Pensioni in Italia: il vero elemento chiave resta il numero di anni di contributi versati. Ecco tutto quello che si deve sapere
Le possibilità di uscita dal mondo del lavoro sono numerose, ma ciascuna segue regole precise che variano in base al percorso lavorativo, all’età, alla categoria del lavoratore e al sistema contributivo di appartenenza.
L’età minima per il pensionamento, in casi estremi, può arrivare fino a 71 anni. Questa opzione è riservata a chi ha solo 5 anni di contributi, e riguarda esclusivamente i cosiddetti “contributivi puri”, ovvero chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 e non possiede anzianità contributiva precedente. Una misura pensata per chi ha avuto carriere molto brevi o discontinue.
Pensioni e anni di contributi
C’è però un’alternativa anticipata: in presenza di gravi problemi di salute, si può ottenere l’assegno ordinario di invalidità o la pensione di inabilità, indipendentemente dall’età, purché almeno 3 anni di contributi siano stati versati nei 5 anni precedenti alla domanda. Le altre soglie contributive: 15, 20, 25 anni e oltre:

15 anni – Grazie alle Deroghe Amato, è possibile accedere alla pensione con soli 15 anni di contributi, ma a condizioni ben precise:
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i contributi devono essere maturati entro il 31 dicembre 1992;
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oppure bisogna essere stati autorizzati al versamento volontario prima del 26 dicembre 1992;
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oppure aver lavorato in modo discontinuo per almeno 10 anni, con 25 anni di anzianità assicurativa.
20 anni – È la soglia standard per la pensione di vecchiaia, che richiede anche il compimento dei 67 anni di età.
25 anni – Per i contributivi puri, se l’importo della pensione attesa è pari ad almeno 2,8 volte l’Assegno sociale (ridotto per le donne con figli), è possibile andare in pensione già a 64 anni.
Possibilità di pensionamento anticipato, le opzioni con 30, 35, 41 e oltre:
30 anni – Consente l’accesso all’Ape Sociale, ovvero un anticipo pensionistico a 63 anni e 5 mesi, ma solo per:
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disoccupati di lungo periodo;
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invalidi (almeno al 74%);
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caregiver;
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lavoratori addetti a mansioni gravose (per questi, i requisiti salgono a 36 anni di contributi, o 32 per gli edili).
35 anni – Con questa soglia si può accedere a Opzione Donna, riservata alle lavoratrici con almeno:
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61 anni di età (60 con 1 figlio, 59 con 2 figli);
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appartenenti a categorie tutelate (caregiver, invalidità ≥ 74%, lavoratrici licenziate o in crisi aziendale).
Confermata anche per il 2025.
41 anni – Rientra nella cosiddetta Quota 103 (62 anni di età + 41 anni di contributi). È anche il requisito previsto dalla Quota 41 per lavoratori precoci (chi ha iniziato a lavorare prima dei 19 anni), riservata però solo a categorie fragili come caregiver, invalidi e disoccupati.
42 anni e 10 mesi (41 e 10 mesi per le donne) – È il requisito richiesto dalla pensione anticipata ordinaria, valida per tutti i lavoratori indipendentemente dall’età.
Per chi ha pochi contributi o addirittura nessuno, resta disponibile un’importante misura assistenziale: l’Assegno sociale. Non si tratta tecnicamente di una pensione, ma garantisce un aiuto economico a partire dai 67 anni di età, destinato a chi vive in condizioni di difficoltà economica.
Nel 2025, l’assegno sarà di 538,68 euro al mese per 13 mensilità, e spetta per intero solo a chi non ha alcun reddito. Il limite di reddito per poterne beneficiare è fissato a 7.002,84 euro annui. Non sono richiesti contributi versati: anche chi non ha mai lavorato può ottenerlo, se in possesso dei requisiti economici.
A prescindere dalla formula pensionistica scelta, un principio resta valido per tutti: più anni di contributi versati significano una pensione più alta. Nel sistema retributivo (pre-1996), ogni anno di lavoro vale circa il 2% della retribuzione pensionabile. Nel sistema contributivo (post-1996), l’importo si basa invece sul montante contributivo, ovvero sulla somma dei contributi effettivamente versati, pari al 33% della retribuzione per i dipendenti.





