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Salario non pagato: quali sono le vie legali per recuperarlo

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Salario non pagato: quali sono le vie legali per recuperarlo
Recupero salario non pagato (diritto-lavoro.com)

Esplorare le vie legali per recuperare i salari non percepiti è essenziale per garantire la tutela dei diritti dei lavoratori. Questo articolo analizza le procedure legali disponibili, quando coinvolgere un avvocato del lavoro, le tempistiche coinvolte, l’esecuzione delle sentenze e le alternative alle dispute giudiziarie, con esempi di casi risolti con successo.

Procedure di rimborso: cosa sapere

Quando un lavoratore non riceve il giusto compenso, è vitale intraprendere le corrette procedure legali per il recupero dei salari non corrisposti.

In primo luogo, è fondamentale mantenere una documentazione dettagliata delle ore lavorate e dei contratti stipulati, che può servire come prova in un contesto legale.

Il primo passo formale generalmente consiste nell’invio di una lettera di messa in mora al datore di lavoro, chiedendo il pagamento degli stipendi dovuti entro un certo periodo di tempo.

Se questa richiesta non porta a un risultato positivo, il lavoratore può presentare una denuncia presso l’Ispettorato del Lavoro.

Questa istituzione ha il potere di effettuare ispezioni e di prendere provvedimenti coercitivi contro il datore di lavoro.

Se queste iniziative non si rivelano efficaci, il lavoratore ha l’opzione di intentare una causa presso il tribunale del lavoro per ottenere una sentenza che imponga il pagamento.

È importante notare che queste procedure possono variare leggermente a seconda del paese o della regione, ma in generale, il diritto del lavoro offre diversi strumenti per tutelare il diritto alla retribuzione.

Quando consultare un avvocato del lavoro

Coinvolgere un avvocato del lavoro in una disputa salariale può fare una grande differenza nell’esito del caso.

Anche se rappresentare se stessi è un’opzione, un esperto legale offre competenze specifiche nella navigazione delle complessità del diritto del lavoro.

È consigliabile consultare un avvocato nelle fasi iniziali del problema, specialmente se il datore di lavoro mostra segni di resistenza nel pagamento.

Un avvocato può fornire consulenza sulla migliore strategia da seguire e anche rappresentare il lavoratore in tribunale.

Alcuni segnali che indicano la necessità di assistenza legale includono la sistematica omissione nel pagamento degli stipendi, minacce di ritorsione da parte del datore di lavoro, o la richiesta del datore di lavoro di firmare documenti senza una chiara spiegazione.

Gli avvocati del lavoro possono anche assistere nella negoziazione di accordi extragiudiziali, che spesso rappresentano una soluzione più rapida e meno costosa rispetto al contenzioso.

Quando consultare un avvocato del lavoro
Quando consultare un avvocato del lavoro (diritto-lavoro.com)

Le tempistiche legali nelle dispute salariali

Le tempistiche legali in una disputa salariale sono un elemento cruciale da considerare.

In generale, le leggi del lavoro stabiliscono un periodo entro il quale un lavoratore può presentare un reclamo legale per il recupero dei salari.

Questo periodo varia a seconda della giurisdizione, così come del tipo di rivendicazione.

Alcuni paesi o regioni potrebbero richiedere di intraprendere azioni legali entro pochi mesi dall’ultimo mancato pagamento, mentre altri potrebbero concedere anni.

È importante che i lavoratori siano consapevoli di questi limiti per non perdere il diritto di rivendicare legalmente ciò che è dovuto loro.

Una volta che una denuncia è stata presentata, il processo legale può richiedere diversi mesi o, in casi complessi, anche anni per giungere a una conclusione.

Durante questo periodo, è essenziale tenere traccia di tutte le comunicazioni e gli sviluppi legati al caso.

La pazienza e la perseveranza sono spesso necessarie quando si cercano di risolvere dispute salariali in modo formale.

Esecuzione delle sentenze: un processo complesso

Ottenere una sentenza favorevole in una disputa salariale rappresenta solo una parte del processo.

L’esecuzione delle sentenze, infatti, può rivelarsi un passo aggiuntivo complicato.

Non tutti i datori di lavoro rispettano automaticamente le decisioni della corte, e in tali casi il lavoratore deve attivare ulteriori procedure per forzare l’esecuzione.

Ciò potrebbe includere il sequestro di beni del datore di lavoro o il pignoramento di conti bancari.

Anche in questa fase, la consulenza di un esperto legale è inestimabile.

Gli avvocati possono guidare i lavoratori attraverso il processo di esecuzione e assicurarsi che tutte le azioni siano conformi alla legge.

È bene sapere che, pur essendo una fase potenzialmente lunga, l’esecuzione rappresenta un mezzo legale efficace per reclamare i diritti riconosciuti da una sentenza.

Alternative alla via giudiziaria

Non tutti i conflitti salariali richiedono il ricorso ai tribunali.

Esistono diverse alternative alla via giudiziaria che possono risolvere efficacemente tali quesiti.

La mediazione, ad esempio, è un metodo che implica la richiesta di un terzo neutro per facilitare il dialogo tra le parti, cercando di raggiungere un accordo amichevole.

Anche l’arbitrato è una valida opzione, con la decisione finale presa da un arbitro qualificato e vincolante per entrambe le parti.

Questi metodi sono generalmente meno costosi e più rapidi rispetto ai procedimenti giudiziari tradizionali, e offrono una riservatezza che non è sempre garantita in tribunale.

Tali approcci possono essere particolarmente efficaci in situazioni in cui le relazioni tra lavoratore e datore di lavoro devono essere mantenute anche dopo la risoluzione del conflitto.

Storie di successo: esempi di casi risolti

Leggere delle storie di successo riguardo a casi di recupero di salari non corrisposti può offrire motivazione e speranza a chi si trova in situazioni simili.

Ad esempio, un caso di rilievo ha visto una dipendente di una grande multinazionale recuperare diverse migliaia di euro dopo una lunga battaglia giudiziaria.

In questo caso, la lavoratrice aveva documentato meticolosamente tutte le ore lavorate e le comunicazioni con la gestione, il che si è rivelato cruciale nei procedimenti legali.

In un altro esempio, un gruppo di lavoratori di un cantiere è riuscito a ricevere i salari dovuti attraverso una mediazione efficace, evitando così un lungo processo legale.

Queste esperienze dimostrano che, con tenacia, una conoscenza approfondita dei diritti e, talvolta, l’assistenza legale, è possibile ottenere giustizia e il giusto compenso per il proprio lavoro.

