rapporto. Se etero-organizzazione e etero-direzione, delle quali è stata inizialmente certificata l’assenza, vengono poi riscontrate nella successiva fase di attuazione del rapporto, nulla impedisce al collaboratore di agire in giudizio per rivendicare la subordinazione, con tutte le relative conseguenze.

A ciò si aggiunga la possibilità, prevista dalla legge, di impugnare la certificazione per erronea qualificazione del contratto e per vizi del consenso.

La certificazione dei contratti di collaborazione autonoma, anche dopo l’entrata in vigore dell’articolo 2 del Dlgs 81/2015, può dunque essere uno strumento utile per sostenere le genuinità del contratto, ma non risolutivo per eliminare i rischi e le incertezze che l’utilizzo di queste tipologie contrattuali reca con sé.

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