Lavoratori sorvegliati: la Cassazione apre alla possibilità di pedinamenti con investigatori privati.

La recente sentenza n.24564 del 4 settembre 2025 della Corte di Cassazione segna un passaggio cruciale nella delicata relazione tra diritti dei lavoratori e poteri di controllo delle imprese.

Con questa decisione, i giudici hanno sancito in via definitiva che le aziende possono ricorrere a investigatori privati per monitorare l’operato dei dipendenti esterni, quando emergano fondati sospetti di comportamenti scorretti o fraudolenti.

Nuovo allarme per i lavoratori: ora l’azienda può spiarti anche fuori dall’ufficio

Un punto di svolta che, inevitabilmente, riaccende il dibattito su privacy, fiducia e limiti della sorveglianza nel mondo del lavoro contemporaneo. Tutto nasce dalla vicenda di un letturista di contatori, il cui rendimento, già nel 2019, risultava nettamente inferiore rispetto a quello dei colleghi.

La Cassazione dice sì ai pedinamenti; ma solo in questi casi
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L’azienda, piuttosto che agire impulsivamente, ha scelto di attendere e raccogliere elementi più concreti. L’anno successivo, ha incaricato un’agenzia investigativa di verificare sul campo la reale condotta del dipendente.

Le indagini hanno fatto emergere un quadro innegabile di inadempienze. Registrazioni falsificate degli orari di lavoro, lunghe pause ingiustificate, utilizzo scorretto del palmare aziendale e perfino l’assenza della divisa obbligatoria. Un comportamento che non solo tradiva il contratto, ma minava il vincolo fiduciario alla base del rapporto lavorativo.

La Cassazione ha ritenuto legittimo l’intero percorso seguito dall’azienda, sottolineando che non si trattava di una sorveglianza indiscriminata, ma di controlli difensivi mirati, resi necessari da indizi concreti.

In altre parole, non è sufficiente una generica impressione di scarso rendimento per giustificare l’intervento investigativo, occorre un “spunto oggettivo” che renda plausibile l’ipotesi di una condotta irregolare.

Il principio ribadito è chiaro. Quando il comportamento di un dipendente rischia di arrecare un danno economico o reputazionale all’impresa, quest’ultima ha il diritto di tutelarsi, anche a costo di comprimere la sfera privata del lavoratore.

La decisione solleva inevitabili interrogativi. In che misura un dipendente esterno può sentirsi libero di organizzare il proprio lavoro senza l’ombra costante di un controllo? Se da un lato l’ordinanza tutela l’interesse legittimo delle aziende, dall’altro rischia di normalizzare una cultura del sospetto, in cui la fiducia viene sostituita dal monitoraggio sistematico.

Il nodo centrale non è solo giuridico, ma sociale ed etico. La Cassazione ha riaffermato un principio che tutela l’impresa, ma resta aperta la questione di come preservare la dignità del lavoratore.

La sfida per il futuro sarà trovare un equilibrio che non sacrifichi la privacy in nome dell’efficienza. La legge ha stabilito un precedente importante, ma spetterà al legislatore e alla giurisprudenza tracciare i limiti di un potere che, se lasciato senza confini, potrebbe minacciare non solo i diritti individuali, ma anche la qualità stessa del lavoro.