Morte dell’animale domestico, ora puoi richiedere giorni di permessi retribuiti: la svolta storica

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Permesso retribuito lavoratori novità legislative
Morte dell'animale domestico, ora puoi richiedere giorni di permessi retribuiti -dirittolavoro.com

Il dolore per la dipartita di un animale domestico è spesso, purtroppo, sottovalutato. Le motivazioni sono molteplici.

Innanzitutto tante persone non riescono ad attribuire il valore affettivo al legame che si instaura tra una persona e il suo animale. Sottovalutare la profondità di tale relazione fa sì che al momento della scomparsa dell’animale si assuma atteggiamento semplicistico e si banalizzi la sofferenza nutrita.

Il dolore per la perdita di un animale domestico è spesso sordo, silenzioso, proprio perché non riconosciuto nel contesto familiare, amicale, lavorativo. Chi ne soffre può dunque sperimentare sensi di colpa o sentirsi inadeguato per il proprio dolore, finendo dunque per reprimerlo. Ma sta per arrivare la svolta.

Ora puoi richiedere giorni di permessi retribuiti: la svolta storica

Il deputato Davis Dory, di Alleanza Verdi e Sinistra ha presentato un disegno di legge destinato ad ampliare permessi e congedi dei tributi previsti dalla legge n. 53 del 2000, attualmente riservato solo ai familiari “umani”.

Ora puoi richiedere giorni di permessi retribuiti: la svolta storica- dirittolavoro.com

La proposta prevede tre giorni di permesso retribuito in caso di decesso del proprio animale domestico, sia cane sia gatto e 8 ore all’anno per assisterlo in caso di malattia. Si tratta di un grande passo in avanti, poiché, costringere un lavoratore a prestare servizio nonostante stia vivendo un lutto può rappresentare un rischio per la sicurezza sul lavoro.

Una recente indagine Ipsos del 2024 ha chiarito che il 56% dei nuclei familiari italiani possiede almeno un cane o un gatto. Si tratta di dati che non possono essere sottovalutati, specie perché la percentuale è in aumento, ed è la prova di un cambiamento culturale in atto profondissimo.

Oggi, gli animali sono molto più che una compagnia, sono parte della famiglia. Il disegno di legge fa riferimento soltanto ai cosiddetti animali da affezione, e rientrano in tale accezione i cani e i gatti.

Ovviamente, non sono gli unici animali ad instaurare un rapporto affettivo con gli esseri umani, ma sono gli unici ad essere registrati obbligatoriamente tramite microchip all’anagrafe degli animali da compagnia, rendendo possibile una verifica oggettiva e legale del rapporto di proprietà e di convivenza.

Tuttavia, non si esclude che, in futuro la norma venga estesa anche ad altre specie. In Italia, dunque, c’è sempre più attenzione alla dimensione affettiva e al benessere psicologico dei lavoratori. Questa proposta di legge segna un forte passo in avanti nella politica che, finalmente si è accorta che gli animali sono membri della famiglia.

Se la legge riconoscerà che il legame tra animali domestici ed essere umani è forte e va rispettato anche in caso di lutto, si riconoscerà finalmente dignità ad un dolore troppo bistrattato.

Sicurezza sul lavoro in Italia: cosa prevedono le normative e a chi si applicano

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Relazione tra RSPP e datore di lavoro: obblighi, ruoli e collaborazione necessaria
Relazione tra RSPP e datore di lavoro (diritto-lavoro.com)

L’articolo esplora l’importanza delle normative sulla sicurezza sul lavoro in Italia, evidenziando le leggi principali, le responsabilità dei datori di lavoro e la necessità di corsi di formazione. Vengono discussi anche i protocolli di emergenza e le conseguenze delle violazioni delle normative.

Rilevanza della sicurezza in ambito lavorativo

La sicurezza sul lavoro è un tema di cruciale importanza non solo per la salvaguardia del benessere dei lavoratori ma anche per garantire un’efficienza produttiva costante delle aziende.

In Italia, l’importanza della sicurezza è sottolineata dalla necessità di prevenire incidenti e malattie professionali che possono avere conseguenze devastanti non solo per il lavoratore, ma anche per la produttività aziendale.

Implementare pratiche di lavoro sicure è fondamentale per creare un ambiente lavorativo che minimizza i rischi e massimizza la capacità operativa.

I casi di incidenti sul lavoro possono generare spese ingenti a causa di infortuni o malattie legate all’occupazione, traducendosi in una perdita economica significativa per le imprese.

Pertanto, mettere in atto misure di sicurezza adeguate è non solo un obbligo legale, ma anche un dovere etico verso i lavoratori.

Rilevanza della sicurezza in ambito lavorativo
Rilevanza della sicurezza in ambito lavorativo (diritto-lavoro.com)

Principali normative italiane sulla sicurezza

In Italia, il quadro normativo relativo alla sicurezza sul lavoro è complesso e dettagliato, e comprende una serie di leggi e decreti volti a garantire che tutti i lavoratori operino in condizioni di sicurezza adeguate.

Tra le principali normative, spicca il Decreto Legislativo 81/2008, noto anche come Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Questo decreto rappresenta la base fondamentale delle regole di sicurezza sul lavoro, stabilendo obblighi e diritti per datori di lavoro e lavoratori.

Altre normative rilevanti includono il Decreto Legislativo 231/2001, che introduce la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, e vari decreti attuativi legati a settori specifici, come l’edilizia o la sanità.

Aderire a queste normative è essenziale per garantire un ambiente di lavoro sicuro e conforme, riducendo così i rischi di incidenti e malattie professionali.

Responsabilità del datore di lavoro

Il datore di lavoro ha un ruolo cruciale nella creazione di un ambiente di lavoro sicuro.

Secondo la legislazione italiana, il datore di lavoro è responsabile di valutare tutti i rischi presenti sul luogo di lavoro e adottare misure preventive e protettive per mitigare questi rischi.

Deve fornire strutture sicure, attrezzature adeguate e formazione costante in materia di sicurezza ai propri lavoratori.

Inoltre, il datore di lavoro è obbligato a nominare un responsabile della sicurezza e a effettuare regolari verifiche e aggiornamenti delle misure di sicurezza.

Un altro aspetto fondamentale della responsabilità del datore di lavoro è quello della comunicazione, assicurandosi che tutte le informazioni necessarie sui rischi e sulle pratiche sicure siano chiaramente trasmesse ed accessibili a tutti i dipendenti.

