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Lavoro agile e telelavoro analogie e differenze:

In tema di lavoro agile il pensiero corre al telelavoro con il quale presenta talune analogie ma dal quale tuttavia si differenzia.

A parlarcene è l’articolo pubblicato oggi (22.2.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Aldo Bottini; Titolo: “Tramonta la postazione fissa prevista dal telelavoro”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

Lo smart working (o lavoro agile) ha un antenato, il telelavoro, dal quale sta cercando di differenziarsi.

Non è solo una questione terminologica. Di telelavoro si è iniziato a parlare molto tempo fa, quando le attuali tecnologie informatiche, basate sulla diponibilità diffusa di connessioni veloci e di strumenti di facile portabilità, erano ancora poco sviluppate. Infatti il telelavoro era prevalentemente inteso come lavoro che si svolge in un luogo fisico diverso dalla sede dell’azienda, a questa collegato informaticamente. Nella stragrande maggioranza dei casi si trattava dell’abitazione del lavoratore, nella quale era allestita, a cura del datore di lavoro, una vera e propria postazione lavorativa, dotata di telefono, computer e connessione di rete. Talvolta invece venivano predisposte unità satelliti in luoghi diversi dalla sede aziendale, nelle quali venivano raggruppati più lavoratori (è il caso di molti call center). In entrambi i casi c’era comunque un luogo fisico (diverso dai locali dell’impresa) dove il lavoratore svolgeva la prestazione, e si supponeva fosse presente (e reperibile) durante il suo orario di lavoro. Questa idea tradizionale di telelavoro ha permeato la normativa che ha tentato di disciplinare questa modalità di svolgimento del lavoro. Tanto l’Accordo-quadro europeo sul telelavoro del 16 luglio 2002, quanto l’Accordo interconfederale italiano del 9 giugno 2004 che lo recepisce, pur limitandosi a definire il telelavoro come l’attività regolarmente svolta fuori dai locali aziendali, prendono fondamentalmente in considerazione il lavoro a distanza prestato in un luogo fisico determinato. Si preoccupano infatti di stabilire che, per verificare la corretta applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza, «il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e/o le autorità competenti hanno accesso al luogo in cui viene svolto il telelavoro», con facoltà del telelavoratore di «chiedere ispezioni». Si stabilisce poi che il datore di lavoro debba garantire «l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento dei telelavoratore». E così via. Tutte disposizioni che hanno alimentato una nozione (o quantomeno una percezione) piuttosto rigida (e talvolta onerosa) di telelavoro, che certamente non ne ha favorito la diffusione, nonostante i numerosi tentativi di incentivazione che si sono susseguiti negli anni.

L’evoluzione tecnologica e la consapevolezza dei possibili benefici anche sociali di un diverso modo di lavorare hanno determinato la nascita del nuovo concetto di smart working. Si tratta di una modalità di lavoro flessibile, completamente sganciata da un luogo fisico: la prestazione può essere svolta in azienda come all’esterno, ma senza una postazione fissa. Non esiste più, in altre parole, un “luogo” di lavoro, il che trascina con sé importanti conseguenze in termini di orario (sostanzialmente auto-determinato), controlli (che diventano tecnologici e di risultato) e strumenti (si parla sempre di più di Byod, bring your own device). È emersa quindi in tempi recenti l’esigenza di un nuovo quadro normativo di riferimento, posto che quello esistente (peraltro di natura pressoché solo contrattual-collettiva) mal si adatta alle nuove tendenze.

Rigidità a parte, basti pensare anche solo ai dubbi che una prestazione “delocalizzata” solleva in materia di copertura assicurativa degli infortuni sul lavoro. Il Ddl governativo collegato alla legge di Stabilità 2016 si propone di venire incontro a queste esigenze, stabilendo una definizione di lavoro agile flessibile e al passo con i tempi. Il lavoro agile non sarà una tipologia contrattuale, ma una modalità di esecuzione della prestazione, regolata da un accordo scritto tra lavoratore e datore di lavoro, a termine o a tempo indeterminato, dal quale si potrà recedere, per tornare alla modalità “tradizionale”, con un preavviso di 30 giorni. Il lavoratore (che avrà diritto alla parità di trattamento con i colleghi “interni”) potrà decidere autonomamente e di volta in volta dove lavorare.

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