Questo articolo esplora l’evoluzione dei diritti umani e lavorativi in Italia nel XIX secolo, analizzando il contesto giuridico pre-unitario, le proteste operaie, le riforme mancanti, il confronto con altri paesi e lo sviluppo di una nuova coscienza dei diritti.
Il contesto giuridico pre-unitario
Nel corso del XIX secolo, l’Italia era ancora suddivisa in una serie di stati separati, ognuno con le proprie leggi e regolamenti.
Questo periodo era caratterizzato da un mosaico di ordinamenti giuridici che riflettevano differenze politiche, culturali ed economiche.
Negli stati pre-unitari, i diritti umani e lavorativi erano spesso non codificati o scarsamente regolamentati.
Solo alcuni stati, come il Regno delle Due Sicilie e il Regno di Sardegna, avevano iniziato a introdurre embrionali forme di tutela lavorativa, ma essi erano generalmente orientati a proteggere gli interessi dell’élite piuttosto che quelli dei lavoratori.
Il sistema feudale, ancora presente in molte aree, impediva una vera e propria emancipazione dei lavoratori, la cui condizione rimaneva spesso legata al servaggio e a forme di lavoro coatto. La struttura sociale dell’epoca prevedeva una divisione netta tra le classi, con la borghesia emergente che iniziava a guadagnare potere, seppur fortemente influenzata dall’aristocrazia.
In un contesto simile, le lotte per i diritti dei lavoratori erano generalmente ignorate o represse, mancando una solida base giuridica per formulare richieste e accedere a veri strumenti di mediazione.
Si trattava di una fase storica in cui l’idea stessa di diritti umani era in evoluzione, con la ribalta graduale dei concetti di libertà individuale e dignità umana, spesso contaminate da influenze esterne, come la Rivoluzione Francese e i moti europei del 1848. Nonostante la situazione critica, questo contesto fu strumentale nel creare un terreno fertile per la diffusione delle idee di equità e giustizia sociale, che avrebbero poi trovato terreno più favorevole nel periodo successivo all’unità d’Italia.
Le proteste operaie e le riforme mancanti
A cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, l’industrializzazione cominciò a cambiare il panorama lavorativo, portando alla nascita delle prime fabbriche, principalmente nel Nord Italia.
Questo fenomeno, pur generando nuove opportunità economiche, portò anche a condizioni di lavoro estremamente dure.
Gli operai erano costretti a lavorare per lunghe ore in ambienti pericolosi e insalubri, senza alcuna garanzia di sicurezza o diritti.
Questo crescente malcontento tra la classe lavoratrice culminò in una serie di proteste e scioperi.
Le proteste iniziarono ad acquisire più forza, irrompendo saltuariamente con atti di rivolta come quelli avvenuti a Milano nel 1848, che portarono alla temporanea istituzione della Repubblica di San Marco e in altre zone d’Italia. Tuttavia, nonostante gli sforzi dei lavoratori di ottenere migliori condizioni, le riforme promosse furono minime e inadeguate.
Molti stati pre-unitari, temendo destabilizzazioni politiche, ribaltarono ogni tentativo di riforma che minacciasse l’ordine sociale.
Di conseguenza, le condizioni per i lavoratori rimanevano difficili, e non esisteva un sistema coerente di diritti lavorativi riconosciuti a livello nazionale.
Le poche leggi introdotte frequentemente mancavano di meccanismi di enforcement efficaci, lasciando gran parte dei lavoratori senza protezione reale.
Questa mancanza di riforme contribuì ad un clima di tensione crescente, ma al contempo accelerò il dibattito pubblico sui diritti umani e lavorativi, preparando il terreno alle conquiste future che sarebbero avvenute nell’epoca post-unitaria.

Confronto con altri paesi europei
Se confrontiamo la situazione italiana del XIX secolo con quella di altri paesi europei, emergono differenze significative in termini di riconoscimento e tutela dei diritti umani e lavorativi.
In Inghilterra, ad esempio, le condizioni di lavoro nelle fabbriche furono motivo di grande dibattito e portarono all’emanazione dei Factory Acts, leggi che limitarono l’orario di lavoro per donne e bambini e migliorarono le norme di sicurezza.