La negligenza in questi compiti può portare a gravi sanzioni legali e danni reputazionali.

Corsi di formazione sulla sicurezza

La formazione sulla sicurezza è un elemento chiave per un’efficace politica di salute e sicurezza sul lavoro.

La legislazione italiana prevede che i lavoratori ricevano una formazione adeguata e continua riguardo ai rischi presenti nel loro specifico ambiente lavorativo e alle misure di protezione da adottare.

I corsi di formazione devono essere progettati per adattarsi alle particolari esigenze dell’azienda e possono essere forniti sotto forma di sessioni in aula, workshop pratici, o moduli online.

L’obiettivo è equipaggiare i lavoratori con le conoscenze necessarie per identificare e gestire potenziali pericoli, promuovendo al contempo una cultura della prevenzione e della sicurezza.

La formazione non solo aiuta a prevenire incidenti e infortuni, ma aumenta anche la consapevolezza dei lavoratori, contribuendo così a creare un ambiente più sicuro e produttivo.

Protocollo di emergenza sul luogo di lavoro

Un protocollo di emergenza ben strutturato è essenziale per gestire situazioni critiche e ridurre al minimo le conseguenze nefaste sul posto di lavoro.

Le aziende sono tenute a sviluppare e implementare piani di emergenza che includano procedure dettagliate da seguire in caso di incendio, infortuni gravi o altri incidenti, e devono assicurarsi che tutti i lavoratori siano informati e formati su questi piani.

Gli elementi chiave di un buon protocollo di emergenza includono la nomina di personale addestrato per la gestione delle emergenze, simulazioni regolari per garantire la prontezza operativa e la disponibilità immediata delle risorse necessarie come kit di pronto soccorso e uscite di emergenza chiaramente segnate.

Una comunicazione efficiente è cruciale durante un’emergenza e deve essere parte integrante del protocollo.

Un approccio proattivo alla gestione delle emergenze non solo salva vite ma minimizza anche i danni materiali.

Controlli e sanzioni per la violazione delle norme

Il rispetto delle normative sulla sicurezza sul lavoro è monitorato attraverso un sistema di controlli rigorosi e sanzioni severe.

In Italia, gli ispettori del lavoro sono responsabili di verificare che le aziende rispettino le leggi in materia di salute e sicurezza, conducendo ispezioni regolari e rispondendo a segnalazioni di violazioni.

Le sanzioni per la mancata ottemperanza alle normative possono variare da sanzioni pecuniarie a pene detentive per le violazioni più gravi, come la mancata implementazione di misure di sicurezza adeguate che hanno portato a incidenti significativi o a malattie professionali.

Queste sanzioni servono da deterrente per le imprese, incoraggiandole a prendere sul serio le responsabilità in ambito di sicurezza e ad investire le risorse necessarie per mantenere un ambiente di lavoro sicuro.

Un approccio rigoroso e una vigilanza continua sono essenziali per garantire che le normative sulla sicurezza siano rispettate e che la salute dei lavoratori sia protetta.

Leggi antidiscriminatorie e lavoro: cosa prevedono e quali effetti reali hanno sui lavoratori

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Leggi antidiscriminatorie e lavoro: cosa prevedono e quali effetti reali hanno sui lavoratori
Leggi antidiscriminatorie e lavoro (diritto-lavoro.com)

L’articolo esplora l’impatto delle leggi antidiscriminatorie sui luoghi di lavoro, analizzando gli effetti positivi e le aree di miglioramento. Si esaminano anche casi di discriminazione e le conseguenze legali, proponendo ulteriori misure per migliorare la normativa attuale.

Panoramica delle leggi antidiscriminatorie esistenti

Le leggi antidiscriminatorie sul lavoro sono strumenti fondamentali creati per garantire un ambiente di lavoro equo e rispettoso dei diritti di ogni individuo.

A livello globale, esistono numerosi trattati internazionali e normative nazionali che mirano a proteggere i lavoratori da qualunque forma di discriminazione basata su razza, genere, età, disabilità, orientamento sessuale, e religione.

Negli Stati Uniti, ad esempio, la legislazione chiave comprende il Civil Rights Act del 1964, l’Americans with Disabilities Act del 1990, e il Age Discrimination in Employment Act del 1967.

In Europa, la Direttiva 2000/78/CE stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro.

Queste norme sono concepite non solo per proibire pratiche discriminatorie, ma anche per promuovere attivamente l’inclusività e la diversità nei luoghi di lavoro.

Attraverso l’applicazione di queste leggi, si tenta di realizzare un sistema equo dove competenze e meriti individuali vengono riconosciuti al di là delle differenze personali.

Tuttavia, la reale efficacia delle leggi antidiscriminatorie dipende dalla loro attuazione rigorosa e continua innovazione, visto che nuove forme di discriminazione emergono con l’evoluzione della società.

Panoramica delle leggi antidiscriminatorie esistenti
Leggi antidiscriminatorie esistenti (diritto-lavoro.com)

Effetti di queste leggi sui luoghi di lavoro

L’applicazione delle leggi antidiscriminatorie nei luoghi di lavoro ha prodotto effetti significativi e tangibili, contribuendo a cambiare la cultura aziendale e a promuovere un’occupazione più equa e diversificata.

In primo luogo, queste leggi hanno stimolato l’aumento della rappresentanza di gruppi precedentemente svantaggiati all’interno di varie organizzazioni, migliorando significativamente la diversità all’interno delle squadre di lavoro.

La diversità, a sua volta, ha dimostrato di favorire l’innovazione e la creatività, poiché la combinazione di prospettive diverse può portare a soluzioni più efficaci e innovative.

In secondo luogo, le aziende hanno adottato politiche più inclusive e promosso formativi sulla diversità sul posto di lavoro, aumentando così la sensibilità e la consapevolezza rispetto alle questioni di discriminazione.

Questo ha portato a un miglioramento complessivo del clima lavorativo, riducendo i conflitti e aumentando la soddisfazione dei dipendenti.

Tuttavia, l’efficacia di queste leggi dipende in gran parte dall’impegno delle imprese nell’integrarle nelle loro pratiche quotidiane, nonché dall’esistenza di meccanismi efficaci per denunciare e affrontare le pratiche discriminatorie.

Anche se le leggi costituiscono un fondamentale punto di partenza, è necessario un impegno costante per garantire che i principi di equità siano applicati e rispettati nei luoghi di lavoro.

