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Dimissioni e prova scritta:

È onere del datore di lavoro fornire la prova che il recesso del lavoratore è avvenuto a seguito della presentazione delle sue dimissioni, di cui deve essere fornita prova scritta, e che pertanto il dipendente abbia manifestato in modo univoco e incondizionato la volontà di interrompere il rapporto di lavoro.

È quanto stabilito dalla Corte Suprema di Cassazione con la Sentenza n. 16269 del 2015.

Se ne parla in un articolo pubblicato ieri (7.8.2015) sul Sole 24 Ore (Firma: Giuseppe Bulgarini d’Elci; Titolo: “Prova scritta per le dimissioni. Equiparazione al licenziamento orale se non si presenta un’idonea documentazione” che vi proponiamo.

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Ecco l’articolo.

La Corte di cassazione, con sentenza n. 16269 del 31 luglio scorso, ha confermato che se il lavoratore ha dimostrato la sua estromissione dal posto di lavoro è onere del datore di lavoro fornire la prova che il recesso è intervenuto a seguito di dimissioni, con la precisazione che, stante l’interesse primario del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, l’indagine sulla sussistenza delle dimissioni del lavoratore deve essere rigorosa.

Non è sufficiente la deduzione della parte datoriale, seppur supportata da elementi presuntivi, che il rapporto di lavoro si è interrotto per effetto di dimissioni del lavoratore, in quanto sul datore di lavoro incombe la prova, da fornire attraverso elementi rigorosi e concordanti, che il dipendente abbia manifestato in modo univoco e incondizionato la volontà di interrompere il rapporto di lavoro.

L’indagine sulla sussistenza delle dimissioni quale causa di interruzione del vincolo contrattuale – si legge nella sentenza della Corte – deve essere svolta con carattere di particolare rigore, in quanto sono in discussione interessi giuridici primari, tra cui quello del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, che ricevono dall’ordinamento una tutela rafforzata ed impongono, quindi, un compiuto accertamento sulla effettiva ricorrenza della volontà del dipendente di porre fine al rapporto.

Alla luce di questi principi, la Cassazione ha affermato che, stante la mancata prova delle dimissioni del lavoratore, l’interruzione del rapporto di lavoro era da ascrivere al datore di lavoro e da ricondurre, poiché mancava un atto scritto, nello schema del licenziamento orale.

La vicenda esaminata dai giudici di legittimità era relativa alla impugnazione del licenziamento svolta da un lavoratore di un’impresa petrolifera, la quale resisteva nel giudizio affermando che l’interruzione del rapporto era da ricondurre alle dimissioni precedentemente rassegnate dal lavoratore. Sia in primo grado, sia in appello, rilevato che mancava un idoneo documento scritto di dimissioni e che neppure per altra via si poteva evincere la chiara volontà del lavoratore di interrompere unilateralmente il rapporto, la risoluzione del vincolo contrattuale veniva rapportata ad un licenziamento orale, con condanna dell’impresa alla ricostituzione del rapporto di lavoro e al versamento delle retribuzioni intermedie maturate dal dipendente in applicazione dell’ordinario regime risarcitorio da inadempimento.

La Cassazione conferma la decisione resa sul punto dalla Corte d’appello e precisa che il recesso datoriale, mancando di un chiaro minimum dichiarativo, è per ciò stesso tamquam non esset e risulta, dunque, inidoneo a determinare la risoluzione del rapporto lavorativo a prescindere dal regime di tutela (reale o obbligatoria) che assiste il contratto di lavoro. Ripercorrendo l’insegnamento espresso in precedenti pronunce, la Corte osserva che, in tali ipotesi, il rapporto si considera mai interrotto, con obbligo per l’impresa di ricostituire il vincolo contrattuale e di versare al lavoratore le retribuzioni non percepite nel periodo intermedio tra il licenziamento (orale) e la effettiva riammissione in servizio.

La radicale inefficacia del licenziamento orale prescinde, ad avviso della Cassazione, dalla natura stessa del recesso, trovando applicazione, in base alla normativa vigente ratione temporis, l’ordinario regime risarcitorio che impone di versare al dipendente estromesso, trattandosi di un rapporto di lavoro in atto, le retribuzioni non percepite a causa dell’inadempimento datoriale e senza che, con riferimento alle conseguenze risarcitorie, possa trovare applicazione la disciplina di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

È solo il caso di aggiungere, a tale riguardo, che a seguito del processo di riforma della Legge 92/2012 (riforma Fornero) anche il recesso datoriale privo di forma scritta rientra oggi nella disciplina di cui all’articolo 18, che al comma 1 (dedicato ai licenziamenti radicalmente nulli, tra cui quelli discriminatori) ricomprende nel regime di tutela reintegratoria piena il licenziamento dichiarato inefficace perché intimato oralmente.

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