venerdì, Aprile 26, 2024
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Fondo Vittime Amianto: a chi spetta e come ottenerlo

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Pericolo amianto
Zona rischia a causa di contaminazione da amianto @Crediti EnvatoElements - DirittoLavoro

Tra le cause colpevoli di vittime sul lavoro, un posto lo occupa sicuramente l’amianto. E se già dal 1965 esiste una tutela assicurativa per chi si ammala sul lavoro, a causa di questa sostanza, è bene sapere che esiste un fondo pensato appositamente per vittime di amianto.

Ancora oggi, sono migliaia le vittime dell’amianto in Italia, molte delle quali hanno contratto le gravi patologie che derivano dall’esposizione a questa fibra proprio sul posto di lavoro. A fronte di questa drammatica situazione, è bene specificare che nel nostro Paese esiste un indennizzo riconosciuto a coloro che sono vittime dell’amianto in seguito a malattia professionale asbesto correlata: il Fondo Vittime Amianto (FVA).

Fondo Vittime Amianto: cos’è

Ad avere diritto al FVA sono tutte le vittime dell’amianto, cosi come stabilito dall’art.1 commi 241/246 L. 244/2007 che lo ha costituito. Con il Decreto Ministeriale 29 gennaio 2020 è stato stabilito che la prestazione sia pari al 20% della rendita INAIL. Inoltre, l’art.1 comma 116 L.190/2014 specifica che l’indennizzo debba essere esteso anche a coloro che sono vittime di mesotelioma (il cancro ai polmoni causato dall’amianto) per esposizione familiare e ambientale. In questo caso il FVA è costituito da una tantum di 10.000 euro e ad averne diritto sono coloro che sono rimasti vittime a partire dal 2015.

Secondo quanto stabilito, inizialmente ad avere diritto al FVA erano solo i titolari di rendita INAIL, ovvero chi aveva ottenuto l’indennizzo INAIL a seguito del riconoscimento di patologie derivate dall’amianto. Tuttavia, in questo contesto, è bene sottolineare che l’INAIL ha ricompreso alcune malattie asbesto correlate di origine professionale. Tali malattie si trovano in 3 liste. Nella lista I sono contemplate le malattie asbesto la cui origine lavorativa è di “elevata probabilità“, le liste II e III comprendono altre malattie che si possono ricollegare all’esposizione ad amianto a condizione che l’INAIL ne riconosca l’eziologia professionale per esposizione a minerali di asbesto. Come chiarisce l’Osservatorio Nazionale Amianto in un articolo dedicato, il Fondo Vittime Amianto è gestito da un Comitato Amministratore composto da rappresentanti di tutte le istituzioni e figure coinvolte nella ‘problematica amianto’.

Cosa è cambiato negli anni

Dopo la Legge del 30 dicembre 2020, n. 178 punto 356 e ss, a decorrere dal 1 gennaio 2021, l’INAIL ha introdotto alcune novità per i risarcimenti. Infatti, attraverso il FVA 2021, l’INAIL eroga una prestazione aggiuntiva pari al 15% della rendita in godimento che si aggiunge alla rendita mensile. Inoltre, il fondo è cumulabile anche ad altri benefici sulla base delle norme generali e speciali dell’ordinamento. In aggiunta, per tutti gli eventi accertati di malati di mesotelioma, contratto per esposizione familiare o durante la lavorazione dell’amianto (esposizione ambientale), è previsto un risarcimento di 10.000 euro corrisposto, in un’unica soluzione, all’interessato o agli eredi in caso di decesso. L’istanza deve essere presentata, pena decadimento, entro tre anni dalla data dell’accertamento della malattia.

Ancora, i lavoratori occupati nella produzione di rotaie ferroviari, che hanno prestato la loro attività senza essere dotati degli equipaggiamenti di protezione adeguati all’esposizione alle polveri di amianto, potranno beneficiare di una maggiorazione contributiva di 1,50 euro per il periodo di esposizione all’amianto, così come stabilito dal comma 360 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2021. Con la recente Legge di Bilancio 2023, infine, si apportano nuove modifiche al fondo, rendendolo pari al 17% della rendita e aumentando anche a 15.000 euro il riconoscimento per chi si è ammalato a causa di esposizione ambientale o familiare.

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Stellantis taglia e Tavares guadagna 1000 volte più di un operaio. L’esempio di Olivetti è dimenticato

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Carlos Tavares ad Stellantis
Carlos Tavares (al centro (fra Alberto Cirio, governatore del Piemonte (a sinistra) e Stefano Lo Russo, sindaco di Torino (a destra). Foto Ansa/Alessandro Di Marco

Il portoghese Carlos Tavares non fa eccezione. Anzi è diventato l’emblema, proprio in questi giorni, di un fenomeno eticamente molto discutibile, per quanto legalmente lecito ed economicamente legittimo. In Italia, da mezzo secolo almeno, gli stipendi dei manager d’azienda crescono a dismisura se paragonati a quelli di operai e dipendenti delle fabbriche, e così è per l’amministratore delegato di Stellantis (ex Fiat).

