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Durata massima contratto lavoro marittimo

Con sentenza della Corte di Giustizia UE del 3 luglio 2014 è stata confermata l’aderenza del diritto italiano al diritto dell’Unione Europea laddove viene prevista la fissazione della durata massima di un anno per i contratti a tempo determinato, stipulati in successione, che coinvolgono i lavoratori marittimi, e la previsione della sanzione della loro conversione in contratti a tempo indeterminato in caso di violazione della normativa che regola questi tipi di contratti.

I Giudici hanno inoltre evidenziato che spetta ai giudici nazionali effettuare un esame caso per caso al fine di verificare che non vi sia un abuso di tale tipi di contratti da parte dei datori di lavoro. E al riguardo la Corte, nel comunicato stampa del 3 luglio 2014, ha evidenziato quanto segue:

In Italia, i contratti di lavoro dei marittimi sono disciplinati dal codice della navigazione (Regio decreto del 30 marzo 1942, n. 327). Questo codice stabilisce come pari a un anno la durata massima dei contratti a tempo determinato e impone di menzionare la data di inizio e di scadenza del contratto. Qualsiasi contratto concluso per una durata superiore a un anno è trasformato in contratto a tempo indeterminato. Nell’ipotesi in cui diversi contratti siano conclusi per un tempo determinato o per viaggi precisi, il lavoro è considerato come ininterrotto quando tra i due contratti decorre un termine massimo di 60 giorni. Questi rapporti di lavoro non sono soggetti pertanto alla normativa (D. Lgs. n. 368/2001, recante attuazione della direttiva 1999/70/CE) che è stata adottata specificamente per recepire l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso tra le organizzazioni sindacali generali Direttiva 1999_70_CE del Consiglio del 20 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, GU L 175, pag. 43). Questo accordo quadro determina i principi generali e le prescrizioni minime relative al lavoro a tempo determinato e fissa un quadro generale destinato a garantire la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato“. (Fonte: Corte di Giustizia UE)

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