Casi di discriminazione e conseguenze legali

Nonostante l’esistenza di leggi antidiscriminatorie robuste, i casi di discriminazione persistono nei luoghi di lavoro, talvolta portando a significative conseguenze legali per le aziende coinvolte.

Questi casi non solo mettono in luce le inefficienze nell’applicazione delle leggi, ma spesso comportano anche danni reputazionali e finanziari per le imprese.

Un esempio emblematico è rappresentato dai casi di discriminazione di genere nella determinazione degli stipendi, che hanno spesso portato a cause di tribunale e richieste di ingenti risarcimenti.

Quando una situazione di discriminazione viene portata davanti a un tribunale, le implicazioni legali possono includere multe salate e risarcimenti alle vittime, oltre a ordini di adeguamento delle pratiche aziendali per conformarsi alle normative vigenti.

Spesso, queste cause evidenziano la necessità di procedure aziendali interne più rigorose per gestire le denunce di discriminazione.

Molti enti e agenzie responsabili del rispetto delle normative lavorano per garantire che le aziende si conformino e adottino politiche preventive a tutela dei diritti dei lavoratori.

Tuttavia, c’è ancora una lunga strada da percorrere per garantire che tutte le forme di discriminazione siano eliminate definitivamente dai luoghi di lavoro, richiedendo un continuo rafforzamento delle leggi e delle loro applicazioni.

Analisi delle lacune normative ancora esistenti

Nonostante i progressi delle leggi antidiscriminatorie, esistono ancora importanti lacune che necessitano di attenzione per garantire una reale equità nel mondo del lavoro.

Una delle principali criticità risiede nella mancanza di protezioni specifiche per alcune categorie di lavoratori.

Ad esempio, molte leggi non offrono ancora sufficiente protezione contro la discriminazione basata sull’identità di genere o sull’orientamento sessuale, specialmente in alcune giurisdizioni dove queste forme di discriminazione non sono adeguatamente riconosciute.

Inoltre, le procedure per denunciare la discriminazione sul lavoro sono spesso complesse e burocratiche, scoraggiando molti individui dal cercare giustizia.

In diversi contesti, esiste una mancanza di trasparenza e chiarezza riguardo le azioni punitive che si possono intraprendere contro chi pratica discriminazioni.

Un altro aspetto cruciale è la limitata applicazione delle leggi nel settore privato, dove il monitoraggio e la regolamentazione possono risultare difficili.

Inoltre, le differenze culturali e giuridiche tra paesi rendono complesso adottare un approccio uniforme a livello internazionale.

Sebbene le normative si siano evolute, è necessario lavorare per rendere le politiche più inclusive e accessibili, e garantire una supervisione attiva e regolare delle pratiche aziendali.

Proposte per migliorare le leggi attuali

Migliorare le leggi antidiscriminatorie è essenziale per continuare il progresso verso un ambiente lavorativo realmente inclusivo ed equo.

Prima di tutto, un ampliamento dei tipi di protezione legale è cruciale.

Le leggi dovrebbero includere esplicitamente la protezione contro la discriminazione basata su tutti gli aspetti identitari, comprese le nuove forme di discriminazione digitale e online.

Inoltre, la semplificazione delle procedure di denuncia e delle vie di ricorso rappresenta un altro miglioramento necessario.

Fornire alle vittime strumenti chiari e accessibili per denunciare le ingiustizie è fondamentale per garantire che i diritti legali si traducano in reali azioni correttive.

Anche l’adozione di quotas per garantire una rappresentazione minima di minoranze e gruppi sottorappresentati in alcune organizzazioni può contribuire a promuovere la diversità.

Oltre alle regolamentazioni, è importante promuovere un cambiamento culturale attraverso l’educazione continua e i programmi di formazione sulla diversità.

Infine, una cooperazione internazionale più estesa e il rafforzamento delle organizzazioni di controllo possono facilitare la condivisione delle migliori pratiche e aiutare nella creazione di un quadro giuridico globale più omogeneo e funzionale.

Solo attraverso queste azioni coordinate sarà possibile costruire ambienti di lavoro che rispettino pienamente i diritti e le diversità di tutti i lavoratori.

Posso affittare una casa con sopra un’ipoteca? Perché è l’inquilino a rischiare grosso

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affittare casa ipotecata
Si può affittare casa se ipotecata? - diritto-lavoro.com

Affittare una casa gravata da un’ipoteca è una pratica consentita dalla legge, ma può comportare rischi rilevanti.

In questo articolo analizziamo i diritti dell’inquilino, le condizioni che rendono opponibile il contratto di locazione al nuovo proprietario e le precauzioni per tutelarsi efficacemente.

Affittare una casa su cui grava un’ipoteca è assolutamente legale. Il proprietario non perde il diritto di disporre del bene, mantenendo la facoltà sia di abitarci sia di concederlo in locazione.

Affittare un immobile con ipoteca: è legale e quali sono i rischi?

L’ipoteca rappresenta infatti un diritto reale di garanzia a favore del creditore, di solito una banca, e non limita l’uso o la locazione dell’immobile. Tuttavia, qualora il proprietario non onorasse il debito garantito, la banca può avviare il pignoramento con vendita all’asta dell’immobile.

Per l’inquilino, il rischio principale deriva dal cosiddetto “diritto di seguito” (art. 2808 c.c.), secondo cui l’ipoteca segue l’immobile attraverso ogni passaggio di proprietà. Ciò significa che, se l’immobile viene venduto all’asta, il nuovo acquirente subentra nella proprietà e può potenzialmente decidere di sfrattare l’inquilino, a meno che quest’ultimo non abbia adeguate garanzie.

Contratto di locazione e tutela dell’inquilino: la data certa è fondamentale

Se l’immobile ipotecato viene pignorato e venduto all’asta, il punto cruciale per l’inquilino è se il contratto di locazione sia opponibile al nuovo proprietario. Secondo l’articolo 2923 del Codice Civile, il contratto è opponibile se ha una data certa anteriore al pignoramento.

affittare casa ipotecata
Cosa devi sapere – diritto-lavoro.com

Il modo più efficace per ottenere tale data certa è la registrazione del contratto di locazione presso l’Agenzia delle Entrate. La registrazione non è solo un obbligo fiscale, ma anche uno strumento di tutela fondamentale: consente di avere una data pubblica e incontestabile del contratto. Un contratto non registrato, anche se scritto o verbale, non garantisce protezione in caso di vendita all’asta, e il nuovo proprietario potrebbe non riconoscere il diritto di abitazione all’inquilino.

