Ogni anno, numerosi contribuenti si trovano ad affrontare la decisione di presentare un ricorso. Ma spesso non va bene. Ecco perché
Ricorsi contro cartelle esattoriali, accertamenti fiscali o ingiunzioni di pagamento emesse dalle autorità fiscali. In teoria, il diritto di contestare tali atti è un’opportunità importante per difendersi contro errori o presunti abusi da parte delle Amministrazioni Finanziarie. Tuttavia, i numeri diffusi dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) offrono una realtà ben diversa, che mette in discussione l’efficacia di questa tutela.
In Italia, ogni contribuente ha il diritto di contestare un atto fiscale ritenuto ingiusto, che si tratti di una cartella esattoriale, un accertamento fiscale o un’altra ingiunzione di pagamento. La legge prevede che il ricorso possa essere presentato sia in via amministrativa, attraverso l’autotutela, sia in sede giudiziaria, tramite il Giudice di Pace o la Commissione Tributaria.
Questo diritto si fonda sul principio che, in uno Stato di diritto, il cittadino debba avere la possibilità di difendersi anche contro lo Stato. Tuttavia, la domanda che molti si pongono è: quanto conviene davvero fare ricorso? In altre parole, quale probabilità ha un contribuente di vincere contro l’Agenzia delle Entrate o contro l’ente di riscossione?
I numeri non sono dalla parte del contribuente: ecco perché
Secondo gli ultimi dati del MEF, la situazione non è certo favorevole per i ricorrenti. Nel 2024, infatti, è emerso che il 75% delle volte il contribuente perde il contenzioso tributario. Un dato che non lascia spazio a molte interpretazioni. In particolare, nei casi in cui il ricorso riguarda una cartella esattoriale contestata, la percentuale di sconfitta sale addirittura al 79%. Questo significa che, nella stragrande maggioranza dei casi, la decisione dell’Amministrazione Finanziaria viene confermata dai tribunali.

Le cause si concludono con la sconfitta del ricorrente non solo con l’obbligo di pagare quanto inizialmente richiesto, ma spesso con l’aggiunta di costi extra, come interessi e spese legali. In molti casi, i contribuenti non solo si vedono respingere le proprie contestazioni, ma si ritrovano a dover pagare somme più elevate rispetto a quelle inizialmente contestate.
Il motivo di questa alta percentuale di insuccessi per i contribuenti è legato, secondo il Ministero, alla crescente efficienza e precisione delle Amministrazioni Finanziarie. Grazie all’utilizzo di banche dati sempre più sofisticate e controlli incrociati, gli errori nelle cartelle esattoriali o negli accertamenti fiscali sono ormai rari. Molto spesso, le contestazioni dei contribuenti derivano da scarse informazioni, disattenzioni o semplici dimenticanze.
Le statistiche, infatti, si basano sulle sentenze emesse dalla Corte di Giustizia Tributaria, sia di primo che di secondo grado, e su quelle della Corte di Cassazione. I dati degli ultimi anni mostrano una continua crescita delle vittorie a favore dell’Amministrazione, con un aumento della percentuale di successi per l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione: nel 2023, la percentuale di sconfitta per il contribuente era inferiore al 75%, ma il trend ha continuato a salire nel 2024.
Il miglioramento della “macchina fiscale” si riflette anche nell’efficacia dei controlli, che si sono evoluti e sono ora in grado di rilevare con grande precisione ogni incongruenza. Le tecnologie avanzate, la digitalizzazione dei dati fiscali e la possibilità di interscambio rapido di informazioni tra diversi enti pubblici hanno reso il sistema molto più robusto, riducendo al minimo gli errori. Questo ha inevitabilmente ridotto anche le possibilità di successo per i contribuenti che decidono di avviare un contenzioso.