Lo scorso 16 aprile gli azionisti del gruppo automobilistico che fa capo alla famiglia Agnelli hanno approvato il nuovo maxi stipendio dei manager bonus inclusi. Quello di Tavares è balzato a 36 milioni all’anno, 3 milioni di euro al mese, oltre mille volte più dello stipendio di uno dei suoi operai. Nello stesso giorno Stellantis ha comunicato lo stop completo per 2 settimane della produzione a Mirafiori per oltre 2.000 lavoratori delle linee della Fiat 500 elettrica e delle Maserati.

Tavares, milionario sempre più ricco

Dagli azionisti è arrivato il via libera alla distribuzione di un dividendo di 4,7 miliardi di euro sulle azioni ordinarie, ma anche, appunto, al compenso di Tavares. Il quale nel 2023 ha guadagnato 13,5 milioni di euro, oltre a un bonus di 10 milioni legato agli obiettivi del gruppo. Complessivamente, quindi, la remunerazione del manager è stata di 23,5 milioni di euro a fronte dei 14,9 milioni del 2022, con un incremento che supera il 55%. Nel 2022 il compenso di Tavares suscitò le ire del presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron che bollò come “scioccante ed eccessivo” l’ammontare “astronomico” della sua retribuzione. Bisogna tenere presente che Stellantis è un gruppo italo-francese, i cui principali azionisti sono: Exor, la holding della famiglia Agnelli, con il 14,2% delle quote azionarie; Peugeot con il 7,1%; il Governo francese, tramite Bpi, con il 6,1%.

La rabbia dei sindacati

Inutile dire i sindacati italiani sono sul piede di guerra per la concomitanza con la nuova cassa integrazione a Mirafiori. “Lo stipendio annuale di Carlos Tavares vale il salario di mille lavoratori di Mirafiori” ha dichiarato Samuele Lodi, segretario nazionale della Fiom-Cgil e responsabile del settore mobilità. “Si usino profitti e stipendi per produrre più auto in Italia” ha osservato Giorgio Airaudo, segretario generale della Cgil Piemonte. “Siamo in un’economia di mercato e gli azionisti possono decidere di aumentare i lauti compensi dell’ad di Stellantis, ma come sindacato ribadiamo che la priorità oggi sono gli investimenti negli stabilimenti non i compensi. Anche così si pratica la responsabilità sociale verso i lavoratori e il Paese” ha detto il segretario generale della Fim, Ferdinando Uliano.

Le ragioni di Tavares

Dal canto suo Tavares si difende. Durante una tavola rotonda il 19 aprile, sottolinea Quattroruote, ha dichiarato di essersi opposto alle numerose richieste di vendere Alfa Romeo e chiudere Lancia. “Quello che abbiamo fatto è stato riconvertire il business di Alfa Romeo. Il marchio è redditizio, è posizionato nel segmento premium. L’attività è in crescita” ha detto l’ad di Stellantis.

C’è un problema di etica pubblica

Basta per farsi aumentare lo stipendio a 3 milioni di euro al mese? Sono scelte libere degli azionisti, senza dubbio. Tuttavia c’è una questione di etica pubblica molto seria che a Stellantis non sembrano neppure voler comprendere. Ben esemplificata, nel settembre 2022, dalle dichiarazioni di papa Francesco ai rappresentanti di Confindustria giunti in Vaticano. “Se la forbice tra gli stipendi più alti e quelli più bassi diventa troppo larga, si ammala la comunità aziendale, e presto si ammala la società” disse Francesco.

Adriano Olivetti citato dal Papa

Nel richiamare il principio di equità il Pontefice citò l’esempio di Adriano Olivetti, che “aveva stabilito un limite alla distanza tra gli stipendi più alti e quelli più bassi, perché sapeva che quando i salari e gli stipendi sono troppo diversi si perde nella comunità aziendale il senso di appartenenza a un destino comune, non si crea empatia e solidarietà tra tutti. E così, di fronte a una crisi, la comunità di lavoro non risponde come potrebbe rispondere, con gravi conseguenze per tutti“. Per Adriano Olivettinessun dirigente, neanche il più alto in grado, deve guadagnare più di 10 volte l’ammontare del salario più basso“. Tavares guadagna 1000 volte il salario più basso ma di lui nessuno si ricorderà nel futuro, all’infuori della famiglia Agnelli per ragioni aziendali. Adriano Olivetti è nella storia come uno dei più geniali imprenditori italiani di sempre, ancora oggi di esempio.

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Ponti di Primavera, aerei e treni più cari dello scorso anno

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passeggeri viaggi turismo ponti primavera
Foto Ansa/Telenews

I ponti di Primavera comportano costi salati per gli italiani che si sposteranno in treno, aereo, autostrada, nave e traghetto. E costeranno circa il 10,5% in più rispetto allo scorso anno a causa dei forti aumenti di prezzi e tariffe in tutto il comparto turistico e dei trasporti. Ci sarà un aggravio di spesa di complessivi 780 milioni di euro sul 2023. Lo afferma Assoutenti, che il 21 aprile ha fornito le stime sulle spese che attendono le famiglie in vista delle festività del 25 aprile e 1 maggio.