Esempio pratico: se firmi e registri il contratto il 1° marzo 2025 e il pignoramento viene trascritto il 1° settembre 2025, il nuovo acquirente all’asta dovrà rispettare il contratto fino alla sua naturale scadenza. Viceversa, senza registrazione, l’inquilino rischia di essere sfrattato immediatamente.

Vi sono poi alcune eccezioni e limiti:
Locazioni ultranovennali: per contratti superiori a nove anni, la locazione deve essere trascritta nei registri immobiliari prima del pignoramento per essere opponibile per tutta la durata; altrimenti sarà valida solo fino a nove anni.
Canone “vile”: se il prezzo di affitto è inferiore di oltre un terzo rispetto al valore di mercato, il nuovo proprietario non è obbligato a rispettare la locazione, per evitare accordi fraudolenti.

Obblighi del proprietario e verifiche preliminari

La legge non impone al proprietario di dichiarare la presenza di un’ipoteca nel contratto di affitto, poiché l’ipoteca è un diritto pubblico e consultabile nei registri immobiliari. Tuttavia, in caso di omissione dolosa e violazione del principio di buona fede, il locatore potrebbe essere chiamato a risarcire eventuali danni causati all’inquilino.

Per questo motivo, è consigliabile che l’inquilino richieda una visura ipotecaria presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (oggi ufficio dell’Agenzia delle Entrate – Territorio) prima di firmare il contratto. Tale documento indica se sull’immobile gravano ipoteche, pignoramenti o altri vincoli, consentendo una scelta informata.

Comodato d’uso gratuito e impatti fiscali

Un tema spesso correlato è quello del comodato d’uso gratuito, contraddistinto dall’art. 1803 del Codice Civile come il contratto tramite cui una parte consegna un immobile affinché l’altra ne faccia uso gratuitamente per un periodo determinato.

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Cosa dice la legge – diritto-lavoro.com

Diversamente dall’affitto, il comodato non trasferisce la proprietà né costituisce un diritto reale, ma solo un diritto d’uso. Pertanto, concedere in comodato un immobile acquistato con agevolazioni “prima casa” non comporta la decadenza dalle stesse, a condizione che il comodante mantenga la residenza nel Comune dove è ubicato l’immobile.

Tuttavia, non è possibile ottenere nuovamente le agevolazioni “prima casa” senza vendere l’immobile precedentemente acquistato, poiché il comodato non configura una cessione di proprietà. Dal punto di vista fiscale, in molti Comuni, l’IMU può essere ridotta fino al 50% in caso di comodato a parenti in linea retta, ma è consigliabile consultare l’ufficio tributi locale per conferme specifiche.

Domande frequenti sul comodato e la residenza

  • Posso mantenere la residenza altrove e concedere in comodato l’immobile a un familiare?
    Sì, è possibile, ma ai fini delle agevolazioni fiscali e dell’IMU la situazione va valutata caso per caso, considerando anche le normative comunali.
  • Il comodato preclude la possibilità di avere un contratto di affitto?
    Sono due rapporti distinti. Un soggetto può essere comodatario e contemporaneamente avere un contratto di affitto per un altro immobile. Le tempistiche per la disdetta del contratto di affitto dipendono dal contratto stesso.
  • Posso usufruire delle agevolazioni per l’acquisto “prima casa” se vivo in comodato?
    Sì, purché non si posseggano diritti di proprietà, usufrutto o abitazione su un altro immobile nel medesimo Comune e si rispettino gli altri requisiti di legge. La presenza del comodato non costituisce un diritto reale e quindi non impedisce l’accesso alle agevolazioni.

Tasse e regole per influencer: cosa sapere per lavorare in modo corretto (senza sorprese)

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Tasse e regole per influencer: cosa sapere per lavorare in modo corretto (senza sorprese)
Tasse e regole per influencer (diritto-lavoro.com)

Gli influencer devono affrontare obblighi fiscali simili a quelli di altre professioni. Questo articolo esplora le diverse aliquote fiscali, le normative europee e fornisce consigli utili per evitare sanzioni e pianificare le tasse in modo efficace.

Obblighi fiscali e dichiarazione dei redditi per influencer

Nell’era digitale, gli influencer svolgono un ruolo cruciale nel modellare opinioni e promuovere prodotti attraverso piattaforme come Instagram, YouTube e TikTok.

Tuttavia, mentre l’industria del marketing degli influencer continua a crescere, anche la necessità di una corretta gestione fiscale si fa sempre più stringente.

Gli influencer, come qualsiasi altro lavoratore autonomo o libero professionista, hanno l’obbligo di dichiarare i redditi derivanti dalla loro attività e devono adempiere a specifici obblighi fiscali.

Questo significa che ogni forma di compenso ricevuto – sia in forma di denaro che di beni o servizi – deve essere riportato nella dichiarazione dei redditi.

Ogni paese ha le sue regole, ma in generale, in Italia è necessario registrarsi presso l’Agenzia delle Entrate, possedere una partita IVA e regolarizzare la propria posizione fiscale dichiarando i guadagni percepiti.

Inoltre, gli influencer devono conservare una registrazione dettagliata delle proprie entrate e delle relative spese deducibili, le quali potrebbero includere costi per viaggio, attrezzatura, e spese operative legate alle loro attività.

La corretta gestione di questi aspetti non solo è essenziale per evitare sanzioni da parte delle autorità fiscali, ma anche per garantire che gli influencer possano beneficiare appieno delle detrazioni fiscali disponibili.

Obblighi fiscali e dichiarazione dei redditi per influencer
Obblighi fiscali per influencer (diritto-lavoro.com)

Le diverse aliquote fiscali in base al reddito

Le aliquote fiscali applicabili agli influencer variano significativamente in base al livello di reddito.

In Italia, il sistema fiscale è progressivo, il che significa che il tasso di tassazione aumenta proporzionalmente al crescere del reddito.

Gli influencer con redditi più bassi potrebbero trovarsi in fasce con aliquote ridotte, mentre coloro che guadagnano importi elevati possono essere soggetti a tassi di tassazione più alti.

È essenziale che gli influencer comprendano in quale fascia di reddito si collocano per adempiere correttamente ai loro obblighi fiscali.

Ad esempio, i redditi fino a 15.000 euro possono essere tassati con una aliquota minima che può aumentare significativamente per redditi superiori a, diciamo, 75.000 euro.

