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 Secondo l’art. 3, lett. d) del D.L.vo n. 368/2001, non  si possono assumere lavoratori con contratto a termine qualora le imprese “non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni” (cioè art. 28 del D.Lgs. n. 81/2008, T.U. Sicurezza).

Secondo l’orientamento consolidato della Suprema Corte, “La clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, è nulla per contrarietà a norma imperativa e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato.“.

In particolare prevede il comma 1 dell’art. 28 del D.Lgs. n. 81/2008 che: “la valutazione di cui all’art. 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonchè nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonchè quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro (e i rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili, come definiti dall’articolo 89, comma 1, lettera a) del presente decreto, interessati da attività di scavo)“.

Da ciò discende che non è sufficiente una valutazione dei rischi generica, ma occorre che vengano valutati in particolare anche altri elementi quali:

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  1. la minore percezione dei rischi;

  2. la minore familiarità del lavoratore a termine con l’ambiente e gli strumenti di lavoro;

  3. il maggiore isolamento del lavoratore a termine rispetto ai colleghi più formati, informati e professionalizzati

  4. l’impiego in mansioni che di solito sono meno qualificanti e più faticose;

  5. la formazione spesso insufficiente del lavoratore a termine.

Quindi, secondo quanto previsto nella motivazione della sentenza della Suprema Corte sopra riportata, laddove la valutazione dei rischi non venga effettuata, si avranno le seguenti conseguenze:

  • conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato;

  • erogazione in favore del lavoratore di un importo da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, per il periodo che va dalla scadenza del contratto nullo fino al giorno della sentenza;

  • tale indennità avrà natura sanzionatoria per il datore di lavoro e quindi non potrà essere ridotta in alcun modo (in tal caso non si può neppure invocare l’aliunde perceptum nel caso in cui il lavoratore nelle more del giudizio abbia trovato un’altra occupazione).

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