Lo scorso anno circa 17,1 milioni di italiani si sono concessi una vacanza in occasione dei ponti di Primavera generando un business da complessivi 7,4 miliardi di euro, spiega Assoutenti. Numeri positivi che si replicheranno nel 2024, con milioni di cittadini che si apprestano a trascorrere qualche notte fuori casa tra il 25 aprile e l’1 maggio. A pesare sui ponti saranno tuttavia i rincari che stanno interessando tutto il comparto turistico, e che toccano ogni aspetto delle vacanze. Ovvero i pacchetti vacanza, ad esempio. I quali hanno registrato nell’ultimo mese un aumento del +8,2% su base annua. Tuttavia sensibili rincari riguardano anche gli alberghi che hanno ritoccato le tariffe del +6,9% e gli alloggi in altre strutture (b&b, case vacanza, ecc.) che segnano un +8,4% su anno.

Aerei, voli carissimi

Proibitivo spostarsi in aereo per i ponti. I voli nazionali aumentano del +19,1% rispetto al 2023, quelli europei del +16,5%. Balzano del +7,3% i voli internazionali. Non andrà meglio a chi sceglie il treno: i biglietti rincarano del +8%, mentre autobus e pullman salgono del +4%. Chi si sposterà in auto dovrà fare i conti con gli ultimi rialzi dei carburanti. I prezzi alla pompa di benzina e gasolio continuano a salire senza sosta, al punto che la benzina verde è aumentata del +8,3% da inizio anno, con un pieno che costa circa 7,5 euro in più rispetto al 2023, denuncia Assoutenti.

Ma a rincarare sono anche tutti i servizi accessori: dai ristoranti che costano il 3,8% in più rispetto allo scorso anno, ai parchi divertimento (+4%), passando per musei e monumenti (+3,7%)” afferma il presidente di Assoutenti, Gabriele Melluso. “I ponti di Primavera costeranno così agli italiani circa il 10,5% in più rispetto allo scorso anno, determinando a parità di consumi una stangata da circa 780 milioni di euro su chi si metterà in viaggio nei prossimi giorni“.

Un italiano su 3 in viaggio per i ponti

Un’indagine Coldiretti/Ixè sui ponti di Primavera rivela che un italiano su tre (34%) farà ponte in occasione del 25 aprile. E lo farà sfidando le previsioni meteo negative con il ritorno del freddo dopo un’estate anticipata. La festa della Liberazione quest’anno offrirà una collocazione molto favorevole da sfruttare per gite o anche brevi vacanze.

La stragrande maggioranza dei nostri connazionali sceglierà località all’interno del nostro Paese, sottolinea la Coldiretti. Luoghi, cioè, che consentono di ottimizzare il tempo limitato a disposizione: dal mare alle città d’arte fino alla campagna e alla montagna. L’alloggio preferito è l’abitazione di proprietà o di parenti e amici. Seguono alberghi e bed and breakfast. Gettonatissimi gli agriturismi dove secondo Campagna Amica Terranostra in alcune strutture si registra già il tutto esaurito grazie al desiderio degli italiani di stare all’aria aperta alla ricerca del buon cibo.

 

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Salone del Mobile a Milano, 300mila visitatori per l’edizione 2024

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Salone mobile Milano 2024 fino al 21 aprile
Foto Ansa/Daniel Dal Zennaro

L’edizione 2024 del Salone del Mobile di Milano (fino al 21 aprile) giunge al culmine. E punta i riflettori su prodotti che sono un chiaro esempio di responsabilità ambientale e rigenerazione creativa. La fiera è anche una fucina di ambasciatori della manifattura artigianale che da sempre è imprescindibile nel settore. Non soltanto per quanto riguarda il Made in Italy, e che si fonde con una indispensabile innovazione tecnologica.

Parlare di sostenibilità, oggi, è scontato e allo stesso tempo indispensabile, e per ampliare il tema è quindi necessaria una visione che abbracci non solo tematiche ambientali, ma anche aspetti sociali, di equità e dignità del lavoro. Molti designer hanno da tempo abbracciato anche questi concetti e – fortunatamente – le nuove generazioni li apprendono sui banchi di scuola insieme ai principi fondamentali della professione.

Salone del Mobile 2024

Questo trend sta cominciando a essere sempre più diffuso, ed è molto evidente percorrendo gli enormi corridoi del Salone del Mobile di Milano, dove i designer osano sempre di più. Si cerca di presentare i propri prodotti non solo come semplici elementi di arredo, ma come ‘ambasciatori’ di esperienze, sensazioni e valori che, però – è necessario ammetterlo – sono spessissimo ambientali ma raramente sociali.

D’altronde l’obiettivo del 62° Salone del Mobile di Milano è produrre valore durevole per chi espone, creare esperienze di qualità e generare ‘cortocircuiti’ culturali per tutti (in sinergia anche ovviamente con la rassegna del Fuorisalone). Creare una esposizione che sia prima di tutto esperienziale è quindi indispensabile per raggiungere questo scopo, e per farlo sono stati necessari fino a 20 giorni di allestimento per ciascuno degli stand presenti in Fiera.

