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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 8141 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: ove il dipendente (pubblico ndr) venga chiamato a svolgere le mansioni proprie di una posizione organizzativa, previamente istituita dall’ente, e ne assuma tutte le connesse responsabilità, la mancanza o l’illegittimità del provvedimento formale di attribuzione non esclude il diritto a percepire l’intero trattamento economico corrispondente alle mansioni di fatto espletate, ivi compreso quello di carattere accessorio, che è comunque diretto a commisurare l’entità della retribuzione alla qualità della prestazione resa”.

E, per saperne di più sulla vicenda, riportiamo l’articolo pubblicato oggi (4.4.2018) dal Sole 24 Ore (Firma: M. Prioschi; titolo: “La funzione dà diritto all’indennità”).

Se un dipendente del settore pubblico occupa una posizione organizzativa, ha diritto a ricevere la relativa indennità aggiuntiva. Questo anche nel caso in cui manchi o sia illegittimo il provvedimento con cui il lavoratore viene destinato alla posizione, perché il venir meno dell’atto formale non esclude il diritto a percepire l’intero trattamento economico, inclusa la parte accessoria, corrispondente alle mansioni svolte.
Questi i due principi di diritto espressi dalla Corte di cassazione nella sentenza 8141/2018, relativa a un contenzioso che ha visto opposti l’Inps e un suo dipendente. Quest’ultimo ha ricoperto, di fatto, una posizione organizzativa per due anni e ha chiesto il riconoscimento della relativa retribuzione e indennità. La Corte d’appello ha stabilito la fondatezza della richiesta di ricevere la differenza retributiva tra il suo profilo di inquadramento e quella prevista per la posizione organizzativa, ma non anche la relativa indennità perché il diritto a quest’ultima presuppone il conferimento dell’incarico, non essendo sufficiente aver svolto l’attività di fatto.
La Cassazione è di diverso avviso. Richiamando pronunce precedenti, ricorda che per il diritto all’indennità innanzitutto è necessario che la posizione organizzativa sia istituita all’interno dell’organizzazione, situazione che nel caso specifico si è verificata.
A fronte di ciò, se il dipendente svolge le mansioni di una posizione organizzativa, «la mancanza o l’illegittimità del provvedimento formale di attribuzione non esclude il diritto a percepire l’intero trattamento economico corrispondente alle mansioni di fatto espletate, ivi compreso quello di carattere accessorio, che è comunque diretto a commisurare l’entità della retribuzione alla qualità della prestazione resa». In questo i giudici di Cassazione vedono un ’analogia con la situazione di chi svolge mansioni dirigenziali a cui spetta la relativa retribuzione pur in assenza di atti formali, a fronte dell’impegno richiesto, della rilevanza e alla natura dell’incarico.
Anche nel settore pubblico si applica l’articolo 36 della Costituzione, per cui il dipendente ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato. Ciò vale anche nell’ipotesi di mansioni superiori, tranne i casi in cui ciò avvenga a insaputa o contro la volontà del datore di lavoro, per collusione fraudolenta tra dipendente e dirigente, o per violazione di principi basilari pubblicistici dell’ordinamento.
Quanto alla connessione tra posizione organizzativa e relativa indennità, la Cassazione rileva che la posizione non va confusa con il profilo professionale. La prima non modifica il secondo, ma è una funzione a tempo, e al riguardo lo stesso contratto collettivo degli enti pubblici non economici prevede che possano essere richiesti compiti di elevata responsabilità «che comportano l’attribuzione di una specifica indennità di posizione organizzativa».
Quindi la Corte d’appello, rilevano i giudici, ha errato nel riconoscere al lavoratore di aver svolto le mansioni della posizione organizzativa ma al contempo negando il diritto alla relativa indennità.

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