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Cessione ramo aziendale, solo con beni e lavoratori:

La Corte Suprema di Cassazione, con la Sentenza n. 1316 del 2017, ha stabilito che in caso di cessione del ramo aziendale i beni materiali e i lavoratori devono “preesistere inscindibilmente come struttura unica e materiale”.

E di cessione del ramo aziendale di cui alla sentenza 1316/2017 ci parla anche l’articolo pubblicato oggi (27.3.2017) dal Sole 24 Ore (nella pagina a cura di Stefano Rossi; Titolo: “Il ramo aziendale si cede solo con lavoratori e beni”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

Nella cessione di ramo d’azienda i lavoratori e i beni materiali devono preesistere inscindibilmente come struttura unica e materiale. Il principio è stato di recente ribadito dalla Cassazione con la sentenza n. 1316 del 19 gennaio 2017.

Nei fatti una società di telecomunicazioni aveva ceduto l’attività di call center ad un’altra azienda, sottoscrivendo contestualmente un contratto di fornitura del servizio di assistenza clienti per la propria clientela corporate non top e consumer. Il ricorso dei lavoratori contro la cessione è stato respinto sia in primo grado sia in appello. Così gli ex dipendenti si sono rivolti alla Cassazione chiedendo l’illegittimità della cessione del ramo aziendale perché il contratto non prevedeva il trasferimento anche dei servizi complementari ma necessari all’autonomia del ramo, come l’assistenza per i “clienti Top”.

Inoltre, nella cessione non erano ricompresi i sistemi applicativi e informatici (i database e i programmi) indispensabili per la corretta gestione del servizio.

La Cassazione ha accolto il ricorso e ha affermato che non si può parlare di trasferimento di ramo d’azienda ai sensi dell’articolo 2112 del Codice civile se unitamente ai lavoratori non si trasferiscono anche i beni materiali essenziali per lo svolgimento.

Il principio di autonomia

In sostanza, l’autonomia funzionale del ramo di azienda ceduto deve essere obiettivamente apprezzabile già prima dello scorporo dal complesso cedente, tale da provvedere allo scopo produttivo con i propri mezzi, indipendentemente dalla volontà delle parti contraenti.

Del resto, si legge nella sentenza, l’autonomia e l’autosufficienza del ramo, secondo quanto affermato dalla direttiva europea 2011/23, è necessaria per escludere che il cedente crei delle strutture fittizie. Infatti, la Corte condanna anche le cessioni di rami di azienda in strutture produttive create ad hoc.

I precedenti

La lettura data dalla Cassazione in quest’ultima sentenza è del resto in linea con quanto affermato nella sentenza 21917 del 25 settembre 2013: in questo caso un gruppo di 15 lavoratori era stato trasferito da una società di capitali ad un’altra attraverso un contratto di cessione di ramo d’azienda ritenuto, secondo l’interpretazione dei magistrati, fittizio poiché configurante un insieme di funzioni eterogenee.

Funzioni – ha precisato l’estensore – per le quali erano utilizzati beni aziendali limitati ed eterogenei, privi di specificità rispetto ad un fine produttivo, in cui erano impiegati un gruppo di addetti senza alcuna connotazione professionale comune caratterizzante (Cassazione 23357/2013).

Di conseguenza, l’operazione posta in essere dalle due società risultava illegittima in quanto finalizzata alla riduzione dell’organico dell’azienda cedente.

L’effettiva preesistenza della compagine societaria è stata anche al centro della sentenza 21710/2012 in cui la Cassazione ha dichiarato l’illegittimità del trasferimento del dipendente, mascherato da cessione di ramo di azienda, in una struttura produttiva creata in occasione del passaggio del lavoratore. Del resto, si legge nella pronuncia, il datore di lavoro non era stato in grado di provare l’autonomia funzionale del reparto logistico oggetto di trasferimento, poiché in realtà non vi era stata alcuna alienazione di beni materiali o immateriali.

Nel caso di cessione di un ramo “leggero” o “dematerializzato” la giurisprudenza ritiene possibile la cessione solo quando il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare know how e cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio (Cassazione, sentenza 17366/2016).

I criteri guida

In definitiva, se le aziende non vogliono incorrere in contenziosi giudiziari per ipotesi di illegittima cessione del ramo aziendale dovranno seguire alcune indicazioni generali:

è necessario che sussista il requisito dell’autonomia funzionale del ramo sia prima che dopo il trasferimento;

non bisogna “sopravvalutare” gli effetti della sottoscrizione di un contratto di appalto per l’integrazione del servizio, che secondo i giudici non è sufficiente a sopperire alla mancanza di autonomia funzionale;

anche nel caso di cessione dei soli lavoratori e, quindi, in assenza di trasferimento di beni materiali, i lavoratori coinvolti devono risultare un gruppo coeso di professionalità, dotati di specifico know how, tale da individuarsi come una struttura unitaria funzionalmente idonea e non come una mera sommatoria i dipendenti.