Duemila espositori da 180 paesi

Quello che è chiaro a tutti visitando l’esposizione è che questa fiera è una delle più importanti al mondo sia per dimensione che per persone e brand coinvolti, ed i numeri parlano chiaro. Al Salone del Mobile ci sono 1.950 espositori da 35 paesi su una superficie di 174.457 metri quadrati che attendono buyer ed addetti ai lavori provenienti da 180 paesi. Sommati a tutti gli altri visitatori comporranno il numero impressionante di 300mila visitatori attesi per questa edizione.

Numeri importanti per rappresentare un’industria di rilievo primario nell’economia mondiale dal valore di 552,7 miliardi di euro, con una aspettativa di crescita del 5% annuo, a cui l’Italia partecipa con un totale di 17 miliardi di euro (di cui circa 11 miliardi provenienti dall’export). Se il core business del Salone è ovviamente il mobile, parte dell’esposizione si alterna a ritmo biennale su tematiche più verticali.

Il Mobile fra EuroCucina e Bagno

Gli spazi che l’anno scorso erano infatti dedicati ad Euroluce quest’anno sono dedicati ad EuroCucina, con 105 espositori, di cui il 30% esteri, su 23.807 metri quadrati, dove va in scena l’ambiente che più di tutti è coinvolto nella transizione digitale e dove l’innovazione tecnologica diventa protagonista nella vita di tutti i giorni.

All’interno delle smart kitchen, ambienti interconnessi dove gli elettrodomestici lavorano in sinergia per semplificare la vita degli utenti e ridurre i consumi. Se in questo caso gli espositori sono più specializzati, gli allestimenti imponenti ed avveniristici rappresentano un’industria che solo nel segmento degli elettrodomestici vale quasi 320 miliardi di euro, di cui quasi 9 rappresentati dai produttori italiani. La 10ª edizione del Salone Internazionale del Bagno infine ospita 185 espositori, di cui 27% esteri, su oltre 17.000 metri quadrati, e racconta di nuovi materiali e linguaggi estetici e progettuali, natura, sostenibilità e tanta voglia di benessere.

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Case Green, via libera dalla Ue ma l’Italia vota contro

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Case green Europa
Il ministro Giorgetti. Foto Ansa/Riccardo Antimiani

Un anno dopo il primo voto del Parlamento europeo, la direttiva sulle case green è ufficialmente approvata. Il lungo percorso del provvedimento Epbd (Energy performance of buildings directive) si è concluso il 12 aprile all’Ecofin con il no dell’Italia che ha espresso voto contrario insieme all’Ungheria. In tutto sono stati 20 i voti a favore. Ne bastavano 15 su 27 per il via libera definitivo. Ed è davvero l’ultimo passaggio per la norma quadro che definirà le regole per la riqualificazione energetica degli immobili di tutta Europa da qui al 2050.

Il penultimo passaggio c’è stato il 10 aprile con il via libera dagli Stati membri. Gli ambasciatori dei singoli paesi presso l’Unione europea avevano confermato alla riunione del Coreper (il Comitato permanente dei rappresentanti dei paesi membri) l’accordo raggiunto con il Parlamento europeo a dicembre. Intesa che l’Eurocamera ha votato nel corso dell’Assemblea plenaria dello scorso marzo e che riguarda le nuove norme per rendere case ed edifici dell’Unione a emissioni zero entro il 2050.

Case green, cosa accadrà

Nessuna obiezione è stata sollevata, e dunque la direttiva è finita sul tavolo del Consiglio Ue Ecofin – cioè il vertice dei ministri dell’Economia e finanze – per la conferma definitiva. Sempre senza discussione. Ora non resta che attendere l’approdo sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea. L’assetto che a dicembre gli Stati membri hanno raggiunto nel corso dei negoziati tra le istituzioni comunitarie ha insomma retto fino alla fine.

E ciò nonostante le consistenti opposizioni di paesi fondatori come l’Italia, scottata dall’esperienza del superbonus edilizio al 110% che ha aperto una voragine da 200 miliardi nei conti dello Stato. Cambia così completamente la rotta del passaggio più rilevante della direttiva: l’articolo 9. Se fino a qualche settimana fa l’ipotesi era stata di indicare dei requisiti stringenti per i singoli edifici (con la classe energetica D obbligatoria dal 2033), non lasciando spazio alle singole nazioni, questo passaggio ora è diverso. Nel nome di una maggiore flessibilità.

Cosa dovranno fare gli Stati membri

I paesi membri dovranno definire dei piani per la riduzione dei consumi del loro patrimonio edilizio residenziale. Il 2020 è considerato l’anno zero e il 2050 l’anno nel quale, a completamento del percorso, bisognerà avere un patrimonio edilizio a zero emissioni. In mezzo, gli Stati dovranno assicurare un miglioramento progressivo della situazione delle case, ragionando però sulle medie di consumo. Non più sulla classe di efficienza dei singoli edifici.