Questa comprensione aiuta non solo a determinare le giuste stime per i pagamenti fiscali, ma anche a pianificare strategie per ottimizzare il carico fiscale attraverso deduzioni e agevolazioni.

Ad esempio, gli influencer potrebbero esplorare la possibilità di dedurre spese relative alla produzione di contenuti, come costi di attrezzature e software, o cercare consulenza specializzata per ridurre l’importo delle tasse dovute legittimamente.

Normative europee e impatto sulle attività in Italia

Le normative fiscali non si fermano ai confini nazionali, specialmente per una professione così globalizzata come quella degli influencer.

L’Unione Europea (UE) ha stabilito una serie di regole e normative fiscali che possono influenzare il modo in cui gli influencer italiani devono gestire le loro attività.

Un esempio di queste normative è il trattamento IVA per i servizi digitali forniti a clienti in altri paesi dell’UE.

Gli influencer che collaborano con brand o aziende a livello internazionale devono tenere conto delle implicazioni fiscali di tali transazioni, incoraggiando una conformità che rispetti sia le leggi locali che quelle comunitarie.

Inoltre, normative come la DAC6, introdotta per combattere l’evasione fiscale transfrontaliera, possono essere rilevanti per quegli influencer che hanno strutture o partnership aziendali in diversi Stati membri.

È fondamentale che gli influencer si tengano aggiornati sui cambiamenti normativi e, se necessario, si avvalgano di consulenti fiscali esperti in diritto internazionale per evitare di incappare in sanzioni significative.

Ignorare le regole europee può comportare pesanti multe, oltre a mettere a rischio la reputazione e la fiducia conquistata.

Prevedere le tasse: guida alla pianificazione fiscale

Uno degli aspetti più cruciali della gestione fiscale per gli influencer è la pianificazione fiscale proattiva, che implica la stima accurata delle tasse dovute e l’ottenimento di informazioni sulla possibilità di adottare misure per ridurre il carico fiscale.

Gli influencer di successo spesso utilizzano software per il calcolo delle imposte e applicazioni di gestione finanziaria per tenere traccia dei loro profitti e delle spese deducibili.

Pianificare anticipatamente significa anche rispettare le scadenze per i pagamenti anticipati delle imposte, noti come acconti, che in Italia devono essere corrisposti durante l’anno di tassazione.

È importante prevedere le proprie entrate future basandosi su analisi dettagliate dei trend di guadagno e di come i cambiamenti nel mercato potrebbero influenzare tali guadagni.

Inoltre, considerando le diversità nella gestione fiscale internazionale, per quelli coinvolti in progetti oltreconfine, è importante pianificare per potenziali obblighi fiscali in quei paesi.

Alcuni influencer optano per la creazione di una società per gestire i propri affari, il che può offrire vantaggi in termini di tassazione, ma richiede una gestione e una conformità che potrebbe essere più complessa.

Consigli da esperti fiscali per evitare sanzioni

Per navigare con successo il complesso panorama fiscale, molti influencer si affidano a esperti fiscali che forniscono consulenza su come mantenere la conformità ed evitare le insidie delle sanzioni.

Gli esperti suggeriscono che una delle migliori pratiche è mantenere una registrazione meticolosa di ogni entrata e spesa legata all’attività di influencer.

Documentare accuratamente tutte le transazioni e conservare le ricevute e le fatture per almeno i cinque anni successivi rappresenta una misura fondamentale per dimostrare la conformità in caso di audit.

Inoltre, gli esperti sottolineano l’importanza di aggiornarsi costantemente sui cambiamenti delle leggi fiscali, sia a livello nazionale che europeo, e di sfruttare ogni possibile deduzione o credito d’imposta disponibile legalmente.

Gli influencer dovrebbero identificare fonti affidabili per il loro aggiornamento fiscale, che possono includere pubblicazioni ufficiali, risorse online affidabili e webinar tenuti da professionisti del settore.

Avere una relazione di lunga durata con un consulente fiscale di fiducia può anche garantire che si ricevono avvisi tempestivi sulle modifiche normative e si riceva supporto immediato in caso di dubbi o verifiche da parte delle autorità fiscali.

Discussione sulle possibili riforme future

Il panorama delle tasse per gli influencer è in continua evoluzione.

Varie proposte di riforma fiscale stanno prendendo forma mentre le autorità cercano di adeguare le normative esistenti alle peculiarità dell’economia digitale.

Una delle potenziali aree di riforma riguarda la semplificazione delle procedure di dichiarazione e pagamento delle imposte, adattate alle necessità degli influencer che operano principalmente online.

Inoltre, vi è una crescente discussione sulla possibilità di introdurre tasse specifiche per le transazioni internazionali, che influenzerebbero coloro che sono coinvolti in collaborazioni transfrontaliere permanenti.

Molti esperti propongono la creazione di linee guide chiare e specifiche, che permetterebbero agli influencer di comprendere meglio i propri obblighi senza cadere in interpretazioni errate della legge.

C’è anche una domanda su come le piattaforme digitali, come i social media su cui gli influencer operano, potrebbero essere coinvolte nella raccolta delle imposte.

Mentre queste discussioni continuano, è cruciale che gli influencer rimangano informati sulle evoluzioni legislative, partecipando a forum e discussioni che possono modellare il futuro della regolamentazione fiscale nel campo dell’influencer marketing.

Stress sul lavoro, non serve provare il mobbing: puoi ottenere un risarcimento anche se accade questo

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Stress sul lavoro, non serve provare il mobbing: puoi ottenere un risarcimento, tutti i dettagli
Stress sul lavoro, non serve provare il mobbing: puoi ottenere un risarcimento, tutti i dettagli- diritto-lavoro.com

Se sei molto stressato per il tuo lavoro puoi avere un risarcimento proprio per questi motivi: ecco i dettagli e le curiosità

Molto spesso i nostri lettori e utenti soprattutto in questa fase di vita in cui l’estate si fa sentire così come il caldo afoso, ci sono sempre delle curiosità che lasciano tutti senza parole soprattutto per chi, sul posto di lavoro, ti continua a fare mobbing. Andiamo a vedere in questo articolo di cosa si tratta e perché potresti chiedere un risarcimento: tutti i dettagli e le curiosità che fanno la differenza.

Negli anni, abbiamo sempre sentito la parola mobbing ma non abbiamo mai conosciuto il significato a pieno, tanto che abbiamo deciso di spiegarti cosa si intende. Infatti, quando senti parlare di mobbing, si tratta di un procedimento che sul posto di lavoro alcuni tendono a subire con critiche, trattamenti negativi e molto altro.

