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Pensionati con contratti di collaborazione:

Cosa succede ai pensionati che continuano a prestare la loro attività con contratti di collaborazione a progetto dopo la riforma di cui al Jobs Act.

A parlarcene è un articolo pubblicato oggi (17.12.2015) sul Sole 24 ore (Firma: A. Bot; Titolo: “Pensionati, addio eccezioni”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

Soprattutto in alcuni settori è abbastanza invalsa la pratica di proporre ai lavoratori che vanno in pensione di continuare a prestare la propria opera per la loro (ex) azienda con un contratto di lavoro autonomo, che va a cumularsi con l’assegno previdenziale.

Le ragioni sono varie: la necessità di prolungare il passaggio di consegne e di fare da tutor a chi viene assunto in sostituzione del pensionato, l’utilità di continuare ad avvalersi di un bagaglio di conoscenze ed esperienze maturate sul campo, il bisogno del lavoratore stesso di continuare a condurre una vita attiva, anche se magari con ritmi e orari diversi. Tutto ciò, ovviamente, in quadro di allungamento dell’aspettativa di vita.

La diffusione del fenomeno spiega evidentemente la scelta, operata nel 2003 dalla legge Biagi, di escludere i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa con pensionati di vecchiaia dalla necessità di riconduzione a un progetto, analogamente a quanto disposto per amministratori e sindaci, professionisti iscritti a un albo, collaboratori delle società sportive.

In questo modo, mettendo questo genere di rapporti al riparo da interventi restrittivi (quali, appunto, la necessità del progetto), si è dato loro un sostanziale via libera. Con effetti talvolta anche distorti: in alcuni casi alla nuova forma contrattuale non si è accompagnava un reale cambiamento delle modalità di lavoro. Il collaboratore (coordinato e continuativo) continuava nella sostanza a fare lo stesso lavoro di quando era dipendente, cumulando pensione e compenso.

Con il Jobs act è stata fatta una scelta completamente diversa. Nel momento in cui viene introdotta una nuova tecnica di limitazione delle collaborazioni coordinate e continuative (non più la necessità del progetto ma l’assenza di etero organizzazione), sono confermate le eccezioni precedenti tranne quella del pensionamento. E quindi anche al collaboratore pensionato, dal 1° gennaio 2016, si applica la regola per cui quando le modalità della prestazione lavorativa siano organizzate dal committente, anche con riferimento al luogo e ai tempi, si applica al rapporto la disciplina del lavoro subordinato. Il pensionato non è più esentato dai limiti posti alle collaborazioni coordinate e continuative (ieri il progetto, oggi l’assenza di etero organizzazione).

Molti rapporti di questo genere, dunque, non potranno sopravvivere oltre il 31 dicembre 2015. Potranno essere mantenuti solo quelli in cui non sono richiesti nè la presenza sul luogo di lavoro nè il rispetto di tempi. Cioè, in pratica, quelli in cui la prestazione ha un genuino carattere libero professionale, il che non accade nella maggioranza dei casi. A questo punto al collaboratore pensionato sarà inevitabilmente posta un’alternativa: essere assunto con un contratto di lavoro subordinato (magari a termine o in somministrazione), oppure instaurare un rapporto davvero autonomo, che non lo veda sistematicamente presente nei luoghi di lavoro e inserito nel ciclo produttivo e nella struttura aziendale. A meno di non rassegnarsi a lasciare definitivamente il mondo del lavoro.

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