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Se l’Italia s’impegnasse duramente per aumentare le politiche attive sul lavoro, incrementando l’istruzione terziaria e riducendo il divario di genere – con più donne, cioè, presenti nei vari settori – il Pil pro capite potrebbe aumentare del 3,5% entro il 2050. A metterlo nero su bianco, è un report dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che coinvolge 38 paesi di tutto il mondo.

Nel rapporto, reso noto il 27 gennaio, l’Ocse sottolinea il peso dei Neet. Si tratta di un acronimo inglese che sta per Not [engaged] in Education, Employment or Training. E si riferisce a coloro che non studiano né lavorano. In Italia le persone, a cominciare da molti giovani, che non studiano né lavorano sono il 23% del totale. Un valore che è inferiore soltanto a quello di Colombia e Turchia.

I dati dell’Ocse sull’Italia

La causa dei bassi livelli della partecipazione femminile al mercato del lavoro nel nostro Paese è relativa – segnala l’Ocse – non solo a un problema che concerne le donne e la presenza di stereotipi nel percorso educativo. Fattori che ancora oggi, nel 2024, spingono le ragazze molto spesso fuori dai percorsi di avviamento al lavoro con garanzia di retribuzioni più alte. Ma è anche relativa a un nodo fiscale.

Da un lato, infatti, osserva l’Ocse, “il calcolo delle imposte in base al reddito individuale anziché quello congiunto del nucleo familiare e l’Assegno Unico Universale incentivano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro“. Tuttavia “il sistema fiscale e previdenziale rimangono, in linea di massima, favorevoli alle famiglie monoreddito. Ciò rispecchia in larga misura le prestazioni sociali subordinate al reddito del nucleo familiare e il credito di imposta del coniuge a carico. Che dovrebbero essere gradualmente eliminate“.

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“Molti laureati emigrano”

Secondo l’Ocse, ancora, l’aumento del numero di iscrizioni all’istruzione terziaria potrebbe far crescere il Pil pro capite dell’1,5%. “La quota di laureati nella popolazione di età compresa tra i 25 e i 34 anni – scrive l’Organizzazione – è la seconda più bassa dell’Ocse dopo il Messico. E molti neolaureati emigrano. Tra il 2011 e il 2021 l’emigrazione netta cumulata di neolaureati è stata di circa 110mila persone“.

L’Ocse segnala inoltre come il nostro sistema universitario penalizzi i ricercatori più brillanti spingendoli all’emigrazione. Ciò a causa di retribuzioni basse e di mancanza di incentivi legati alla performance. “Occorrerà garantire – si legge ancora nel rapporto – condizioni di lavoro più attraenti e un legame sostanzialmente più forte tra performance e retribuzione. La retribuzione media dei ricercatori italiani è bassa rispetto ai dati rilevati per Francia, Germania e Regno Unito, soprattutto al livello di ingresso. Ciò scoraggia i ricercatori di talento dall’intraprendere carriere accademiche, privando le università italiane dei migliori talenti della ricerca“.

La sfida delle politiche attive

Ma è sulle politiche attive che dovrebbe concentrarsi la sfida dei prossimi Governi con un miglioramento che potrebbe valere l’1% del Pil. L’introduzione dell’assegno di formazione (Supporto per la Formazione e il Lavoro ) che sostituirà il Reddito di Cittadinanza per le persone occupabili potrebbe comportare – sostiene l’Ocse – risparmi di bilancio pari a circa l’1 % del Pil sul breve termine.

Ma “rischia di conseguire tali risultati a scapito dell’aumento della povertà dei percettori, in particolare di coloro che non possono accedere a una formazione adeguata o che hanno raggiunto la durata massima della prestazione“. Secondo l’Ocse “occorre rafforzare gli incentivi finanziari correlati all’assunzione di un impiego” e “assicurare un deciso potenziamento del sistema di formazione. La creazione di una nuova piattaforma digitale (Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa, Siisl) rappresenta un passo positivo“.

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