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La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 19927 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto in un caso di assenza volontaria dal servizio: “Per la computabilità nel periodo di comporto del periodo di assenza del lavoratore successivo alla scadenza del periodo di aspettativa per malattia previsto dal contratto collettivo è necessario accertare, anche in via presuntiva, che il mancato rientro in servizio del lavoratore siano dovuti a una condizione di malattia, non essendo invece rilevanti le assenze imputabili a una sua scelta volontaria” (Dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 30 luglio 2018).

Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 19927/2018.

Con sentenza del 20-24 gennaio 2017 n. 338 la Corte d’Appello di Roma – giudice del reclamo ex art. 1, commi 58 e seguenti, L.n. 92/2012 – confermava la sentenza del Tribunale di Velletri, che aveva respinto la domanda proposta da … per l’impugnazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimatogli dalla società … s.p.a.

Per quanto rileva in causa, la Corte territoriale osservava che il licenziamento del lavoratore era fondato sul fatto che alla scadenza della aspettativa non retribuita, concessagli a norma del contratto collettivo, questi non era rientrato in servizio per i successivi 12 giorni; la assenza, successiva alla scadenza del comporto, ne determinava il superamento, in quanto ingiustificata e volontaria. La mancata accettazione della proposta di trasferimento della società imponeva, infatti, al … di riprendere servizio presso l’originaria sede di lavoro mentre egli era restato volontariamente assente.

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Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il lavoratore il quale sosteneva che la Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto che il periodo di 12 giorni successivo alla cessazione dell’aspettativa non retribuita doveva essere computato nel periodo di comporto. Invece tale assenza non era dovuta a malattia – mai comunicata al datore di lavoro né giustificata dalle certificazioni mediche – ma al suo rifiuto di accettare la proposta di trasferimento ad altra sede di lavoro, come accertato dalla sentenza impugnata. Pertanto il periodo di comporto comprendeva i soli giorni di assenza per malattia e non i giorni di assenza volontaria dal servizio per cause diverse.

Il ricorso del lavoratore veniva quindi accolto, come sopra, dalla Corte Suprema, sul presupposto che l’ assenza volontaria e ingiustificata del lavoratore (per la mancata accettazione della proposta di trasferimento) configura una fattispecie diversa dalla malattia ed in particolare una ipotesi di illecito disciplinare che opera su un piano ben diverso dal comporto. In sostanza la sentenza di appello ha confuso il periodo di comporto – che presuppone una assenza dal lavoro “giustificata” dalla malattia ed individua il momento in cui la tutela del lavoratore recede rispetto agli interessi oggettivi del datore di lavoro, con le ipotesi di assenza volontaria “ingiustificata” del lavoratore, che, per ciò solo, sono incompatibili con la malattia (e non rilevano ai fini del comporto). In tal guisa ha altresì operato un mutamento del titolo del licenziamento, che è stato intimato dal datore di lavoro per un motivo oggettivo (è tale il recesso per superamento del periodo di comporto) e non per ragioni disciplinari.

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