Allo stesso modo, in Francia, le teorie socialiste iniziarono a influenzare le politiche pubbliche, portando a tentativi di migliorare la vita dei lavoratori attraverso l’introduzione di diritti fondamentali. In contrasto, l’Italia dei vari stati pre-unitari si trovava in uno stato di arretratezza.
Mentre altri paesi cominciavano a riconoscere l’importanza di regolamenti che tutelassero i lavoratori, in Italia persisteva un forte conservatorismo, che frenava ogni impulso di riforma.
Le differenze con il resto d’Europa non erano però solo legislative; anche il livello di coscienza sociale era diverso.
Nei paesi più avanzati economicamente, le idee di giustizia sociale erano già più mature, sostenute da movimenti intellettuali e classi borghesi più inclini al cambiamento. Questa mancanza di progressi in Italia contribuì a isolare il paese, rendendolo meno competitivo rispetto alle potenze industriali europee.
Tuttavia, le influenze provenienti dall’estero giocarono un ruolo cruciale nel risvegliare una coscienza nazionale sui diritti dei lavoratori, ispirando figure chiave che sarebbero poi emerse con l’unità d’Italia e nell’epoca della industrializzazione post-unitaria.
Dalla discriminazione alle prime forme di tutela
Le disuguaglianze base nei sistemi occupazionali del XIX secolo in Italia erano fortemente influenzate da discriminazioni di genere, età e status sociale.
Le donne e i bambini, in particolare, erano soggetti a sfruttamento e ricevevano salari inferiori per lavori equivalenti a quelli degli uomini.
Esistevano barriere significative all’accesso a determinate professioni per coloro che non facevano parte della classe sociale dominante, inibendo così lo sviluppo di un mercato del lavoro equo ed efficiente. Nonostante queste condizioni inizialmente svantaggiose, il XIX secolo vide anche i primi tentativi di riforma culminare nella nascita delle prime forme di tutela.
Verso la fine del secolo, l’influenza del processo di unificazione e una maggiore interazione con stati più avanzati incoraggiarono la nascita delle società di mutuo soccorso e delle prime organizzazioni sindacali, che cercavano di rappresentare gli interessi della classe lavoratrice.
Queste istituzioni, pur con mezzi limitati, iniziarono a mobilizzare i lavoratori per ottenere diritti più equi, ponendo l’attenzione su questioni come il miglioramento delle condizioni di lavoro, aumenti salariali e la riduzione delle ore lavorative. Questi movimenti iniziali furono fondamentali per innescare un cambiamento sociale e politico graduale, che contribuì a trasformare le strutture economiche e sociali dell’Italia.
Si cominciò a porre l’attenzione sulla necessità di leggi a favore dei lavoratori, gradualmente portando non solo alla riduzione dell’orario di lavoro, ma anche alla legittimazione di meccanismi di contrattazione collettiva.
Verso una nuova coscienza dei diritti
Con l’avvicinarsi del termine del XIX secolo, iniziò a emergere in Italia una nuova coscienza collettiva relativa ai diritti umani e lavorativi.
Questo rinnovato interesse fu alimentato da una consapevolezza crescente delle ingiustizie sociali e delle condizioni disumane che caratterizzavano l’ambiente lavorativo dell’epoca.
L’influenza di pensatori progressisti e attivisti permise che le idee di equità, giustizia sociale e dignità umana guadagnassero sempre più sostegno. La letteratura e il dibattito pubblico giocarono un ruolo cruciale nella diffusione di queste idee.
Riviste e periodici, sia in Italia che all’estero, fecero luce sulle disuguaglianze e sulle necessità di cambiamento, incentivando un dialogo transnazionale che spinse molti leader politici e sociali a rivalutare le loro posizioni.
Gli scritti e le campagne di intellettuali influenti influenzarono l’emergere di un movimento operaio organizzato, consapevole dell’importanza del potere collettivo tramite la mobilitazione e le proteste pacifiche. Questa nuova coscienza dei diritti fu strumentale nel modellare le politiche del nascente stato italiano post-unitario, ispirando leggi e riforme sociali che avrebbero gettato le basi per la moderna tutela giuridica dei lavoratori.
Con l’inizio del Novecento, il cammino verso una società che rispettasse e promuovesse i diritti dei suoi cittadini era già segnato, preparando il terreno per importanti conquiste sociali e politiche nei decenni successivi.