Gli obiettivi intermedi di riduzione dei consumi per le case di tutta Europa saranno del 16% al 2030 e del 20-22% al 2035. Saranno i paesi membri a fissare, con i loro piani, le modalità per raggiungere questi obiettivi. La direttiva sulle case green pone, soprattutto, un vincolo. Ovvero che la maggior parte delle ristrutturazioni dovranno riguardare il 43% meno performante del patrimonio edilizio. In questo modo, gli obiettivi non si potranno raggiungere solo grazie agli immobili nuovi: in Italia sarà data priorità ai lavori su cinque milioni di edifici.

Via le caldaie a metano

L’altro grande tema riguarda l’abbandono dei combustibili fossili, a partire dalle caldaie a gas metano, nelle abitazioni. La data entro la quale arrivare al bando completo è stata spostata in avanti, al 2040. Il termine precedente era il 2035. Non solo. Se gli incentivi fiscali per questi apparecchi non ci saranno più a partire dal 2025, la Ue ha stabilito che sarà possibile dare incentivi ai sistemi di riscaldamento ibridi, come quelli che combinano caldaie e pompe di calore.

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Tirocini curricolari INPS 2024, come funzionano

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Tirocini INPS
Gruppo di studenti universitari - DirittoLavoro

Rinnovata la convezione per i tirocini curricolari INPS indirizzata a studenti universitari presso le sedi dello stesso Istituto Nazione di Previdenza sociale.

I tirocini curricolari INPS, di cui s’informa la rinnovata convezione con il messaggio n. 1374 del 5 aprile, hanno lo scopo di agevolare l’ingresso di nuove generazioni nel mondo del lavoro. I tirocini, infatti, sono atti ad integrare il percorso di studi universitari tramite l’acquisizione, in questo caso specifico, nella pratica di conoscenze previdenziale e nel settore economico e produttivo.

Le novità dei tirocini curricolari INPS 2024

I tirocini curricolari INPS si svolgono presso le sedi dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale. Non si tratta di rapporti di lavoro, ma di periodi di formazione e orientamento. La convenzione tra INPS e Università contiene dettagli e modalità per accedere ai tirocini e possono essere attivati solo su richiesta delle Università. Nonostante non si tratti della prima volta in cui viene stipulata tale convezione, nel 2024 si sono rese necessarie alcune modifiche per introdurre nuove regole in materia di sicurezza sul lavoro e privacy. Questo ha comportato un nuovo schema, che è andato a sostituire il precedente varato nel 2016.

I tirocini curricolari INPS possono essere effettuati presso sedi centrali o territoriali dell’Istituto previdenziale. Per attivare il tirocinio è necessaria la presentazione di un’apposita domanda su iniziativa della singola Università interessata. Successivamente, nella convenzione saranno indicati alla struttura individuata gli studenti interessati a partecipare al percorso formativo e di orientamento in oggetto. A poter prendere parte ai tirocini INPS sono studenti e studentesse che non hanno completato il ciclo di studi universitario. Gli studenti accolti dalle sedi dell’INPS saranno di numero compatibile alla disponibilità dei vari uffici.

Come attivare il percorso formativo

Per attivare il tirocinio curricolare, INPS, tirocinante e Università devono sottoscrivere un accordo attuativo individuale, rispettando lo schema allegato alla nuova convenzione. L’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale spiega, inoltre, che l’accordo regola le modalità di attuazione della collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti nel programma di formazione. Specificati, in maniera dettagliata, anche gli obblighi assicurativi e gli obblighi in campo di salute e sicurezza sul lavoro. Nell’ambito dell’accordo, inoltre, sarà individuato un tutor dell’INPS che sarà tenuto a concordare il progetto formativo con il tirocinante e con il tutor dell’Ateneo interessato.

Terminato il periodo di tirocinio, il tutor dell’Istituto Nazione di Previdenza Sociale si impegnerà a redigere la scheda di valutazione dello studente che ha compiuto l’attività presso la sede INPS. Dopo la valutazione, sarà l’Istituto ad emettere l’attestato di compiuto tirocinio curricolare INPS. Altresì, nel messaggio n. 1374 del 5 aprile l’Istituto previdenziale tiene a precisare che i rapporti instaurati con gli studenti tirocinanti non costituiscono rapporto di lavoro subordinato, né di altro tipo e non saranno retribuiti. Per i partecipanti non sono previsti né compensi, né alcun tipo di indennità. Questo, poiché per i tirocini curricolari, a differenza di quelli extracurricolari, non sono previsti gli obblighi di retribuzione o, comunque, di rimborso spese. A differenza della copertura assicurativa che, come anticipato, è invece prevista soprattutto per tutelare le nuove normative relative alla sicurezza sul lavoro.

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Donazioni genitori-figli, la Cassazione elimina le tasse (ad alcune condizioni)

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cassazione tasse donazioni informali
Foto Ansa/Tino Romano

Non ci saranno più le tasse sulle donazioni tra genitori e figli, ma solo ad alcune precise condizioni. È questa la decisione che ha preso la sezione tributaria della Corte di Cassazione nella sentenza n. 7442 depositata nella giornata del 20 marzo. Secondo i giudici la donazione la si deve sottoporre a tassazione solo se risulta da atti soggetti alla registrazione. Ci sono alcune limitazioni, ma in linea di massima la Cassazione ha riconosciuto che non c’è un obbligo di tassazione per tutte le donazioni indirette o informali tra genitori e figli.

