La Corte Suprema di Cassazione ha fornito un chiarimento sul tema del licenziamento illegittimo e sull’obbligo di restituzione della Naspi.
Questo pronunciamento rappresenta un punto di riferimento fondamentale per i lavoratori subordinati che si trovano nella condizione di ricevere un provvedimento di reintegra dopo un licenziamento ma che, di fatto, non riescono a tornare a svolgere la propria attività a causa di inerzie o difficoltà aziendali.
L’assegno di disoccupazione, meglio noto come Naspi, costituisce un sostegno economico essenziale per i lavoratori che perdono involontariamente il posto di lavoro. La normativa prevede che tale indennità sia riconosciuta a precise condizioni, ma è altrettanto chiaro che essa non può essere revocata o richiesta in restituzione se, a seguito di una sentenza che ordina la reintegra del lavoratore licenziato illegittimamente, non si verifica un reale ritorno alle mansioni e al percepimento dello stipendio.
La Cassazione, con la sentenza 23476/2025, ha infatti ribadito che il lavoratore che ottiene una reintegra “sulla carta”, ma che in concreto non riprende la propria attività né percepisce la retribuzione, non è tenuto a restituire la Naspi già percepita, anche se l’INPS dovesse richiederne la restituzione. Tale principio, pur nato da un caso riguardante la vecchia indennità di mobilità, ha valenza generale e si applica a tutti gli ammortizzatori sociali, inclusa la Naspi.
La vicenda giudiziaria e la posizione dell’INPS
Il caso specifico che ha portato alla pronuncia della Cassazione riguarda un lavoratore che, dopo aver subito un licenziamento ritenuto illegittimo, ha ottenuto la reintegra con sentenza definitiva. Tuttavia, il datore di lavoro non ha materialmente eseguito l’ordine, né ha corrisposto lo stipendio, impedendo così il ritorno effettivo al lavoro.
Nonostante il giudice avesse disposto la reintegra, l’INPS ha richiesto al lavoratore la restituzione di oltre 30mila euro, corrisposti a titolo di indennità di mobilità, sostenendo che la reintegra avesse effetto retroattivo e che quindi il lavoratore non avrebbe mai dovuto percepire l’indennità di disoccupazione.
La Suprema Corte, però, ha respinto questa tesi, sottolineando che la reintegra “formale” non può costringere il lavoratore a un doppio sacrificio: non solo non viene reintegrato concretamente, ma deve anche restituire la prestazione di sostegno al reddito.

Nel rigettare la richiesta dell’INPS, la Cassazione ha richiamato il dettato dell’articolo 38 della Costituzione Italiana, che garantisce il diritto all’assistenza sociale e al sostentamento economico in caso di disoccupazione involontaria. La Corte ha evidenziato come, in situazioni in cui la reintegra non si traduce in un effettivo ritorno al lavoro, il lavoratore mantenga lo status di disoccupato e quindi il diritto al sostegno economico.
La sostanza dei fatti, cioè la reale condizione economica del lavoratore, deve prevalere sulla mera forma giuridica della reintegra, che può rimanere solo un atto formale se non accompagnato dal ritorno alla prestazione lavorativa e alla retribuzione.
Pertanto, chi non riprende a percepire lo stipendio non può essere privato della Naspi, che deve essere erogata per l’intero periodo previsto dalla legge e nell’importo spettante.
Implicazioni pratiche della sentenza per i lavoratori
La sentenza 23476/2025 rappresenta una tutela essenziale per quei lavoratori che, pur avendo ottenuto la reintegra, si trovano in una situazione di difficoltà materiale nel rientrare in azienda, ad esempio per fallimenti, ristrutturazioni o inerzie dell’impresa.
Oggi chi viene reintegrato formalmente dalla magistratura ma non riprende effettivamente il lavoro né riceve lo stipendio ha il diritto di continuare a beneficiare della Naspi senza doverla restituire all’INPS. Questo principio si applica non solo alla vecchia indennità di mobilità, ma più in generale a tutti gli ammortizzatori sociali, compresa la Naspi, con particolare attenzione ai requisiti aggiornati previsti dalla normativa vigente.
La decisione della Cassazione smonta quindi la “finzione giuridica” per cui si possa essere considerati occupati senza un effettivo svolgimento delle mansioni lavorative. La tutela economica del disoccupato prevale anche quando l’azienda non adempie al provvedimento di reintegra.