Questo tema a interessato parecchio il Governo Meloni ma anche la Corte di Cassazione che ha deciso di interessarsi con degli approfondimenti che non sono assolutamente passati inosservati.

Andiamo a vedere nel dettaglio di cosa si tratta, tutti le curiosità e gli approfondimenti che fanno la differenza.

Mobbing, ecco come ottenere un risarcimento

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10730 di quest’anno, offre molti essenziali quando si sente parlare di mobbing anche se questi non sono comprovati, ma l’azienda può comunque essere ritenuta responsabile, per non aver eliminato la situazione fonte di stress in ufficio, rispondendo ai senti del Codice civile.

Stress sul lavoro, non serve provare il mobbing: puoi ottenere un risarcimento
Stress sul lavoro, non serve provare il mobbing: puoi ottenere un risarcimento- diritto-lavoro,com

Secondo l’articolo 2087 Codice Civile, per cui una donna fece ricorso  per un asserito sovraccarico di lavoro ingiustificato e non gradito, i giudici in questo caso avrebbero accertato i fatti affidandosi e affermando da sentenza quello che vi stiamo per annunciare.

Si legge infatti: “a parametro valutativo unicamente la nozione di mobbing, assunta quale metro di riferimento dell’inadempimento dell’obbligo di salvaguardia della salute psicofisica del lavoratore e della sua dignità morale di cui all’invocata norma”.

Per questo, la mancata prova del mobbing nei confronti di una lavoratrice non implica  l’esclusione da responsabilità datoriale, per violazione dell’obbligo di garantire salute e sicurezza e per questo si possono evidenziare: “un’ipotesi di responsabilità del datore di lavoro per non avere adottato tutte le misure possibili e necessarie, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, fermo restando che grava su quest’ultimo l’onere della prova della sussistenza del danno e del nesso causale tra l’ambiente di lavoro e il danno, mentre grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver adottato tutte le misure necessarie a prevenirlo”.

Conto cointestato, l’ex ha prelevato tutti i soldi: cosa devi fare subito prima di perderli per sempre

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Ex preleva soldi
Il tuo ex preleva i soldi dal conto cointestato: è legale? - (diritto-lavoro.com)

Dopo la separazione, un partner che svuota il conto cointestato, spesso all’insaputa dell’altro. Un’azione lecita o un abuso?

Il comportamento di un partner che svuota un conto cointestato può avere un impatto significativo sul processo di separazione o divorzio. Se il prelievo avviene durante una fase critica, come prima della separazione o in un momento di crisi, il giudice potrebbe valutare tale comportamento nel determinare l’assegno di mantenimento, l’assegnazione della casa coniugale, e la divisione dei beni.

Nel caso di comunione legale dei beni, il prelievo unilaterale di fondi senza il consenso dell’altro partner può risultare particolarmente problematico, portando il giudice a disporre conguagli o altre compensazioni per ristabilire l’equilibrio patrimoniale tra le parti.

Prelievo senza consenso: è legale?

In un conto cointestato a firme disgiunte, ciascun partner ha il diritto di operare in autonomia. In altre parole, può prelevare denaro, effettuare bonifici, emettere assegni senza il consenso dell’altro cointestatario. Tuttavia, questo non implica che possa trattenere più della sua quota. Se i prelievi sono superiori alla parte che legittimamente spetta, si configura una violazione dei principi di comunione.

Prelievo senza consenso, legge
Prelievo senza consenso: cosa dice la legge – (diritto-lavoro.com)

L’articolo 1298 del Codice Civile stabilisce che, in mancanza di patti specifici, si presume che le quote siano uguali. Di conseguenza, se un partner preleva una somma che eccede la sua parte, questo può costituire un illecito civile, e l’altro partner può chiedere la restituzione delle somme sottratte.

Sebbene ogni partner abbia diritto al prelievo della propria parte, sottrarre somme superiori senza una giustificazione valida può risultare in una responsabilità civile. Se il prelievo danneggia l’altro cointestatario, quest’ultimo può avviare un’azione legale per ottenere un risarcimento.

In alcuni casi, la Cassazione ha sottolineato che se i prelievi sono stati effettuati per esigenze familiari, non sorge obbligo di restituzione, a meno che non emerga la titolarità esclusiva delle somme prelevate. Tuttavia, se il prelievo è stato fatto con l’intento di danneggiare l’altro partner, l’azione legale sarà mirata a risarcire il danno patrimoniale subito.

La ripetizione dell’indebito (articolo 2033 del Codice Civile) è l’azione legale più comune per richiedere la restituzione di somme prelevate senza giusta causa. In alternativa, è possibile avviare una procedura per la divisione dei beni presenti sul conto, utilizzando una presunzione di comunione. Il giudice, in caso di difficoltà nella ricostruzione dei versamenti, può decidere di avvalersi di un consulente contabile per una valutazione equa.

Se il comportamento dell’ex ha causato danni economici, come l’incapacità di far fronte a spese urgenti, si può chiedere anche il risarcimento del danno patrimoniale, con possibile richiesta di interessi o costi bancari.

In alcuni casi, il prelievo dal conto cointestato potrebbe configurare un reato, in particolare l’appropriazione indebita (articolo 646 del Codice Penale). Il reato si configura quando un partner si appropria indebitamente della parte dell’altro per ottenere un vantaggio ingiusto. La Cassazione ha precisato che il semplice prelievo, se fatto in buona fede, non costituisce reato, ma un prelievo consapevolmente illecito può essere punito con la reclusione fino a tre anni.

Chi intende impugnare un prelievo deve prima di tutto fornire prove concrete che il denaro prelevato ecceda la quota spettante. La ricostruzione dei movimenti bancari attraverso gli estratti conto è fondamentale, e, se necessario, si possono utilizzare documenti esterni (come buste paga o dichiarazioni fiscali) per dimostrare che la somma prelevata non apparteneva esclusivamente al partner che ha prelevato.

Anche una coppia non sposata può chiedere un mutuo cointestato: perché conviene davvero e quanto si risparmia

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Mutuo cointestato
Il mutuo cointestato: come funziona - (diritto-lavoro.com)

Acquistare una casa è un passo importante per molte coppie, anche per quelle non sposate. Ecco cosa dice la legge

Sebbene non siano legate da vincoli matrimoniali, le coppie conviventi condividono comunque responsabilità finanziarie e legali. Quando si tratta di accendere un mutuo, il finanziamento cointestato tra conviventi è una soluzione che offre vantaggi significativi, ma è anche fondamentale conoscere gli aspetti pratici e le implicazioni di tale scelta.

