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Sentenze difformi sulla nuova disciplina delle mansioni:

A distanza di pochi giorni sono state pronunciate due sentenze difformi sulla nuova disciplina delle mansioni a seguito della modifica dell’art. 2103 del codice civile (D.Lgs. n. 81/2015 di attuazione del Jobs Act) che consente, come è noto, il demansionamento del dipendente.

È questo l’argomento trattato da un articolo pubblicato oggi (25.11.2015) dal Sole 24 Ore (Firma: Olimpio Stucchi; Titolo: “Tribunali divisi sulle mansioni”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

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Sono bastati otto giorni per avere due diverse sentenze sull’applicabilità (o meno) del nuovo articolo 2103 del codice civile sul demansionamento a fatti iniziati prima del 25 giugno 2015 e continuati dopo. Mentre il tribunale di Roma, con pronuncia del 30 settembre, ha ammesso la possibilità di applicare la nuova disciplina delle mansioni anche ai rapporti già in corso alla data di entrata in vigore della riforma, il tribunale di Ravenna, con sentenza depositata il 22 settembre, ha negato tale soluzione.

Il nuovo articolo 2103 del codice civile (modificato dal Dlgs 81/2015, entrato in vigore il 25 giugno) consente ora al datore di lavoro di assegnare il dipendente alle mansioni per cui è stato assunto oppure a quelle riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte, superando così il vecchio limite dell’equivalenza. Ove, poi, vi sia modifica degli assetti organizzativi aziendali incidenti sulla posizione del lavoratore, il datore può anche assegnare il dipendente a mansioni di livello inferiore, purché della medesima categoria legale.

Nel caso concreto posto all’attenzione del giudice, un lavoratore ha chiesto di accertare l’assegnazione dal novembre 2013 a mansioni inferiori quelle in precedenza svolte e, conseguentemente, di condannare il datore di lavoro tanto alla reintegra nelle mansioni superiori che al risarcimento del danno subito.

In via preliminare il giudice ha rilevato di non poter applicare la nuova disciplina in materia di ius variandi poiché il demansionamento è stato commesso prima del 25 giugno 2015. A detta del tribunale di Ravenna, infatti, la disposizione dell’articolo 3 del Dlgs 81/2015 non ha natura retroattiva e neppure prevede disposizioni intertemporali, per cui anche gli effetti del demansionamento successivi alla riforma sarebbero soggetti alla precedente normativa.

A una conclusione diversa è invece giunto pochi giorni dopo il tribunale di Roma (si veda il Sole 24 Ore del 22 ottobre) che, considerando il demansionamento un illecito permanente, ha ritenuto di poter applicare la nuova disciplina alla parte di evento successivo al 25 giugno anche se lo stesso è iniziato prima di tale data e, quindi, di poter valutare la liceità o meno della condotta datoriale rispetto alla normativa vigente giorno per giorno.

Nel merito le domande del lavoratore non sono state accolte per due ragioni. Quanto all’asserito demansionamento, il tribunale di Ravenna ha ritenuto le mansioni da ultimo assegnate compatibili sia con la professionalità acquisita che con un’esigenza di maggiore possibilità di occupazione. In poche parole, la pronunzia ha applicato una nozione dinamica di equivalenza, coerente sia alle declaratorie del contratto collettivo che alla specifica organizzazione aziendale. La domanda risarcitoria, invece, è stata rigetta per assoluta indeterminatezza, in quanto il ricorrente si era limitato a chiedere il risarcimento di «tutti i danni», senza specificarne la tipologia e l’entità.

In conclusione, l’attuale divergenza sull’applicazione della nuova disciplina delle mansioni porta a preferire un’interpretazione prudenziale dell’articolo 2013 del codice civile, in attesa di capire quale delle due pronunzie diventerà la “capostipite” dell’orientamento maggioritario.

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