 

LA PAROLA CHIAVE

Ramo d’azienda

Per ramo di azienda, oggetto del trasferimento, si deve intendere un’entità economica con propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati per un’attività economica. Deve, quindi, trattarsi di un’entità economica organizzata in modo stabile e non destinata all’esecuzione di una sola opera (Corte di giustizia, sentenza C-51/00). In sostanza, l’articolo 2112 del codice civile, modificato dall’articolo 32 del Dlgs 276/03 presuppone un’entità economica con propria identità funzionalmente autonoma che resti conservata con il trasferimento (direttive CE n. 98/50 e n. 23/2001).

LE PRONUNCE DEI GIUDICI

01 AUTONOMIA

Il caso riguarda un’ operazione di cessione di ramo d’azienda per lo svolgimento di alcuni servizi di supporto ai fornitori, supporto tecnico, reclami, vendite, variazioni, subentri e attivazioni di contratti telefonici presso alcune sedi dislocate sul territorio italiano. Insieme ai contratti sono stati ceduti anche i dipendenti e i beni mobili quali i computer e i sistemi operativi, ma sono rimasti esclusi dall’operazione i programmi e i sistemi informatici. Contestualmente, invece, le parti hanno stipulato un contratto per la fornitura, dal cessionario al cedente, dei servizi ceduti. La Cassazione, accogliendo il ricorso dei dipendenti, afferma che l’elemento costitutivo della cessione è l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo, di provvedere a uno scopo produttivo con i propri mezzi, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi stipulato tra le parti

Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 26 agosto 2016, n. 17366

02 CCNL

Alcuni lavoratori, in seguito ad una operazione di incorporazione, hanno chiesto alla società subentrante l’istituzione di un fondo di previdenza, già previsto dalla contrattazione collettiva applicata dal precedente datore di lavoro. La Cassazione, accogliendo la domanda dei dipendenti, ha affermato che l’incorporazione di una società in un’altra è assimilabile al trasferimento d’azienda di cui all’articolo 2112 del codice civile, con la conseguente applicazione del principio secondo il quale ai lavoratori che passano alle dipendenze dell’impresa incorporante si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l’azienda cedente solamente nel caso in cui l’impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo; mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell’impresa cedente è sostituita in tutto da quella applicata nell’impresa cessionaria anche se più sfavorevole

Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 13 maggio 2011, n. 10614

03 CONTRATTI ETEROGENEI

Una lavoratrice operante nel settore del disegno industriale, progettazione e realizzazione di prototipi di autovetture è stata trasferita ad altra società che da anni aveva l’appalto del servizio di pulizia dei locali della cedente. La Cassazione ha accolto il ricorso della lavoratrice sostenendo che il trasferimento ad un altro datore di lavoro di una serie di contratti di lavoro eterogenei, dall’addetto alla guardiania, alla receptionist fino all’impiegata del design industriale, rappresenta cessione di ramo d’azienda solamente se prima del negozio tra cedente e cessionario questi contratti configuravano una vera e propria struttura aziendale con autonomia funzionale e produttiva. In mancanza di tali elementi, il trasferimento è una cessione del contratto ai sensi dell’articolo 1406 del Codice civile, che necessita del consenso del contraente ceduto

Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 4 dicembre 2012, n. 21711

04 ESTERNALIZZAZIONE

Alcuni lavoratori del settore logistico di una azienda di trasporto sono stati trasferiti. L’operazione prevedeva il solo trasferimento dei contratti di trasporto e consegna e non della proprietà dei magazzini o degli automezzi o, comunque, delle restanti attività attribuite alla struttura. La suprema Corte, accogliendo il ricorso dei lavoratori, afferma che non è riconducibile alla nozione di cessione d’azienda il contratto con il quale viene realizzata la cosìddetta esternalizzazione dei servizi, ove questi non integrino un ramo o parte di azienda autonoma dal punto di vista funzionale e produttivo

Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 10 settembre 2013, n. 20728

05 INFORTUNIO

Un dipendente ha subito un infortunio seguito da parziale cessione del ramo di azienda. Il lavoratore ha ottenuto dalla Corte di appello il risarcimento del danno sia dal cedente sia dal cessionario in responsabilità solidale fra loro. L’azienda cessionaria ha fatto ricorso in Cassazione. Quest’ultima, rigettando il ricorso, ha ribadito la responsabilità solidale del titolare della società cessionaria (in quanto datore di lavoro subentrante) per risarcimento civile per danni cagionati da un infortunio sul lavoro avvenuto prima della cessione e sotto la responsabilità del datore di lavoro cedente l’azienda. In sostanza, la fusione di società mediante incorporazione o l’acquisizione di ramo d’azienda «realizza una situazione giuridica corrispondente a quella della successione universale» e produce gli effetti, tra loro indipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo a questa, della società incorporante o acquirente il ramo, la quale assume la medesima posizione processuale della società estinta, con tutte le limitazioni e i divieti ad essa inerenti