Le coppie non sposate, proprio come quelle sposate, possono richiedere un mutuo cointestato per acquistare una casa. Le banche, infatti, non discriminano sulla base dello status matrimoniale dei richiedenti. Ciò che conta per gli istituti di credito è la capacità di solvibilità e stabilità economica dei due partner. Avere due redditi a disposizione, inoltre, riduce il rischio per la banca, migliorando le condizioni del mutuo e la possibilità di ottenere finanziamenti vantaggiosi.

Requisiti per ottenere un mutuo cointestato

Per ottenere un mutuo cointestato, le banche esaminano diversi fattori legati sia ai richiedenti che all’immobile. I principali requisiti includono redditi Stabili: a banca chiederà documentazione che attesti entrate regolari, come buste paga o dichiarazioni fiscali.

Mutuo coppie non sposate
Mutuo: le soluzioni per le coppie non sposate – (diritto-lavoro.com)

Storia Creditizia: è essenziale che entrambi i partner abbiano un buon profilo creditizio, senza debiti insoluti o problematiche preesistenti. Età: le banche stabiliscono limiti di età per la durata del mutuo, di solito tra i 75 e gli 80 anni, per garantire che il finanziamento possa essere estinto entro la vita utile del mutuatario. Garanzie Aggiuntive: polizze assicurative, altri immobili intestati o garanti esterni possono influenzare la decisione della banca.

Inoltre, è fondamentale che l’immobile rispetti le normative edilizie e urbanistiche, e che il valore dell’immobile sia compatibile con l’importo richiesto. Le banche solitamente non concedono mutui se il Loan To Value (LTV) supera l’80%, a meno che non si tratti di specifici programmi come i mutui under 36.

Le coppie non sposate che acquistano una casa possono godere di alcune agevolazioni fiscali, simili a quelle per i coniugi, se l’immobile acquistato non appartiene alle categorie di lusso. Le principali agevolazioni includono:

  • Imposta di Registro: Ridotta al 2% anziché al 9%, se l’acquisto non è soggetto a IVA.

  • IVA: Se l’acquisto è soggetto a IVA, la tassa è ridotta al 4% per gli immobili acquistati entro 5 anni dalla costruzione o ristrutturazione.

  • Detrazione degli Interessi Passivi: È possibile detrarre il 19% degli interessi passivi sul mutuo, fino a un massimo di 4.000 euro annui.

Inoltre, per le coppie non sposate che acquistano una prima casa, esistono agevolazioni speciali come il mutuo under 36, che consente di ottenere finanziamenti al 100% grazie alla garanzia pubblica offerta dal Fondo Consap.

In caso di separazione, la gestione del mutuo cointestato potrebbe diventare complessa. Le opzioni per risolvere la situazione includono accollo del mutuo: Un partner può farsi carico del mutuo, liberando l’altro da ogni obbligo. Questa operazione, tuttavia, richiede l’approvazione della banca e una valutazione della capacità finanziaria del partner che rimarrà intestatario. Sostituzione di un Cointestatario: la banca può consentire la sostituzione di uno dei cointestatari, a condizione che il nuovo partner soddisfi i requisiti economici. Vendita dell’Immobile: se entrambe le parti sono d’accordo, l’immobile può essere venduto e il ricavato utilizzato per estinguere il mutuo, dividendo eventualmente l’eventuale surplus.

Eredità, ora puoi fare causa facilmente per la tua quota: cambiano le regole

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Eredità, ora puoi fare causa facilmente per la tua quota
Eredità, ora puoi fare causa facilmente per la tua quota-diritto-lavoro.com

Conosci le regole per far valere i tuoi diritti, in caso tu riceva un’eredità? Ecco cosa dice la legge in merito

Una delle questione più spinose è senz’altro quella dell’eredità. È da sempre, infatti, frutto di liti pesanti tra familiari, con ripercussioni emotive ed economiche significative nella vita di chi le vive.

Non accade di rado, infatti, che alla morte dei genitori (o di uno dei due) alcuni dei figli restino praticamente a mani vuote, poiché la quasi totalità del patrimonio va a un figlio (o due), in particolare.

Che cosa succede in questi casi? È di fatto un’ingiustizia, ma come comportarsi, in questi contesti? Come sempre, la legge interviene dando le giuste risposte, da conoscere per poter affrontare al meglio, un’eventualità del genere.

Eredità, la sentenza che ribalta le norme: ora è più semplice fare causa per ottenere la tua parte

Un verdetto recente della Corte Suprema (n°20954 del 23 luglio 2025) ha ribaltato le regole che finora complicavano, in caso di lasciti, la possibilità di far valere i diritti degli eredi.

Eredità, ora puoi fare causa facilmente per la tua quota
Eredità, ora puoi fare causa facilmente per la tua quota-diritto-lavoro.com

Si tratta di una svolta non indifferente in materia di diritto successorio, che aiuta gli altri eredi a ottenere la propria quota di legittima. La legge parla chiaro, senza indugi: ai parenti più stretti del defunto, ossia moglie/marito, figli ecc. spetta una quota dei beni ereditati che non può in nessun modo portata via, né tantomeno esclusa.

In sostanza, se si fa una donazione a un figlio piuttosto che a un altro o si prova a escludere un figlio da un testamento, quest’azione è impugnabile da chi la subisce. Ora, in passato, se si desiderava ottenere la propria quota ereditaria, il giudice chiedeva che gli eredi fornissero una prova, con tanto di dettagli, del danno arrecatogli.

In sostanza, era richiesta, con precisione, la cifra del danno economico subìto. Questo non era spesso possibile, soprattutto se in vita, uno solo degli eredi aveva ottenuto parte del patrimonio del genitore. Quindi erano anche parecchi i ricorsi respinti, in questi casi.

Tuttavia, con la nuova sentenza, non servirà più presentare un’evidenza matematica del danno subìto. Quello che conta, è che l’erede riesca a provare, davanti al giudice, che la sua esclusione/penalizzazione è verosimile.

In poche parole, basta una panoramica indicativa delle donazioni e della scarsità del restante patrimonio, per consentire l’accoglimento dell’istanza. In questo modo gli eredi sono maggiormente tutelati, e non vi saranno ingiuste esclusioni.

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