Addio alla tassazione dunque? Sì ma soltanto per ciò che riguarda le donazioni informali tra genitori e figli. La Suprema Corte si è espressa in merito alle tasse sulle donazioni informali tra genitori e figli. Nella sentenza numero 7442 si evince che la donazione indiretta non è sempre rilevante ai fini dell’imposta. In altre parole: non è obbligatorio registrare la donazione informale e di conseguenza pagarci le tasse. La sentenza della Cassazione supera così una circolare dell’agosto 2015 dell’Agenzia delle entrate.

Donazioni informali, le regole

I magistrati definiscono quel documento “impreciso” e “incompleto“. E per questo “non condivisibile” nella parte in cui si spiega il sistema di imposta sulle donazioni. Dalla circolare n. 30 dell’11 agosto 2015 si evince che l’imposta di donazione si applica alle “liberalità tra vivi che si caratterizzano per l’assenza di un atto scritto (soggetto a registrazione)“. Per “donazioni informali” si intendono le consegne a mano di liquidità o di un assegno circolare. Ma anche il trasferimento tramite bonifico bancario di denaro. Queste, insieme alla donazione indiretta (negozio giuridico che corrisponde alla donazione diretta) sono da considerarsi senza imposta perché non c’è obbligo di registrazione.

La tassa sulle donazioni indirette, anche nel caso di genitori e figli, scatta solo in alcuni casi: solo se l’atto di liberalità (negozio col quale si effettua un’attribuzione patrimoniale gratuita) risulta sottoposto a registrazione o sono state registrate volontariamente. Altri limiti che non permettono di annullare le tasse sulle donazioni informali sono il valore (se superiore a un milione di euro) o se il contribuente lo dichiara nella procedura di accertamento dei tributi.

Che succede se non si dichiara

Tuttavia non sono pochi i dubbi che rimangono. Per esempio cosa succede se non si dichiara una donazione informale. O, ancora, se è obbligatorio l’atto di registrazione. La Cassazione ha risposto anche a questi punti. Secondo i giudici, che si sono espressi sulla base dell’articolo 55, comma 1, Dlgs 346/1990 (il Tus, testo unico dell’imposta di successione e donazione), non c’è obbligo e di conseguenza niente tasse.

Questo perché i due principi sono: la facoltà del contribuente di effettuare la registrazione (volontaria) e il potere dell’amministrazione di accertare le libertà indirette quando superiore a un milione di euro o se risulta in fase di dichiarazione. Se vengono meno questi ultimi passaggi, si può dare per scontato che non c’è un obbligo di registrazione. E di conseguenza di tassazione sulle donazioni tra genitori e figli. Ne consegue: niente tasse sulle donazioni informali.

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La Bce prepara il taglio dei tassi d’interesse

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Bce banca Europa
La presidente della Banca centrale europea. Foto Ansa/Epa Ronald Wittek

La Banca centrale europea, la Bce, si prepara a tagliare i tassi di interesse sul costo del denaro. Quasi certamente non lo farà prima di giugno, tuttavia si tratta di una notizia che concede una boccata di ossigeno all’economia dell’Unione europea.  

Siamo adesso ai massimi storici, da tempo, per quanto riguarda i tassi. La Bce ha quindi deciso che occorre andare verso il primo taglio. Salvo sorprese, arriverà nella prossima riunione della Banca prevista il 6 giugno. Alcuni governatori erano pronti a cambiare rotta già da subito, ma poi hanno accettato di seguire la larghissima maggioranza che vuole attendere i dati di giugno per assicurarsi che l’inflazione non faccia scherzi e proceda sicura verso l’obiettivo del 2%.

Bce, il perché di una scelta

Più che il pressing delle solite colombe, la vera novità è che ora anche i falchi della Bce sono pronti ad appoggiare la retromarcia sui tassi, più rapidamente dei colleghi americani della Fed scottati dall’inatteso rialzo dei prezzi a marzo. La quinta pausa dopo il ciclo di dieci rialzi consecutivi cominciato a luglio 2022 lascia il tasso sui rifinanziamenti principali fermo al 4,50%, quello sui depositi al 4%, e quello sui prestiti marginali al 4,75%.

Ma dopo mesi di attesa, i toni della comunicazione cambiano e per la prima volta il Consiglio direttivo della Bce mette nero su bianco che a breve “sarebbe opportuno ridurre l’attuale livello di restrizione della politica monetaria“. Le condizioni per invertire il cammino sono tre. La prossima valutazione dovrà dare più certezze sulle prospettive dell’inflazione, sulla dinamica di quella di fondo e sull’intensità della trasmissione della politica monetaria. Se il processo di ‘disinflazione‘ resterà evidente come è adesso, per i governatori ci saranno tutte le condizioni per dare il via libera al primo taglio.

