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La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 15523 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: “no al recesso del datore per scarso rendimento se le assenze per malattia a macchia di leopardo non hanno complessivamente superato il comporto” (Dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore).

Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 15523/2018.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 18.2.2016, respingeva il reclamo avverso la sentenza del locale Tribunale che, in riforma dell’ordinanza opposta, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a …. Il 28.10.2014, condannando la società … s.p.a. alla reintegra del predetto ed a corrispondergli, ex art. 18, 7° e 4° comma dello Statuto dei lavoratori, un’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto di euro 1543,96 lordi alla data del licenziamento all’effettiva reintegrazione, oltre accessori di legge e relativa contribuzione.

Rilevava la Corte che il contratto collettivo applicabile prevedeva espressamente l’ipotesi del comporto per sommatoria anche in ipotesi di frazionamento delle assenze ove contenute entro il limite temporale previsto e che, collegando la regola contrattuale a quella legale dell’art. 2110 c.c., norma speciale, anche alla luce del disposto della l. 92/2012, il cui articolo 1, comma 42, teneva distinta la fattispecie del giustificato motivo oggettivo da quella del comporto (riveniente la sua ratio nella tutela della salute di rango costituzionale ex art. 32 Cost.), era pacifico il diritto alla permanenza nel posto di lavoro che escludeva la legittimità del recesso ove intimato, come nella specie, nell’ambito del comporto (richiamate Cass. 14310/205 e 16582/2015).

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Sotto altro profilo, il giudice del gravame osservava come non era stata provata la disorganizzazione che sarebbe derivata dalle assenze dello …, alla luce della consolidata interpretazione e qualificazione giurisprudenziale del giustificato motivo oggettivo come extrema ratio quale conseguenza dello scarso rendimento, nell’ottica seguita dal reclamante. Al riguardo veniva evidenziato come la società avesse più di 1900 dipendenti addetti alla vigilanza e che nulla era stato allegato sull’impostazione della sua organizzazione per far fronte alle assenze del personale e come avesse inciso in concreto su di essa la reiterazione delle assenze per malattia del lavoratore, le quali, per definizione, non potevano che essere comunicate al datore di lavoro quando la malattia si fosse verificata.

Si precisava, poi, che al licenziamento intimato in violazione del comporto per malattia doveva conseguire la tutela reale, nei termini in cui era stata riconosciuta dal Tribunale.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società datrice di lavoro che veniva rigettato dalla Corte Suprema.

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