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Licenziamento tardivo è illegittimo e ritorsivo secondo il Tribunale: 

Il Tribunale di Milano, con l’ordinanza-1-luglio-2016, ha dichiarato illegittimo e ritorsivo il licenziamento tardivo irrogato al dipendente per fatti risalenti ad un anno prima.

E di licenziamento tardivo ci parla anche l’articolo pubblicato oggi 12.9.2016 dal Sole 24 Ore (Firma: Daniele Colombo; Titolo: “Bocciato il licenziamento tardivo”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

È illegittimo il licenziamento fondato su una contestazione disciplinare fatta al dipendente più di un anno prima. Anzi: la reazione tardiva del datore di lavoro può essere una spia di un suo comportamento ritorsivo. Lo afferma l’ordinanza del 1° luglio scorso con cui il Tribunale di Milano (giudice Colosimo) ha riconosciuto la natura ritorsiva di un licenziamento e lo ha, quindi, dichiarato nullo.

La vicenda

Il caso prende le mosse dal ricorso presentato da un lavoratore licenziato da un’impresa con meno di 15 dipendenti. La società ha fondato il licenziamento su una contestazione disciplinare notificata più di un anno prima, con la quale al dipendente erano stati imputati alcuni «gravi comportamenti»: l’aver trattenuto indebitamente somme della società, danneggiato il furgone aziendale e maltrattato verbalmente alcuni clienti.

L’ex dipendente ha però sostenuto che il licenziamento sia stato intimato come ritorsione alle sue ripetute richieste (l’ultima pochi giorni prima del licenziamento) di adeguamento retributivo, dato che lo stipendio – a detta del lavoratore – non era sufficiente per le sue mansioni e il suo orario di lavoro. L’ex dipendente ha quindi chiesto di applicare la tutela prevista per i licenziamenti discriminatori dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/70), come modificato dalla legge Fornero (92/2012), vale a dire la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno con un’indennità non inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto.

La decisione

Il tribunale accoglie il ricorso del lavoratore. Secondo il giudice il fatto che il datore abbia atteso più di un anno prima di irrogare la sanzione disciplinare, senza motivare con valide ragioni il rinvio, è in «netto contrasto con i principi di immediatezza e tempestività» previsti dall’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori e «rappresenta un’evidente violazione dei più elementari principi di correttezza e buona fede».

In particolare, si legge nell’ordinanza, il principio di immediatezza è legato all’esigenza «di assicurare la genuinità dell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro ed evitare, così, che la pendenza di una determinata questione possa essere utilizzata in modo distorto con finalità ritorsive». Per la Cassazione (sentenza 11100 del 15 maggio 2006) l’immediatezza della comunicazione «si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro».

Si tratta di principi che – scrive il giudice – vanno letti anche alla luce delle novità introdotte dalla legge Fornero, che aggancia la reintegrazione del lavoratore, tra l’altro, all’«insussistenza del fatto contestato» dal datore. Secondo il giudice, è insussistente anche il fatto «genericamente o tardivamente contestato, così come quello rispetto al quale il datore di lavoro abbia differito senza ragionevole previsione l’adozione del provvedimento disciplinare».

Sotto un profilo di ordine generale, infatti, «è difficile ammettere l’esistenza di un illecito disciplinare che il datore di lavoro per primo non risulta in grado di delineare nei suoi elementi costitutivi o nella sua collocazione temporale».

La «ritorsione»

Il tribunale ritiene che l’ex dipendente abbia anche provato la natura ritorsiva del licenziamento. Come ha chiarito la Cassazione, per dichiarare nullo il provvedimento occorre dimostrare che la ritorsione e la rappresaglia sono stati gli unici motivi a determinare la decisione di interrompere il rapporto di lavoro (si veda, tra le altre, la sentenza 6282 del 18 marzo 2011 della Cassazione). L’onere della prova dell’intento ritorsivo spetta esclusivamente al lavoratore. La rappresaglia deve avere avuto «un’efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione della giusta causa o del giustificato motivo» (sentenza 14816 del 14 luglio 2005 della Cassazione). E la prova può essere fornita anche in via presuntiva (sentenza 3986 del 27 febbraio 2015 della Cassazione).

L’essere stato licenziato sulla base di fatti contestati oltre un anno prima e pochi giorni dopo aver lamentato (per l’ennesima volta) la non correttezza della retribuzione e dell’orario di lavoro svolto rispetto al corrispettivo percepito sono indizi sufficienti, secondo il giudice, a provare la natura ritorsiva del licenziamento.

LA PAROLA CHIAVE 

Licenziamento ritorsivo

I contenuti del licenziamento per ritorsione sono stati delineati dalla giurisprudenza. Si tratta di un licenziamento deciso dal datore di lavoro solo per motivi di ritorsione o rappresaglia come reazione nei confronti di una richiesta legittima del lavoratore. Il licenziamento è nullo e la situazione è assimilabile a quella del licenziamento discriminatorio, che, anche dopo le modifiche introdotte dalla legge Fornero (92/2012) all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/70), è assistito dalla massima tutela: reintegrazione del lavoratore anche nelle imprese con meno di 15 dipendenti e risarcimento del danno.

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