Corte di cassazione, sentenza 5 aprile 2012, n. 5473

06 LICENZIAMENTO

Un operaio ha ottenuto una sentenza dichiarativa di nullità del licenziamento con il suo primo datore di lavoro. In seguito la società cedente ha trasferito un ramo aziendale ad altro datore di lavoro. La Cassazione, sposando il ragionamento del lavoratore ceduto, chiarisce che l’effetto estintivo del licenziamento illegittimo – pur intimato in epoca anteriore al trasferimento – in quanto destinato ad essere travolto dalla sentenza dichiarativa della nullità del recesso, comporta che il rapporto di lavoro si trasferisca ex articolo 2112 del Codice civile in capo al cessionario. Infatti, il subingresso del cessionario nei rapporti di lavoro dei dipendenti dell’azienda ceduta non si verifica soltanto se tale rapporto sia stato legittimamente risolto in tempo anteriore al trasferimento medesimo; in caso contrario, il rapporto prosegue ope legis con l’acquirente e il lavoratore conserva nei suoi confronti tutti i diritti che aveva verso il cedente.

Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 28 febbraio 2012, n. 3041

07 IL TFR

Il caso riguarda il pagamento del trattamento di fine rapporto maturato sia con il cedente sia, in seguito alla cessione, con il cessionario. La Cassazione ha sostenuto che in caso di cessione di ramo di azienda ex articolo 2112 del Codice civile, il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del suo dipendente per la quota di Tfr maturata durante il periodo di rapporto con lui svolto. Viceversa, il datore di lavoro cessionario è obbligato per questa stessa quota soltanto in ragione e nei limiti del vincolo di solidarietà previsto dall’articolo 2112, comma 2. Infine, conclude la sentenza, quest’ultimo, quale datore di lavoro cessionario, è l’unico obbligato al trattamento di fine rapporto quanto alla quota maturata nel periodo del rapporto intercorso successivamente al trasferimento di azienda

Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 22 settembre 2011, n. 19291

Trasferiti i diritti su Tfr e stipendi

Nelle operazioni di trasferimento di una parte di azienda è necessario porre attenzione non solo all’autonomia del ramo ceduto, ma anche alle tutele che la legge accorda ai lavoratori ceduti. Diversamente si potrebbe incorrere in lunghi contenziosi giudiziari, con una estesa responsabilità patrimoniale anche per le retribuzioni e per il Tfr maturati fino alla cessione.

La norma di riferimento è l’articolo 2112 del Codice civile in cui si afferma che il rapporto di lavoro continua, senza soluzione di continuità, con il cessionario alle medesime condizioni contrattuali, a prescindere dallo strumento giuridico utilizzato per attuare l’operazione circolatoria dell’azienda.

I diritti che i lavoratori conservano con la cessione devono essere maturati alla data del trasferimento, quindi, nella prassi si suole individuare, al fine di evitare manovre elusive a danno del cessionario, le retribuzioni maturate da tre a sei mesi precedenti l’operazione.

Tuttavia, nei trasferimenti di aziende con più di 15 dipendenti sarà necessaria la consultazione sindacale, all’esito della quale si può sottoscrivere un accordo d’ingresso, in cui prevedere i diritti da far transitare in capo al cessionario e la contrattazione collettiva da applicare.

Un’ipotesi transattiva si può raggiungere anche nelle sedi di cui agli articoli 410 e 411 del Codice di procedura civile in cui il lavoratore può liberare il cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto.

In mancanza, il cedente e il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Se invece i crediti si riferiscono a un rapporto cessato prima della data del trasferimento, ne risponde solo il cessionario.

Sul trattamento di fine rapporto, invece, la giurisprudenza (Cassazione, sentenza n. 20837 del 2013) oramai consolidata, ha affermato che il cedente rimane obbligato in solido solo per la parte maturata sino alla data del trasferimento, mentre per la restante somma calcolata sino alla data di cessazione del rapporto sarà tenuto al pagamento il cessionario.

Il ragionamento dei giudici riposa sulla natura retributiva del trattamento di fine rapporto, diversamente dai contributi previdenziali. Infatti, i debiti contratti dal cedente nei confronti dell’ente previdenziale per l’omesso versamento dei contributi obbligatori, purché esistenti all’atto del trasferimento, costituiscono debiti inerenti l’esercizio dell’impresa dell’azienda e pertanto rimangono soggetti alla disciplina dell’articolo 2560 del Codice civile.

In questo particolare caso, non opera l’automatica estensione di responsabilità solidale del cessionario. Sul punto si è del resto pronunciata la suprema Corte nella sentenza 3646 del 24 febbraio 2016 affermando che : «La solidarietà è limitata ai soli crediti di lavoro dipendente e non è estesa ai crediti di terzi, quali devono intendersi gli enti previdenziali, infatti il lavoratore non ha diritti di credito verso il datore di lavoro per omesso versamento dei contributi obbligatori, essendo estraneo al rapporto contributivo, che intercorre fra l’ente previdenziale e il datore di lavoro».

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