Secondo gli analisti il primo taglio dei tassi sarà da 25 punti base, una misura contenuta che per alcuni lascerebbe le mani libere al fine di realizzare altri tre ribassi simili entro l’anno. “Non ci impegniamo preventivamente su un percorso particolare dei tassi“, ha detto la presidente della Bce Christine Lagarde al termine della riunione, precisando che il board continuerà ad essere dipendente dai dati in arrivo, e non dalla Fed, come molti sostengono.

L’inflazione negli Stati Uniti

Il rialzo dell’inflazione Usa, che a marzo ha toccato il +3,5%, non ha influenzato le scelte di Francoforte, ha spiegato la presidente della Bce, Christine Lagarde. Anche perché Usa e Ue hanno due economie profondamente diverse, e la loro inflazione non è comparabile. Ma è ovvio che “tutto ciò che ha rilevanza lo includeremo nelle nuove stime di giugno e gli Usa hanno un mercato e un’economia ragguardevoli“, ha argomentato.

Sull’economia dell’Eurozona, Lagarde ha ricordato che “è rimasta debole nel primo trimestre” con il settore terziario solido e la manifattura alle prese con domanda e produzione deboli. Tuttavia i dati puntano “a una ripresa graduale” grazie al rialzo dei salari reali e alle esportazioni.

La visione di Lagarde

Gli aumenti salariali sono inevitabili e, ha sottolineato la presidente, devono essere assorbiti dagli utili aziendali proprio per non far ripartire la spirale dei prezzi. Inoltre la Bce si aspetta che i governi ritirino completamente gli aiuti varati in questi due anni di inflazione alle stelle, e perseguano politiche di bilancio prudenti, riducendo deficit e debito. Ma le procedure per deficit eccessivo in arrivo con l’estate da Bruxelles non metteranno a rischio l’eventuale utilizzo del Tpi, lo scudo anti-spread messo a punto dalla Bce.

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Benzina a 2,5 euro al litro e oltre anche in città

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Benzina prezzi alle stelle
Foto X @Agenzia_Ansa

Sono casi rari ma in alcune località italiane, soprattutto al Nord, ad esempio a Varese, un litro di benzina alla pompa costa al consumatore 2,8 euro al litro. In molti altri luoghi, non solo in autostrada, si arriva a quota 2,5 euro al servito in vari distributori. Anche in città, con le accise che pesano per quasi la metà dell’importo pagato. In pratica un euro su 2 che paghiamo per fare rifornimento sono tasse.

È così che in vista dei ponti di primavera, quando milioni di italiani si metteranno in viaggio per trascorrere qualche giorno fuori casa, i consumatori tornano a far sentire la propria voce contro il caro-benzina. Non è un mistero che i prezzi dei carburanti siano saliti sensibilmente nell’ultimo periodo, attestandosi, in base alle ultime rilevazioni di Qe, a 1,915 euro/litro la benzina e 1,812 euro/litro il gasolio al self, 2,053 euro/litro la verde e 1,953 euro/litro il gasolio al servito. È il Codacons a lanciare l’allarme sugli effetti del caro-benzina sui ponti di primavera, rilevando prezzi sopra i 2,5 euro al litro al servito sia in autostrada sia sulle rete urbana.

Una vera e propria mappa nazionale del caro-benzina quella realizzata dall’associazione, secondo cui “alla data di venerdì 12 aprile il prezzo più alto è stato praticato sulla A21 Piacenza-Brescia, dove un litro di verde in modalità servito era pari a 2,549 euro. Sempre sulla A21, ma in provincia di Alessandria, le benzina ha raggiunto nella stessa data 2,499 euro al litro. Sulla rete urbana, invece, i prezzi più alti sono praticati nella provincia di Benevento, dove due distributori hanno superato quota 2,5 euro al litro, con listini rispettivamente di 2,572 e 2,550 euro/litro, e in provincia di Modena, 2,509 euro al litro.

Prezzi e distributori

Da segnalare lo strano caso di un distributore in Via Lungolago Di Capolago a Varese, che il 12 aprile ha comunicato al ministero delle Imprese e del made in Italy un prezzo pari a 2,854 euro al litro per la benzina. Il Mimit, però, osserva che come ci sono “alcune decine di distributori che praticano un prezzo più alto nel servito“, allo stesso tempo ce nel sono “diverse migliaia che, ad oggi, praticano un prezzo più basso della media nazionale“.

Prezzo medio che, puntualizza il Mimit, è oggi pari a 1,805 euro per il gasolio e a 1,910 euro per la benzina. Il Mimit replica che “per correttezza dovrebbe anche specificare che vi sono centinaia di impianti che vendono oggi la verde in modalità servito a prezzi compresi tra 2,2 e 2,3 euro al litro” polemizza il Codacons. “Il Governo – chiosa il presidente Carlo Rienzifarebbe bene e a non cercare scuse e a tagliare da subito le accise dei carburanti“.

Le tasse su benzina e carburanti

Proprio in tema di tassazione sui carburanti, il Centro di formazione e ricerca sui consumi (Crc) rileva come oggi in Italia per ogni litro di benzina acquistato dagli automobilisti oltre 1 euro se ne va in tasse, pari al 56,4% del prezzo pagato alla pompa. “Analizzando il peso della tassazione, si scopre che in Italia Iva e accise pesano per il 56,4% sulla benzina e per il 52,4% sul gasolio, con una incidenza più elevata rispetto al resto d’Europa, dove il peso della pressione fiscale si ferma al 52,47% sulla verde e al 47,22% sul diesel” analizza il Crc.

Questo significa che su ogni litro di benzina le tasse incidono per 0,945 euro nella media Ue, e per 1,071 euro in Italia; sul gasolio per 0,801 euro al litro in Ue, 0,941 euro al litro in Italia. Nel nostro Paese, quindi, su ogni litro di carburante si pagano di tasse tra i 12 e i 14 centesimi di euro in più rispetto al resto d’Europa. Ai prezzi attuali lo Stato guadagna quasi 3,2 miliardi di euro al mese a titolo di tassazione sui carburanti: 990,6 milioni sulla benzina e quasi 2,2 miliardi di euro sul gasolio“.

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Gli sportelli chiudono, in Italia è desertificazione bancaria

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Banche sportelli digitalizzazione
Foto Ansa/Alessandro Di Meo

La desertificazione bancaria accelera in Italia e sempre più sportelli al pubblico chiudono i battenti. Il dato emerge dall’ultimo aggiornamento dell’Osservatorio della Fondazione Fiba di First Cisl, che ha elaborato i dati resi disponibili al 31 dicembre 2023 da Bankitalia e Istat. Secondo i numeri, nel nostro Paese sono 3.300 i comuni rimasti senza filiali. Alla radice di questo fenomeno non c’è però, come si potrebbe pensare, la galoppante digitalizzazione dell’era moderna. Molto più semplicemente: il brutale taglio dei costi aziendali.

Nel 2023, si legge nel report, in Italia hanno chiuso 826 sportelli. A fine 2022 erano stati 677. Il calo rispetto all’anno precedente, quindi, è del 3,9%. Nella sostanza le banche hanno abbandonato un quarto del territorio nazionale, per una superficie maggiore di quella di Lombardia, Veneto e Piemonte.

Sono oltre 6 milioni, invece, gli italiani residenti in comuni nei quali è rimasto un solo sportello e che rischiano di trovarsi a breve tagliati fuori dai servizi bancari. Sono circa 3.300, come detto, i paesi che non hanno più sportelli bancari sul proprio territorio. Si tratta del 41,5% dei comuni italiani. Nel corso del 2023 sono stati 134 i comuni “desertificati”. Questa desertificazione, spiega il report della Fondazione Fiba, è avanzata negli ultimi anni con sempre maggiore rapidità. Fra il 2015 e il 2023, il 13% dei comuni italiani ha visto chiudere l’ultima filiale. E la percentuale potrebbe salire ancora: i comuni con un solo sportello, infatti, sono il 24% del totale.

Internet banking? Poco diffuso

Dall’altra parte, in Italia si registra una “modesta diffusione” dell’internet banking. Lo utilizza il 51,5% degli utenti, contro una media Ue del 63,9%. Aumenta, spiega First Cisl, anche il numero delle imprese che hanno sede in comuni privi di sportello bancario: sono 255mila, 22mila in più rispetto al 2022.

Confrontando i numeri del 2023 e quelli del 2022, poi, emerge che le chiusure non colpiscono in modo omogeneo le diverse aree del Paese. Nel 2023 le regioni più colpite sono state Marche (- 6,7%), Abruzzo (- 5,1%), Lombardia (- 5,1%), Sicilia (- 5%) e Calabria (- 4,2%). A livello nazionale, nel complesso, la perdita di sportelli è stata del 3,9%.

Sportelli, ecco dove ‘resistono’

Tra le province meno desertificate, secondo l’Osservatorio della Fondazione Fiba, ci sono quelle di Barletta-Andria-Trani, Brindisi, Grosseto, Ragusa, Ravenna, Reggio Emilia e Pisa. Le grandi città si collocano in posizioni più arretrate: Milano è 24ª, Roma 40ª Napoli 50ª. Sugli ultimi gradini della classifica troviamo Vibo Valentia e Isernia. La corsa alla chiusura degli sportelli non si è fermata nemmeno nel 2023, anzi promette di registrare nel 2024 un’ulteriore accelerazione in base all’attuazione dei piani d’impresa delle banche.

L’aumento del numero dei comuni senza più sportelli ha raggiunto ormai dimensioni “da allarme sociale” ha sottolineato il segretario generale First Cisl, Riccardo Colombani.
Nonostante tutti i proclami sulla sostenibilità sociale – ha detto ancora Colombani – le banche italiane stanno privando dell’accesso a un servizio essenziale milioni di persone. A pagare il prezzo più pesante sono i fragili, anziani in primo luogo, così come le persone con un basso livello di istruzione, che hanno scarse competenze digitali. Il basso livello di utilizzo dell’internet banking rispetto alla media Ue ci dice una cosa semplice. Ossia che le chiusure dipendono dalla volontà di tagliare i costi, non dalla diffusione del digitale”.

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